CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 16622 depositata il 8 agosto 2016
SOCIETÀ DI CAPITALI – SOCIETÀ COOPERATIVE – SOCIETÀ COOPERATIVA A RESPONSABILITÀ LIMITATA – OBBLIGHI DEL SOCIO – RIMBORSO DI SPESE ED ONERI PER IL FUNZIONAMENTO DELLA SOCIETÀ – PREVISIONE IN CLAUSOLA STATUTARIA – VALIDITÀ – FONDAMENTO
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce il vizio di motivazione quanto alla interpretazione della domanda giudiziale, che sarebbe stata erroneamente intesa siccome volta a sanzionare la responsabilita’ patrimoniale dei soci, mentre essa era diretta a censurare l’inerzia di amministratori e sindaci di A.
Con il secondo motivo si deduce la violazione di legge, ove la corte d’appello non ha riconosciuto l’obbligo degli amministratori, ai sensi dell’art. 37 dello statuto sociale di A., di richiedere il versamento dei soci a ripianamento delle perdite per chiudere il bilancio in pareggio, con responsabilita’ conseguente per omessa vigilanza dei sindaci e cosi’ aggiungendo all’obbligo di assunzione della delibera una giustificazione, “il miglioramento delle cose oggetto della attivita’ sociale”, estranea alla clausola ed alla sua liceita’ di previsione.
Con il terso motivo si deduce vizio di motivazione quanto alla pretesa rilevanza del rapporto contrattuale tra C. e A. e della data in cui si sarebbe manifestata l’insufficienza patrimoniale della seconda, avendo trascurato la sentenza che l’operare della clausola si connetteva semplicemente alla perdita di bilancio del 1995 e senza alcun rapporto con la manifestazione della detta insufficienza, ponendosi l’obbligo di ripianamento dei soci come un dovere statutario in se’.
1. I primi due motivi di ricorso, previa trattazione congiunta stante la loro connessione, sono fondati, con assorbimento dell’esame del terzo. La qualificazione dell’azione esperita da C., diretta a far valere la responsabilita’ di amministratori e sindaci di A., poggia su un requisito di legittimazione che appare pacifico in causa, a tenore della sentenza impugnata, avendo agito la ricorrente quale creditore sociale, ai sensi dell’art. 2394 c.c., cosi’ chiedendo accertarsi che gli amministratori non hanno osservato gli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrita’ del patrimonio sociale, con conseguente responsabilita’, per omissione di vigilanza, altresi’ dei sindaci. L’eccezione di prescrizione del credito, da ultimo avanzata da A., appare oggetto di questione nuova, dunque inammissibile, per essa invero non indicandosi quando e con quale tempestivita’ di introduzione sarebbe stata prospettata avanti al giudice di merito.
Il fondamento della domanda fa percio’ leva sulla qualita’ di creditore che C. ha assunto quanto meno divenendo cessionaria del credito vantato da C. verso A.. Altrettanto pacifico e’ che risalgono al 1992-1993 le intese tra C. e A. e poi anche C. per sottrarre ad A. la gestione operativa dell’azienda (affittata a C.) e cosi’ fissare un complesso sistema di acquisti concertati e retrocessioni sul fatturato, con un limite annuo di ammontare non raggiunto e dunque divenuto origine delle azioni di recupero per crediti in capo inizialmente a C..
Tali circostanze non trovano una coerente esplicitazione nelle conclusioni cui e’ giunto il giudice di merito che, svalutando l’epoca di conclusione dei citati accordi e la loro finalita’ (il salvataggio di A.), ne ha tratto altresi’ una portata del tutto eccentrica, pervenendo a reinquadrare in un oggetto sociale sostanzialmente liquidatorio e indifferente alle citate intese fra le parti il contenuto dell’attivita’ di A. stessa, per inferirne – anche per questa via – l’inoperativita’ della clausola di ripianamento delle perdite cui erano tenuti i soci.
