CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 1574 del 28 gennaio 2015

IVA – REGIME SPECIALE DEL MARGINE

Svolgimento del processo

In relazione ad operazioni di acquisto di autoveicoli usati effettuate nell’anno 2000 da De Bona s.p.a. con forniture eseguite dalla ditta Europrix Auto s.l., con sede in (OMISSIS), l’Ufficio contestava, con avviso di accertamento, la indebita applicazione del regime IVA del margine in quanto la società spagnola proprietaria dei veicoli, dall’esame dei libretti di circolazione, risultava esercitare l’attività di autonoleggio senza conducente, dovendo ritenersi pertanto che, quale soggetto passivo d’imposta, aveva portato in detrazione l’IVA versata a monte sull’originario acquisto dei veicoli, con conseguente inapplicabilità del regime fiscale speciale.

Il ricorso della società contribuente veniva accolto dalla CTP di Belluno con decisione riformata dalla Commissione tributaria della regione Veneto con sentenza 31.7.2007 n. 21. I Giudici territoriali rilevavano che a fronte di elementi presuntivi attestanti la qualità di soggetto passivo IVA della società cedente, era onere della contribuente dimostrare la sussistenza dei presupposti richiesti per la fruizione del regime del margine, dovendo escludersi un affidamenti) incolpevole sulla relativa annotazione indicata nelle fatture, attesa la intensità e frequenza dei rapporti commerciali tra le due società ed essendo onere di diligenza della società italiana cessionaria di verificare la documentazione a corredo delle operazioni di cessione. La CTR confermava invece la decisione di prime cure in punto di annullamento dell’atto di contestazione delle sanzioni pecuniarie irrogate contestualmente all’avviso di accertamento, per contraddittorietà della motivazione, avendo l’Ufficio nelle premesse riconosciuto la esistenza di obiettive condizioni di incertezza nel primo periodo di applicazione della normativa, e di seguito affermato illogicamente la debenza delle sanzioni.

La sentenza di appello è stata ritualmente impugnata per cassazione dalla società con quattro mezzi ai quali resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo con il quale la società impugna la sentenza per vizio processuale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere ritenuto ammissibile l’appello principale dell’Ufficio finanziario sebbene privo dei requisiti di specificità in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, deve ritenersi inammissibile per difetto di autosufficienza nella esposizione del fatto processuale.

1.2 Costituisce affermazione consolidata di questa Corte che la specificità dei motivi di appello deve essere commisurata alla specificità della motivazione e non è ravvisabile laddove l’appellante, nel censurare le statuizioni contenute nella sentenza di primo grado, ometta di indicare, per ciascuna delle ragioni esposte nella sentenza impugnata sul punto oggetto della controversia, le contrarie ragioni di fatto e di diritto che ritenga idonee a giustificare la doglianza (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 9628 del 20/09/1993; da ultimo Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1651 del 27/01/2014): la specificità dei motivi di gravame deve quindi essere dimensionata assumendo come parametro di verifica le puntuali motivazioni svolte dal Giudice della sentenza impugnata (in tal senso viene posta in evidenza la “correlazione” tra la singola censura prospettata e l’argomento posto a fondamento della statuizione investita dalla impugnazione: Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9244 del 18/04/2007), e dunque il ricorso per cassazione con il quale si intenda far valere la inammissibilità dell’atto di appello non rilevata o rigettata dal Giudice di quel grado, per assolvere al requisito di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, deve fornire compiutamente entrambi i termini relazionali della verifica di legittimità, evidenziando in particolare quali argomenti motivazionali della sentenza impugnata non siano stati oggetto di specifico esame e confutazione nel gravame.

1.3 Orbene la CTR ha ritenuto sussistere i requisiti minimi di ammissibilità dell’atto di appello principale dell’Ufficio rilevando che erano state individuate specificamente le parti della sentenza di primo grado censurate con la riproposizione degli argomenti già svolti nelle difese in primo grado a sostegno dei presupposti di fatto e diritto indicati nell’atto impositivo.

1.4 La società ricorrente si è limitata, tuttavia, a contestare la statuizione della CTR, asserendo la genericità del gravame in quanto l’Ufficio aveva riproposto in appello gli stessi argomenti difensivi delle controdeduzioni in primo grado, senza tuttavia indicare in che modo tali argomenti non consentissero – per genericità od in conferenza – di individuare con esattezza l’oggetto devoluto alla cognizione del Giudice di appello, omettendo di evidenziare – ed in ciò consiste il difetto di autosufficienza – quali fossero i passaggi argomentativi della sentenza di prime cure (diversi ovviamente da quelli riportati nello “svolgimento del processo” dalla sentenza della CTR, in ordine ai quali si palesano coerenti i motivi di gravame svolti dall’Ufficio come riportati nella stessa parte della motivazione della sentenza di appello: cfr. sentenza CTR, motiv. pag. 2) trascurati o non puntualmente confutati dall’Ufficio finanziario, così impedendo la verifica preliminare di congruenza del vizio denunciato rispetto alla statuizione impugnata, demandata a questa Corte, anche nel caso di vizi processuali, atteso che, anche quando nel ricorso per cassazione sono denunciati “errores in procedendo” – pur potendo i giudici di legittimità prendere cognizione degli atti di causa – è necessario, per il principio di autosufficienza del ricorso, che siano indicati con precisione gli elementi di fatto che consentano di controllare la decisività dei vizi dedotti, atteso che l’astensione per il giudice dalla ricerca del testo completo degli atti processuali, che non ha finalità sanzionatorie, trova fondamento nell’esigenza di evitare il rischio di un soggettivismo interpretativo, essendo solo del ricorrente la responsabilità della redazione dell’atto introduttivo (cfr. Corte Cass. Sez. L, Sentenza n. 6225 del 23/03/2005; id. Sez, 3, Sentenza n. 830 del 18/01/2006; id. Sez, 1, Sentenza n. 20405 del 20/09/2006; id. Sez, L, Sentenza n. 13657 del 04/06/2010; id. Sez, U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 12664 del 20/07/2012; id. Sez, L, Sentenza n. 8008 del 04/04/2014).

