CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 16581 depositata il 5 luglio 2017
PROCESSO – COMPENSAZIONE DELLE SPESE DI LITE – LIMITI
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 826/2013, depositata il 5 agosto 2013, la Corte di appello di L’Aquila respingeva il gravame della società I. S.r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Lanciano nella parte in cui, respinto il ricorso di M.G., aveva interamente compensato fra le parti le spese del giudizio, rilevando come il primo giudice avesse esplicitato le ragioni della propria decisione nella diversa posizione delle parti e pervenendo su tale premessa alla compensazione anche delle spese del proprio grado per la reciproca soccombenza, posto che anche l’appello della lavoratrice veniva respinto.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la società con unico motivo; la lavoratrice ha resistito con controricorso.
Con ordinanza 21 luglio 2016 è stata disposta la rinnovazione della notifica del ricorso, in quanto effettuata al difensore e non al domicilio eletto.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il motivo proposto, deducendo violazione e falsa applicazione delle norme del processo in tema di spese a carico del soccombente (art. 91 c.p.c., comma 1 e art. 92 c.p.c., comma 2), la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ne ha respinto il gravame in punto di compensazione integrale delle spese di lite e ciò sul rilievo che il giudice di primo grado, comunque motivando espressamente la propria decisione, aveva considerato “le posizioni delle parti e, quindi, quella più debole della lavoratrice licenziata e la sua evidente buona fede” (cfr. sentenza, p. 3).
Il motivo è fondato.
Si deve premettere che la fattispecie ricade nella disciplina di cui all’art. 92 c.p.c., comma 2, nella formulazione introdotta con L. 18 giugno 2009, n. 69, atteso che il giudizio risulta instaurato in epoca successiva al 4 luglio 2009.
Ciò posto, si osserva che la Corte, specificando il generico richiamo alle “reciproche posizioni delle parti” operato dal giudice di primo grado (che, sulla base di esse, ha poi erroneamente fondato il riscontro della sussistenza dì “giusti motivi” per la compensazione integrale, nonostante che quest’ultimo non fosse più elemento previsto dalla nuova norma regolatrice) nella condizione di debolezza della lavoratrice licenziata, in rapporto a quella del datore di lavoro, e nella sua evidente buona fede nell’instaurazione del giudizio, si è palesemente discostata dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, la quale ha precisato che “in tema di compensazione delle spese processuali, ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2 (nella formulazione introdotta dalla L. n. 69 del 2009, ratione temporis applicabile), quando la decisione sia stata assunta in base ad atti o argomentazioni esposti solo in sede contenziosa, a fronte della novità o dell’oggettiva incertezza delle questioni di fatto o di diritto rilevanti nel caso specifico, ovvero dell’assenza di un orientamento univoco o consolidato all’epoca della insorgenza della controversia, in presenza di modifiche normative o pronunce della Corte Costituzionale o della Corte di Giustizia dell’Unione Europea intervenute, dopo l’inizio del giudizio, sulla materia”: Cass. n. 24234/2016; conforme: Cass. n. 5267/2016. Ne consegue che, dovendo le “gravi ed eccezionali ragioni” previste dalla L. n. 69 del 2009 “riguardare specifiche circostanze e aspetti della questione decisa” (così Cass. n. 14411/2016), non possono ritenersi tali nè la posizione di debolezza della lavoratrice, che è condizione interna alla maggior parte dei rapporti di lavoro, derivante da una disparità normalmente esistente sul piano economico-sociale e peraltro, in quanto tale, anteriore all’esplicarsi del conflitto proprio della singola controversia e da essa indipendente; nè la buona fede di cui possa esservi evidenza – come, nella specie, ritenuto dalla Corte territoriale – nella proposizione della causa, trattandosi di stato soggettivo che deve naturalmente unirsi alla determinazione di adire la via giudiziale, come è dato desumere dalla previsione di responsabilità aggravata (art. 96 c.p.c.) per il soggetto che, invece, agisca, o resista in giudizio, con mala fede o colpa grave.
La sentenza n. 826/2013 della Corte di appello di L’Aquila deve, pertanto, essere cassata in parte qua e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio, alla medesima Corte in diversa composizione, la quale si atterrà, nel procedere a nuova pronuncia sulle spese del primo grado, al principio di diritto sopra richiamato, regolando altresì nuovamente e di conseguenza le spese del secondo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di L’Aquila in diversa composizione.
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