2. Osserva il Collegio, in primo luogo, la piena compatibilita’ con il tipo societario cooperativistico della clausola di all’art. 37 dello statuto di A., correttamente riportato dal fallimento C. nei suoi tratti significativi ed invero prevedente il rimborso annuale, come dovere in capo ai soci, di “tutte le spese ed oneri per il funzionamento, in modo che l’eserciti chiuda sempre senta utili ne’ perdite”. In tema, va ricordato che, nel campo della responsabilita’ del socio di societa’ cooperativa a responsabilita’ limitata, deve ritenersi legittima proprio la clausola statutaria che preveda l’obbligo dei soci di rimborsare alla societa’ tutte le spese e gli oneri per il suo funzionamento, non implicando essa un’incidenza sulla tipologia societaria cosi’ da far assumere alla cooperativa la veste di societa’ a responsabilita’ illimitata, in quanto detta clausola non impegna i soci per le obbligazioni sociali verso i terzi, ma regola solo i rapporti interni alla societa’ ed e’, inoltre, pienamente compatibile con la realizzazione dell’oggetto sociale, afferendo ad una prestazione accessoria – nella specie, pecuniaria – ad esso funzionale (Cass. 19719/2008, 1280/2003, 12157/1999). La natura dell’azione esercitata – sin dalla societa’ in bonis – verso amministratori e sindaci, d’altronde, appare pienamente pertinente con la configurazione di un titolo della responsabilita’ di costoro poggiante esattamente sulla inosservanza di un dovere statutario che, nella interpretazione invocata con detta azione, diviene la violazione causalmente determinativa del possibile decremento dell’integrita’ e sufficienza del patrimonio sociale, per avere gli organi sociali gestori di A. mancato di curare – come avrebbero dovuto – i contributi sociali a periodicita’ annuale idonei a scongiurare le perdite della societa’ stessa. Sul punto la riportata clausola non permette di distinguere l’origine delle perdite, ma solo si propone di coinvolgere i soci in un’attivita’ di cooperazione al rispettivo ripianamento, ne’ appare influenzata – per il sicuro richiamo ai costi di funzionamento e alla chiusura degli esercizi comunque senta perdite – dalla ridotta operativita’ della societa’, che peraltro era rimasta titolare dell’azienda, avendola solo affittata a C.. Approvando i bilanci con le perdite sin dal 1994 e rinviando in modo generico le azioni recuperatorie utili al ripianamento, ne’ diversamente giustificando le modalita’ di pagamento dei debiti per le anticipazioni acquisite da C., amministratori e sindaci di A. hanno tenuto una condotta su cui decisione del giudice di merito non si e’ soffermata, superficialmente negando che l’inadempimento statutario potesse avere riflessi sull’azione del creditore sociale ed invece erroneamente ipotizzando che la clausola, nel regolare un preciso rapporto fra soci e amministratori, risolvesse ogni sua portata a mero fatto interno di inadempimento.
3. Va poi aggiunto che la motivazione per cui la citata clausola non avrebbe operato se non quando intermediata da un intento di “miglioramento delle cose oggetto della attivita’ sociale”, oltre a correlarsi in modo incongruo con la collocazione storica degli accordi (raggiunti proprio nel 1992-1993 quando A. era in difficolta’ finanziaria), diviene incomprensibile pur se la si interpreta alla luce della ricostruzione della controricorrente A. che, invocando la cessazione della sua attivita’ dal 1.1.1993, ne deduce il mutamento dell’oggetto sociale. Va invero osservato che il carattere coevo dei citati accordi all’affitto d’azienda mise in luce, per la stessa sentenza, che l’operazione aveva come scopo proprio quello di evitare alla A. l’ingresso in una procedura concorsuale e procurare cosi’ liquidita’ da costanti fatturati generati dai suoi soci, costituiti in gran parte quali soci di C., circostanza che appare subvalente rispetto alla ancora piu’ importante considerazione della prestazione accessoria di periodo richiedibile ai soci, ex art. 37 dello statuto, per impedire la chiusura di bilanci in perdita, come invece avvenne senza le descritte iniziative di recupero. Sostenere che le perdite di A. si erano determinate prima del 1993, oltre dunque a fungere da mero richiamo al presupposto storico della complessa intesa tra le parti, non immuta la portata ancora attuale della clausola di sovvenzione dei soci. Ne’ ha pregio sul punto l’eccezione di giudicato, sollevata da A., preclusione che puo’ formarsi solo se vi sia stato accertamento non impugnato di una circostanza storica, mentre nella vicenda la cessazione dell’attivita’ di commissionaria all’acquisto di merci e’ trattata per le conseguenze giuridiche che essa avrebbe su una disputata e contestata nozione di oggetto sociale, rilevante ai fini della azionabilita’ della clausola.
Il ricorso va dunque accolto quanto ai primi due motivi, assorbito il terzo, con cassazione e rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbito il terzo; cassa e rinvia alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del procedimento.
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