2. Con il secondo motivo la società deduce il vizio di violazione e falsa applicazione della disciplina del regime del margine di utile (D.L. n. 41 del 1995, artt. 36, 37 e 38, conv. in L. n. 85 del 1995), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Con il terzo motivo la sentenza di appello viene impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.1 Sostiene la società che i Giudici di appello hanno erroneamente ritenuto, in violazione delle norme di diritto indicate in rubrica, che l’annotazione del regime speciale del margine sulle fatture emesse dalla società comunitaria cedente non fosse condizione sufficiente alla applicazione della imposta sul margine di utile, non spettando al cessionario alcun controllo sulla esattezza dei dati indicati dal cedente nè tanto meno la verifica della sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi concernenti il soggetto alienante. Conseguentemente la CTR avrebbe errato ad addossare all’acquirente italiano l’onere della prova che il cedente comunitario non aveva portato in detrazione l’IVA a monte, gravando tale prova sulla Amministrazione che intendeva contestare i dati e le annotazioni riportati in fattura.

2.2 I motivi consentono una trattazione congiunta in quanto le censure appaiono strettamente correlate.

2.3 Occorre premettere che il regime speciale c.d. del margine di utile disciplinato dall’art. 26 bis della 6^ Direttiva n. 388/1977 del Consiglio in da 17.5.1977 (aggiunto dalla Direttiva n. 94/5/CE del Consiglio in data 14.2.1994, che ha ricevuto attuazione con il D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, artt. 36 e 40, conv. in L. 22 marzo 1995, n. 85) si configura come “regime fiscale speciale”, di natura derogatoria del regime ordinario IVA, avente carattere opzionale (essendo rimessa al contribuente la scelta di avvalersi del regime ordinario IVA o di quello speciale), e che, in quanto funzionale ad evitare il fenomeno della doppia imposizione (cfr. terzo considerando dir. CE n. 5 del 1994), assume come condizione indefettibile di applicabilità la indeducibilità dell’Iva versata “a monte” dal cedente-operatore comunitario in occasione dell’acquisto del bene successivamente rivenduto all’importatore in altro Paese membro (ovvero si rende necessario che il cedente abbia assolto l’IVA in modo definitivo, senza avere esercitato nè avere potuto esercitare alcuna rivalsa: altrimenti, in luogo di evitare una doppia imposizione, si attribuirebbe al cessionario una ingiustificata agevolazione fiscale), dovendo in conseguenza il cedente, soggetto passivo di imposta comunitario, rispondere ad uno dei seguenti “requisiti soggettivi” individuati dal D.L. n. 41 del 1995, art. 36, comma 1, conv. in L. n. 85 del 1995: 1- soggetto che sia privato consumatore; 2- soggetto che non abbia potuto detrarre l’imposta (avendo destinato i beni ad una attività esente); 3- soggetto che agisca in regime di franchigia nel proprio Stato membro; 4- soggetto che abbia, a sua volta, assoggettato il proprio acquisto al regime del margine di utile.

Tali condizioni sostanziali non sono venute meno con l’art. 2 della Direttiva 2001/15/CE del Consiglio in data 20.12.2001 (che ha modificato l’art. 28 novies paragr. 3 della citata 6^ direttiva sulla cifra di affari, e che ha ricevuto attuazione, soltanto tre anni dopo, con il D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 52, art. 1, che ha sostituito il D.P.R. n. 633 del 1972 , art. 21) con il quale è stato introdotto l’obbligo di “annotazione” in fattura – in caso di applicazione del regime del margine di utile – dell’espresso riferimento agli artt. 26 o 26 bis della Dir. CE n. 388/1977 ovvero “alle corrispondenti disposizioni nazionali”, o ancora della specificazione “di altre informazioni che indichino che è stato applicato il regime di margine di utile” atteso che la regolarità formale della fattura recante tali annotazioni, se assolve ad una esigenza di chiarezza e trasparenza nel rapporto tributario, non può evidentemente surrogarsi ai presupposti di fatto e diritto che la legge richiede per l’applicabilità del regime fiscale derogatorio.

La esigenza di accertare, comunque, la effettiva sussistenza delle condizioni di applicabilità del regime fiscale speciale emerge in tutta evidenza dalla Circolare della Agenzia delle Entrate n. 14/E del 26.2.2008 che è intervenuta definitivamente a disciplinare – in attuazione del principio di collaborazione che presiede ai rapporti tra contribuente e Fisco – determinate condotte volte ad agevolare proprio l’adempimento del dovere di diligenza richiesto al cessionario, subordinando la reimmatricolazione del veicolo importato dall’operatore nazionale alla esibizione o trasmissione agli Uffici della Motorizzazione civile ed agli Uffici locali della Agenzia delle Entrate dei documenti concernenti la operazione commerciale tra i quali la carta di circolazione estera e la dichiarazione che il rivenditore – soggetto passivo IVA in Italia – abbia acquistato i veicoli usati da un soggetto in possesso dei requisiti di legge (privato consumatore, operatore economico che non ha potuto portare in detrazione l’IVA o che agisce in regime di franchigia o che ha applicato a sua volta il regime del margine): significativo, in proposito, è che la verifica documentale consiste nel “…b) verificare se tra i soggetti esteri precedenti possessori dell’autoveicolo figuri almeno una persona fisica, nell’ipotesi, tra le più frequenti, che il nome e cognome riportato sulla carta di circolazione rappresenti un consumatore finale; c) verificare che, nel caso di esibizione di scrittura privata, l’ultimo intestatario riportato sulla carta di circolazione coincida con il dante causa della scrittura privata, a garanzia della continuità dei passaggi”.

Nel caso in cui, poi, venga esibita o trasmessa una dichiarazione della società cedente-intracomunitaria di essersi avvalsa del regime del margine, “…Qualora dalla carta di circolazione risulti esclusivamente la presenza di società/imprese – considerato che in alcuni Paesi Membri non sussiste l’obbligo giuridico di trascrivere sulla carta di circolazione i successivi proprietari dell’autoveicolo – l’Ufficio procederà alla predetta comunicazione al C.E.D. degli Uffici della Motorizzazione (ndr ai fini della immatricolazione del veicolo) dopo aver acquisito la dichiarazione di cui al precedente punto 3), corredata da idonea documentazione (ad esempio, la fattura di cessione tra i due soggetti esteri) dalla quale risulti verosimile, ad un primo esame preliminare, che il veicolo è assoggettabile al regime del margine …”.

2.3.1 Il corretto adempimento degli oneri formali, pertanto, non esaurisce, in ogni caso, la prova della effettiva esistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi che consentono l’applicazione del regime speciale dell’IVA alla operazione di cessione del bene.

La mera sussistenza dei requisiti formali della fattura emessa dal cedente in regime del margine, non può essere considerata elemento idoneo a comprovare la regolarità della operazione di cessione, poichè in tal modo si attribuirebbe a tale documento un’efficacia probatoria – non prevista dalla normativa comunitaria nè dall’ordinamento interno – in relazione all’esistenza dei presupposti giustificativi di tale regime fiscale tra cui, in particolare, che il cedente abbia assolto l’imposta in modo definitivo e risponda ad uno dei requisiti soggettivi indicati dalla medesima disposizione, configurandosi o come privato consumatore, o come soggetto che non abbia potuto detrarre l’imposta per aver destinato i beni ad attività esente, ovvero che agisca in regime di franchigia nel proprio Stato membro, ovvero ancora che abbia a sua volta assoggettato il proprio acquisto al regime del margine di utile.

2.3.2 Tutto ciò non comporta, evidentemente, che la documentazione contabile rispondente ai requisiti di regolarità formale, sia da ritenersi in assoluto irrilevante, essendo comunque necessario il possesso di tale documentazione per l’esercizio del diritto ad applicare la imposta sulla base imponibile ridotta, ma soltanto che la mancanza di corrispondenza tra la rappresentazione documentale della operazione di cessione del bene in regime del margine e quella invece effettivamente realizzata dalle parti (ordinaria operazione di cessione intracomunitaria assoggettata ad IVA, in relazione al valore di transazione del bene indicato in fattura, nel Paese di destinazione: D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 38, conv. in L. 29 ottobre 1993, n. 427), può essere certamente contestata dall’Ufficio finanziario, ove emergano elementi oggettivi – idonei a fondare anche accertamenti di tipo presuntivo – che privino di attendibilità le indicazioni contenute nella fattura emessa nei confronti del cessionario, in tal caso insorgendo a carico di quest’ultimo, quale soggetto che intende avvalersi del regime speciale in deroga al sistema ordinario di applicazione dell’IVA concernente gli acquisti interni ed intracomunitari, l’onere di provare la sussistenza dei presupposti che ne consentono l’applicazione, e, quindi, la mancata detrazione dell’IVA “a monte” da parte del cedente (cfr. Corte Cass. 5 sez. 30.5.2012 n. 866; id. Sez., 5, Sentenza n. 8828 del 01/06/2012; id. 5 sez. 12.9.2012 n. 15219).

2.4 Tanto premesso, i principi che regolano nella specifica materia la ripartizione dell’onere probatorio sono stati enunciati in modo chiaro da questa Corte:

– il regime c.d. del margine rappresenta un regime “speciale” rispetto all’ordinario regime impositivo IVA riguardante gli acquisti intracomunitari (tanto è che il soggetto passivo può optare, in relazione a ciascuna cessione, per l’applicazione dell’imposta nei modi ordinari, ove intenda portare in detrazione l’IVA assolta: D.L. n. 41 del 1995, art. 36, comma 3): pertanto è onere del contribuente provare, a fronte di una contestazione dell’amministrazione, la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo (cfr. Corte Cass. 5 sez. 31.1.2011 n. 2227, in motivazione);

– il difetto di tale prova comporta l’inapplicabilità del regime “de quo”, indipendentemente dalla consapevolezza che della inesistenza dei presupposti abbia avuto il cessionario, potendo eventualmente tale difetto di consapevolezza incidere solo sull’aspetto sanzionatorio (cfr. Corte Cass. 5 sez. 31.1.2011 n. 2227);

– non vale allegare la estrema gravosità dell’onere di diligenza che graverebbe sul concessionario per svolgere gli accertamenti in ordine alle condizioni di soggetti residenti in altro Paese membro, quando “nel caso di autoveicoli, l’eventuale insussistenza di tali requisiti può talvolta essere agevolmente desunta dai libretti di circolazione…, cosicchè va senz’altro affermata l’esistenza di un particolare onere di diligenza in capo all’acquirente, anche mediato, riguardo a dati risultanti dai libretti di circolazione” (cfr. Corte Cass. 5 sez. 12.2.2010 n. 3427, in motivazione).

2.4.1 La Commissione tributaria regionale ha applicato la regola del riparto ex art. 2697 c.c., conformemente ai principi di diritto enunciati da questa Corte, andando dunque esente la pronuncia impugnata dal vizio di legittimità denunciato.

I Giudici di appello infatti hanno correttamente ritenuto gravata la società contribuente della prova contraria, avendo l’Amministrazione finanziaria fornito la prova presuntiva della detrazione dell’IVA a monte da parte della società comunitaria cedente, non essendo in contrario dirimente la osservazione della ricorrente secondo cui la mera qualità di soggetto passivo del cedente non sarebbe circostanza sufficiente a desumere con certezza la effettiva detrazione d’imposta.

Se da un lato, infatti, dal medesimo fatto certo (qualità soggettiva degli operatori economici) è ben possibile in linea teorica pervenire, mediante applicazione dello schema probatorio presuntivo, alla conoscenza di distinti fatti ignorati, dall’altro occorre rilevare come, nel caso di specie, la strumentalità del bene (ovvero la “inerenza” od “afferenza” del bene acquistato all’esercizio della attività economica) non si identifica con l’oggetto della prova presuntiva, ma costituisce soltanto uno degli elementi ricostruttivi del fatto ignorato (detrazione della imposta) che è da ritenersi l’unico fatto oggetto di prova, in quanto fatto impeditivo del diritto alla fruizione del regime fiscale c.d. del margine.

La qualificazione giuridica di “bene strumentale” alla impresa, attribuita dal Giudice di merito all’autoveicolo acquistato dalla impresa di autonoleggio (secondo la naturale destinazione economica del bene stesso in relazione all’attività svolta dalla impresa), non costituisce una presunzione a sè stante, ma viene ad integrare uno dei diversi elementi in cui si articola la operazione logica unitaria, fondata sullo schema presuntivo, che non può essere scissa – avuto riguardo all’oggetto della prova- nei singoli segmenti che compongono la sequenza logica deduttiva attraverso la quale – secondo il meccanismo probatorio disciplinato dall’art. 2727 c.c. – dal fatto certo si perviene alla rappresentazione del fatto ignorato: la prova per presunzione del fatto ignorato richiede, infatti, una serie articolata di passaggi logici fra loro concatenati che, attraverso l’applicazione di molteplici operatori semantici relazionali – quali le regole basate su dati di esperienza, nessi di causalità materiale, principi tratti da conoscenze generalmente acquisite, nozioni desunte dai vari rami del sapere e dunque anche nozioni giuridiche – consente di costruire, sul piano logico, il nesso inferenziale, procedendo dall’unico dato fattuale conosciuto, non potendo pertanto riconoscersi una autonoma rilevanza probatoria a ciascuna delle fasi in cui si sviluppa la sequenza deduttiva volta alla ricostruzione del fatto ignorato (alle singole “fasi” non corrispondono, infatti, distinti oggetti di prova, ma soltanto la progressiva applicazione di criteri di connessione di asserzioni ritenute plausibili, suscettibili pertanto di costituire oggetto di puntuale critica in sede di verifica della legittimità e correttezza della complessiva operazione logica rispetto allo schema normativo di riferimento ex artt. 2727 e 2729 c.c.) dovendo, pertanto, escludersi che la nozione giuridica di “strumentalità” (inerenza/afferenza) riconosciuta al bene acquistato dalle imprese di autonoleggio e di leasing integri una presunzione distinta dalla prova presuntiva della detrazione dell’IVA a monte, fondata sul criterio di regolarità causale delle condotte secondo cui le imprese commerciali portano “normalmente” in detrazione l’IVA sugli acquisti dei beni c.d. strumentali: non è dato ravvisare, infatti, in tale schema deduttivo una differenziazione di tipo oggettuale-probatorio tra la qualificazione funzionale del bene (inerenza) ed il regime fiscale (normalmente) ad esso applicabile, come se si trattasse di due “fatti” ricollegabili ad operazioni logiche deduttive distinte, anzichè di oggetto della medesima prova presuntiva.

2.4.2 Quanto alla deducibilità dal fatto noto (intestazione proprietaria a società di autonoleggio) di conseguenze entrambe possibili ma tra loro incompatibili (la società ricorrente si diffonde sulla assenza di limiti legali in ordine alla facoltà riservata anche ai soggetti passivi IVA, quali le imprese di autonoleggio, di acquistare veicoli usati per rivenderli a terzi senza utilizzarli nel ciclo della propria attività economica, bene potendo in tali casi fruire del regime speciale del margine d’utile), se non è revocabile in dubbio che il ragionamento del Giudice di merito in ordine alla prova presuntiva dotata dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c., è censurabile in sede di legittimità “allorchè difetti la inferenza probabilistica, tutte le volte in cui sussistano inferenze probabilistiche plurime (ndr. logicamente inconciliabili)” (cfr. Corte Cass. 5 sez. 2.3.2012 n. 3281), tuttavia occorre considerare che tale pluralità di inferenze, ostativa alla univocità della conseguenza tratta dal fatto noto, sussiste soltanto nel caso in cui nella sequenza della causalità logica tra il fatto noto ed i plurimi fatti ignorati incompatibili sia ravvisabile una omogeneità sotto il profilo della “normalità probabilistica”, ipotesi questa che rimane esclusa nella fattispecie in cui, come già rilevato nel precedente paragrafo della presente motivazione, la indetraibilità dell’IVA sulle fatture passive relative all’acquisto di beni strumentali costituisce per tali imprese una circostanza eccezionale rispetto “al normale esercizio della loro attività”, come tale inidonea a fondare una presunzione plurima e alternativa rispetto a quella della detrazione dell’IVA versata sull’acquisto del bene “inerente” all’esercizio della impresa.

L’assunto della società ricorrente secondo cui non può essere escluso in assoluto che società di autonoleggio o di leasing di vetture possano acquistare – da privati o comunque in regime del margine – veicoli per rivenderli direttamente a terzi senza impiegarli neppure temporaneamente nell’esercizio dell’attività locazione corrobora la fondatezza della predetta argomentazione presuntiva, evidenziando come l’ipotesi considerata costituisca per tali imprese una circostanza eccezionale rispetto “al normale esercizio della loro attività”, come tale inidonea a fondare alcuna presunzione basata sulla ripetitività dell’evento nonchè ad inficiare la presunzione contraria fondata invece sulla regolarità causale tra acquisto del bene “inerente” alla impresa e detrazione della relativa imposta (cfr., al riguardo Corte giustizia UE sez. 3^ sentenza in data 8.12.2005, in causa C-280/04, Jyske Finans, paragr. 38 – nel caso esaminato dalla Corte di Lussemburgo, e da questa ritenuto non corrispondente al “normale esercizio della loro attività”, una società di leasing di autoveicoli aveva acquistato i beni di occasione, poi rivenduti a terzi, “senza possibilità di dedurre l’IVA compresa nel prezzo in quanto i venditori, ai sensi della normativa nazionale, non hanno potuto dichiarare l’IVA sul prezzo del veicolo”: paragr. 16-).

2.5 La società ricorrente, ha inoltre contestato la rilevanza della comunicazione trasmessa all’Ufficio finanziario dalla Autorità fiscale spagnola nella quale veniva riferito che la cedente Europrix Auto S.L. negli anni 1999-2001 non aveva effettuato vendite con applicazione del regime del margine in quanto dai modelli INTRASTAT che la stessa aveva presentato risultava che tutte le cessioni di veicoli erano state assoggettate al regime ordinario delle operazioni intracomunitarie.

2.5.1 Vero è che la responsabilità del soggetto cessionario per l’obbligazione tributaria derivante dal fatto illecito del cedente, o del terzo comunque inseritosi nella catena delle cessioni del bene, rimane esclusa – secondo le pronunce della Corte di Lussemburgo – dalla condizione essenziale che detto contribuente “non aveva o non doveva avere conoscenza” della frode (cfr. Corte giustizia CE sez. 3^, sent. 12.1.2006 in cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03, Optigen Ltd, Fulcrum Electr. e Bond House): tuttavia la stessa Corte di Giustizia ha precisato che la buona fede del cessionario può essere riconosciuta soltanto agli “operatori che adottano tutte le misure che si possono loro ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode”, in quanto solo all’esito di tali adempimenti può ravvisarsi un incolpevole affidamento sulla liceità di tali operazioni.

Diversamente un soggetto che “sapeva o avrebbe dovuto sapere che con il proprio acquisto partecipava ad una operazione che si iscriveva in frode all’IVA” non può allegare la propria buona fede a garanzia dei diritti di detrazione o rimborso vantati in relazione alle operazioni compiute (cfr. Corte giustizia CE, sent. 6.7.2006 in cause riunite C- 439/04 e C-440/04, Kittel e Recolta).

La applicazione del principio di buona fede a tutela del contribuente ingannato dall’illecito commesso dalla parte con la quale ha realizzato la operazione risultata imponibile, è stata affrontata dal Giudice comunitario con specifico riferimento alle operazioni di cessione intracomunitarie per le quali la eliminazione delle barriere doganali tra gli Stati membri ha determinato la insorgenza della necessità di individuare procedure idonee a consentire agli operatori di verificare “ex ante” la regolarità fiscale delle operazioni che vanno a compiere, nonchè la esigenza di definire i limiti di riparto, tra contribuente e Fisco, del rischio tributario determinato dalla condotta illecita del terzo (cfr. Corte giustizia 27.92007 causa C-409/04, Teleos, punto 58; Corte giustizia 21.2.2008 causa C-271/06, Netto Supermarkt GmbH, punto 28). Il punto di equilibrio e stato individuato dalla Corte di giustizia nella duplice condizione: 1- della “buona fede” (che deve desumersi non soltanto dalla oggettiva estraneità del soggetto alla frode fiscale ma anche dalla ignoranza incolpevole delle intenzioni frodatorie attuate dall’acquirente o da terzi) che rimane, invece, esclusa laddove, dalle circostanze concrete, emergano indizi tali per cui il cedente, secondo una efficace sintesi verbale, “sapeva o avrebbe dovuto sapere” che l’operazione intracomunitaria veniva ad iscriversi in una frode fiscale (cfr. Corte giustizia 11.5.2006, causa C-384/04, Federation of Technological Industries, punto 31-32 secondo cui la dimostrazione che il soggetto “era a conoscenza del fatto, o aveva ragionevoli motivi per sospettare che tutta o parte dell’imposta dovuta per tale cessione, ovvero per qualsiasi altra cessione precedente o successiva dei medesimi beni, non sarebbe stata versata” può essere data anche mediante prove presuntive semplici – juris tantum, riversandosi in caso sul contribuente l’onere della prova contraria; Corte giustizia 21.6.2012 cause riunite C-80/11 e C- 142/11, Mahageben kft e Peter David, punto 50 e Corte giustizia 6.9.2012 causa C-324/11, Gabor Toth, punto 50-51, che precisano come la prova presuntiva debba essere fondata su “elementi oggettivi” e cioè indizi concludenti in ordine alla esistenza di una situazione che in quanto caratterizzata da irregolarità, anomalie, incompletezza informativa, imponeva al soggetto passivo di esperire ulteriori verifiche in ordine alla regolarità fiscale del operazione); 2- della “preventiva” adozione da parte del contribuente di tutte le misure ragionevolmente esigibili al fine di assicurarsi che l’operazione che deve essere effettuata non lo conduca a partecipare ad un’evasione tributaria (cfr. Corte giustizia 6.7.2006, causa C-439/04 e C-440/04, Kittel punto 51; Corte giustizia 21.6.2012 cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahageben kft e Peter David, punto 54): tale secondo elemento è all’evidenza strumentale alla dimostrazione della incolpevole ignoranza del fatto illecito altrui e non coincide con il mero esatto adempimento degli obblighi formali di legge richiesti dallo Stato membro per la regolare esecuzione della operazione (come la emissione e ricezione di una fattura dotata dei prescritti requisiti formali o le annotazioni nei registri contabili) che costituisce, invece, soltanto il presupposto necessario (in quanto in difetto della regolarità formale della operazione la condotta del terzo non riveste carattere decettivo) per procedere all’accertamento della condotta diligente prestata nel caso concreto (cfr. Corte giustizia 27.9.2007, causa C-409/07, Teleos, punti 65-66; Corte giustizia 16.12.2010, causa C- 430/09 Euro Tyre Holding BV, punto 38; Corte giustizia 6.9.2012 causa C-273/11, Mecsek Gabona Kft, punti 48-50).

2.5.2 Il “rischio fiscale” della operazione intracomunitaria, realizzata con applicazione del regime del margine ma in difetto dei presupposti richiesti (nella specie per mancanza dei requisiti fiscali soggettivi degli operatori comunitari-cedenti), ricade pertanto sul cessionario che, nei limiti imposti dall’onere di diligenza richiesto in base alle concrete circostanze, non abbia verificato preventivamene la regolarità sostanziale della operazione (e non soltanto la regolarità formale della fattura) anche con riferimento alla condizione soggettiva del cedente, risultando maggiore il grado di impegno esigibile nella predetta verifica, in dipendenza della qualità professionale del cessionario, ove trattasi di operatore commerciale del settore (“diligentia viri eiusdem generis ac professionis”).

L’onere di verifica gravante sul cessionario-contribuente alla stregua dei documenti negoziali in suo possesso appare coerente sia con il principio di vicinanza al fatto oggetto di prova, venendo a trovarsi l’operatore commerciale – proprio in considerazione del rapporto che instaura con il soggetto la cui condizione soggettiva legittima il contribuente a fruire del regime fiscale speciale – in posizione privilegiata per effettuare ex ante un controllo delle condizioni di legge rispetto a quello effettuato soltanto ex post dalla Amministrazione finanziaria; sia con la interpretazione del sistema del tributo armonizzato che le sentenze della Corte di giustizia della Unione europea hanno fornito in relazione ad ipotesi di frode commesse nella catena delle operazioni commerciali da soggetti diversi dal contribuente: l’affermazione secondo cui il soggetto passivo d’imposta non può essere considerato responsabile della intenzione del terzo di agire in frode alla applicazione dell’IVA, come è stato evidenziato nel precedente paragrafo della motivazione, è mediata infatti nelle pronunce della Corte di Lussemburgo dalla condizione essenziale che detto contribuente “non aveva o non doveva avere conoscenza” della frode (cfr. Corte giustizia CE 3^ sez. 12.1.2006 in cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03), il che è a dire che soltanto “gli operatori che adottano tutte le misure che si possono loro ragionevolmente richiedere alfine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode”, possono fare affidamento sulla liceità di tali operazioni: un soggetto che “sapeva o avrebbe dovuto sapere che con il proprio acquisto partecipava ad una operazione che si iscriveva in frode all’IVA” non può evidentemente allegare la buona fede a garanzia dei diritti di detrazione o rimborso vantati in relazione alle operazioni compiute (cfr. Corte giustizia CE sentenza in data 6.7.2006, in cause riunite C-439/04 e C-440/04).

2.6 Le osservazioni che precedono rendono inconferente la tesi difensiva della società ricorrente secondo cui il cessionario sarebbe chiamato ad un inesigibile sindacato di merito sulle “valutazioni giuridiche” compiute dal cedente mediante la dichiarazione apposta in fattura di essersi avvalso del regime del margine nel proprio Paese membro.

Nella specie non si tratta, infatti, di qualificare giuridicamente in modo diverso una fattispecie concreta esattamente definita e rilevata nei suoi elementi costitutivi (e dunque di operare un giudizio di sussunzione di una determinata vicenda economica nella fattispecie astratta descritta dalla norma che disciplina il regime fiscale speciale), quanto piuttosto di verificare se alla formula enunciativa apposta in fattura corrisponda effettivamente un fatto storico quale la mancata detrazione dell’IVA all’acquisto da parte del soggetto- cedente.

2.7 Nello specifico caso la agevole rilevazione dai documenti di circolazione della qualità di autonoleggiatore della società- cedente, e quindi della qualità di soggetto “primo immatricolatore” che – secondo l'”id quod plerumque accidit” – acquista l’autoveicolo per destinarlo alla propria attività imprenditoriale con conseguente legittimazione a portare in detrazione l’IVA versata in rivalsa sull’acquisto del bene strumentale, doveva indurre quanto meno nel dubbio la ditta cessionaria sulla effettiva applicabilità alla operazione economica del regime del margine, e quindi ad acquisire, preventivamente, dal cedente ulteriori elementi comprovanti la mancata detrazione della imposta nel Paese membro da cui provenivano i veicoli, rimanendo escluso, in difetto di tale verifica, un incolpevole affidamento della società cessionaria fondato esclusivamente sulla mera annotazione, nella fattura emessa dal cedente, della applicazione del regime del margine.

Tale annotazione in fattura, infatti, tanto più in costanza di rapporti commerciali tra le stesse parti caratterizzati da elevata frequenza e notevole rilevanza economica delle operazioni, non è sufficiente ad integrare un artificio o raggiro idoneo a trarre in inganno il soggetto-cessionario nonostante la dovuta diligenza impiegata (e dunque non costituisce ex se prova adeguata della buona fede del cessionario), laddove questi, sulla scorta degli stessi documenti indispensabili al perfezionamento della operazione commerciale pervenuti in suo possesso, possa agevolmente rilevare ulteriori elementi fattuali (nella specie il tipo di attività imprenditoriale svolta dalla società cedente, avente ad oggetto il normale impiego dei veicoli come beni strumentali della impresa) che presentino una connotazione antitetica a quelle condizioni soggettive dell’operatore-cedente previste dalla legge per l’applicabilità del regime del margine di utile, e che impongono pertanto al cessionario, che intenda beneficiare del regime fiscale speciale, l’onere di acquisire con la dovuta diligenza informazioni più dettagliate sull’effettivo assoggettamento, in via definitiva, del cedente intracomunitario all’IVA versata “a monte” (ad esempio nel caso in cui gli autoveicoli siano stati utilizzati dalla società di noleggio come “fringe benefit” attribuito ai propri dipendenti e non come bene strumentale destinato – in via esclusiva o promiscua – all’esercizio della impresa), tanto al fine di dirimere ogni possibile futura contestazione in ordine alla correttezza fiscale della operazione intracomunitaria.

2.8 Orbene la critica alla sentenza di appello formulata dalla società ricorrente non conduce alla dimostrazione del vizio denunciato (error in judicando) in quanto, avuto riguardo agli elementi fattuali valorizzati in sentenza (intestazioni proprietarie dei veicoli a società autonoleggio di autoveicoli da questa destinati all’esercizio della propria attività economica, con conseguente presunzione della detrazione dell’IVA a monte; frequenza di rapporti commerciali tra la società cedente e quella cessionaria; comunicazione della Autorità spagnola in ordine alla natura di ordinarie operazioni intracomunitarie delle cessioni di autoveicoli in questione), non è dato ravvisare nella specie una violazione delle norme sul regime del margine e del principio della “buona fede” come definito dalla giurisprudenza comunitaria (e recepito anche dalla giurisprudenza di questa Corte: Sez. 5, Sentenza n. 5912 del 11/03/2010; id. Sez. 5, Sentenza n. 23560 del 20/12/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 6223 del 13/03/2013).

La Commissione tributaria ha pronunciato in modo conforme ai principi di diritto enunciati, e va pertanto esente dall’errore di diritto denunciato, avendo correttamente statuito che la mera annotazione del regime fiscale speciale, apposta in fattura, non esonera il cessionario dalla prova dei fatti che legittimano la fruizione del regime del margine di utile, le volte in cui la contestazione della Amministrazione finanziaria trovi fondamento in elementi oggettivi che consentano di inferire, mediante lo schema logico della presunzione, dai fatti noti il fatto ignorato (detrazione dell’IVA corrisposta a monte), determinandosi in virtù della presunzione una inversione dell'”onus probandi” a carico del contribuente tenuto a dimostrare la sussistenza delle condizioni di fruibilità del regime del margine mediante la prova del fatto specifico che, nel caso concreto, consente di spiegare la deviazione dalla “normale” inferenza logica che viene tratta dai dati fattuali noti, ovvero tenuto a dimostrare di non avere avuto cognizione della illegittima applicazione del regime speciale, conseguente ad illecita condotta del cedente, nonostante l’adozione di tutte le dovute misure imposte dalla specifica diligenza professionale. Onere non assolto nel caso di specie dalla società contribuente e che ha condotto la CTR ad accertare la legittimità della pretesa fiscale.

2.9 Entrambi i motivi secondo e terzo debbano pertanto ritenersi infondati.

3. Con il quarto motivo la società impugna la sentenza di appello per vizio di nullità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per carenza assoluta di motivazione (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4; art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c.), avendo la CTR “annullato la ripresa a tassazione relativa alla violazione del regime di non imponibilità ai fini IVA previsto per la cessione all’esportazione di beni verso Stati extracomunitari”.

3.1 Il motivo deve ritenersi inammissibile in quanto non consente di comprendere ed individuare quale sia la statuizione sfavorevole alla contribuente oggetto di impugnazione, in ordine alla quale difetterebbe il requisito di validità formale della motivazione.

Nel “quesito di diritto” ex art. 366 bis c.p.c., la società chiede alla Corte di dichiarare la nullità della sentenza di appello, avendo la CTR “disposto, in riforma della decisione di prime cure, l’annullamento della pretesa recata dall’atto impugnato relativa alla violazione del regime di non imponibilità ai fini IVA previsto per la cessione alla esportazione dei beni versi Stati extracomunitari, limitandosi affermare nel dispositivo della sentenza che “in riforma della sentenza impugnata accoglie l’appello dell’Ufficio ad eccezione della parte relativa alla irrogazione delle sanzioni che dichiara non dovute” senza spendere neppure una parola nella parte motiva della decisione in ordine alle ragioni per cui hanno ritenuto di annullare anche la pretesa “in parte qua”…..”.

In disparte la confusa e scarsa comprensibilità della censura, che sembra palesare un difetto di interesse della contribuente a dolersi dell’annullamento dell’atto impositivo relativamente alla pretesa sanzionatoria, non è dato individuare nella sentenza alcuna statuizione concernente la disciplina IVA delle cessioni di beni alla esportazione fuori del territorio della Comunità, cui fa riferimento incomprensibilmente la ricorrente.

Quanto all’annullamento dell’avviso (in parte qua) relativamente alla contestuale irrogazione delle sanzioni pecuniarie, la CTR ha fornito ampia motivazione, rilevando che la contribuente aveva eccepito tanto la causa di non punibilità (obiettive condizioni di incertezza nella applicazione della norma tributaria), quanto la nullità dell’atto irrogativo perchè “viziato da contraddittorietà”, ed aveva accolto tali eccezioni evidenziando la incoerenza motivazionale dell’atto opposto in quanto l’Ufficio, dopo aver dichiarato che le sanzioni non dovevano essere irrogate in considerazione delle incertezze che aveva caratterizzato il primo periodo di applicazione della disciplina normativa sul margine di utile, aveva dopo affermato che le sanzioni erano dovute per i mancati adempimenti propri degli acquisti e delle vendite intracomunitari.

3.2 Il quarto motivo si palesa, pertanto, manifestamente inammissibile per difetto assoluto del requisito di specificità della censura ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, non essendo dato ricavare aliunde (tanto meno dal controricorso) gli elementi circostanziali idonei a pervenire alla comprensione della critica che la ricorrente intendeva svolgere.

4. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso e condanna la società contribuente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 7.000,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito.