CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 1709 del 26 gennaio 2007
Svolgimento del processo
Sulla base di processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, l’ufficio distrettuale delle imposte dirette di Vasto accertava nei confronti della I. G. s.p.a., successivamente I. s.p.a., poi incorporata nella P. S. s.p.a., una perdita d’impresa di L. 72.768.000, per l’anno d’imposta 1992 minore di quelle dichiarata. La ripresa era fondata sull’indeducibilità di fattura di riaddebito, carente nella descrizione della causale (“spese forfettarie 1992”), pervenuta dalla controllante G. SA, con sede in Belgio, a titolo di rivalsa per stipendi pagati a dipendente, nel tempo in cui lo stesso ricopriva l’incarico di direttore generale della I. G.
La società proponeva ricorso, che veniva accolto dalla commissione tributaria provinciale.
Proponeva appello l’ufficio, deducendo che non era dimostrata l’inerenza del costo all’attività dell’impresa (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75) e che la fattura recava indicazioni assolutamente generiche, che non consentivano in alcun modo la natura del rapporto intercorso tra le due società.
Con sentenza 30 maggio – 6 giugno 2000 la commissione tributaria regionale dell’Abruzzo rigettava l’appello dell’ufficio, osservando che, pur essendo la causale indicata in fattura in modo del tutto generico, nessun altro rapporto economico c’era stato tra le due società al di fuori del distacco del dipendente della controllante presso la controllata, con funzioni di direttore generale, al quale soltanto la società belga aveva corrisposto il compenso. Pur essendo la fattura redatta in lingua straniera, la stessa poteva comunque essere tradotta.
Avverso tale sentenza il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate hanno proposto ricorso per Cassazione, sulla base di un mezzo d’annullamento.
Con sentenza 30 maggio – 6 giugno 2000 la commissione tributaria regionale dell’Abruzzo rigettava l’appello dell’ufficio, osservando che, pur essendo la causale indicata in fattura in modo del tutto generico, nessun altro rapporto economico c’era stato tra le due società al di fuori del distacco del dipendente della controllante presso la controllata, con funzioni di direttore generale, al quale soltanto la società belga aveva corrisposto il compenso. Pur essendo la fattura redatta in lingua straniera, la stessa poteva comunque essere tradotta.
Avverso tale sentenza il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate hanno proposto ricorso per Cassazione, sulla base di un mezzo d’annullamento.
La P. S. s.p.a. resiste con controricorso.
2. Motivi del ricorso.
Denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 75 (D.P.R. n. 917 del 1986), nonché insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3 e 5, le Amministrazioni ricorrenti lamentano che i giudici di merito di entrambi i gradi non abbiano adeguatamente affrontato il problema dell’inerenza del costo, non tenendo conto del fatto che si trattava di riaddebito di costi da parte di. società controllante, e cioè del problema della ripartizioni di costi infragruppo. Infatti, perché il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo sia fiscalmente deducibile occorre che la controllata tragga dal servizio remunerato una effettiva utilità quantificabile e che quest’ultima sia percepibile in maniera oggettiva e adeguatamente documentata.
Denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 75 (D.P.R. n. 917 del 1986), nonché insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3 e 5, le Amministrazioni ricorrenti lamentano che i giudici di merito di entrambi i gradi non abbiano adeguatamente affrontato il problema dell’inerenza del costo, non tenendo conto del fatto che si trattava di riaddebito di costi da parte di. società controllante, e cioè del problema della ripartizioni di costi infragruppo. Infatti, perché il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo sia fiscalmente deducibile occorre che la controllata tragga dal servizio remunerato una effettiva utilità quantificabile e che quest’ultima sia percepibile in maniera oggettiva e adeguatamente documentata.
Motivi della decisione
3.1. Si deve preliminarmente risolvere la questione dell’inammissibilità del ricorso svolta nel controricorso. La questione è infondata: pur essendo stato il ricorso notificato ad incorporata (la I.) già estinta,anziché all’incorporante P. S., il vizio non da luogo ad inesistenza, ma a nullità, da ritenersi sanata con la costituzione della società legittimata nel giudizio di Cassazione.
3.2. Passando, quindi, all’esame delle censure delle Amministrazioni finanziarie, le stesse meritano accoglimento.
Come ha esattamente rilevato la difesa dell’Amministrazione, l’aspetto centrale del problema riguardava l’inerenza, oltre che l’esistenza, dei costi dichiarati in seguito all’addebito di un servizio prestato alla società da parte della controllante. In proposito non può condividersi quanto sostenuto dalla controricorrente, secondo cui le questioni circa la giustificazione dell’addebito non erano state svolte dall’ufficio nel giudizio di primo grado, ma introdotte per la prima volta in appello. Trattandosi di verificare l’osservanza di regole in procedendo questa Corte può compiere un diretto esame degli atti necessari. Nell’accertamento, che, contenente l’enunciazione della pretesa fiscale e dei suoi fatti costitutivi, identifica – salvo specifiche limitazioni – le ragioni dell’Amministrazione nel giudizio di primo grado, l’ufficio – riportando il contenuto del processo verbale di constatazione – evidenziava che l’addebito del costo del servizio era stato oggetto di accordi verbali intersocietari, e che dall’esame della documentazione non emergeva l’esistenza di un rapporto economico tra le società. Dagli atti societari emergeva che l’ing. Riccio aveva svolto funzioni di direttore generale della I. G., a seguito di nomina del consiglio di amministrazione. Dagli atti, inoltre, non emergeva alcun compenso, nè alcun elemento giustificativo delle spese fatturate. Risultavano sol tanto i rimborsi di spese, quali ristoranti, alberghi, pedaggi autostradali, noleggi autoveicoli, telefono, ma nessuna altro elemento atto a giustificare il notevole importo della fattura (lire franchi belgi 1.900.000, pari a L. 72.768.000).
Ciò considerato, e tenuto conto della estrema genericità della causale indicata in fattura, secondo l’ufficio venivano a mancare “i presupposti fondamentali circa la certezza e l’inerenza del costo sostenuto”.
Tali ragioni venivano ribadite ed ulteriormente specificate nell’appello dell’ufficio, nel quale si evidenziava che mancavano del tutto gli elementi per verificare l’utilità effettiva ricavata dalla società italiana a seguito del preteso distacco, in quanto non poteva stabilirsi l’effettiva natura e valore delle prestazioni offerte. Anzi, secondo l’ufficio, non si era neppure in grado di stabile se vi fosse stato un effettivo distacco, o se la prestazione di servizi fosse avvenuta ad altro titolo, non essendo stato rinvenuto alcun documento che consentisse tale ricostruzione. Se ne deve concludere che, contrariamente a quanto affermato dalla società, le ragioni dell’ufficio, fin dall’accertamento, investivano sia l’esistenza, sia l’inerenza del costo addebitato.
3.3. Tutto ciò premesso, la Corte ritiene che i giudici di merito non abbiano fornito una adeguata motivazione che consenta di effettuare il controllo di legittimità sulla correttezza giuridica e sulla coerenza logica del ragionamento che ha sostenuto la decisione. La sentenza impugnata, infatti, si è limitata a rilevare che il costo dichiarato poteva essere identificato soltanto nel rapporto intercorso col dirigente della società belga utilizzato dalla partecipata italiana, e tale rilievo, come si preciserà in seguito, non è sufficiente ad assicurare all’ufficio un puntuale controllo circa i presupposti della deducibilità del costo. Ne consegue che la sentenza deve ritenersi affetta da entrambi i vizi denunciati.
3.4. Si deve considerare, anzitutto, che, trattandosi di componente negativa del reddito, la prova della sua esistenza ed inerenza incombeva al contribuente. Pur dovendosi riconoscere, sulla scorta della giurisprudenza della Corte (sentenze 1 agosto 2000, n. 10062; 6 settembre 2000, n. 11770; 26 gennaio 2001, n. 1133; 27 luglio 2004, n. 14088 ) che – ai fini della deducibilità di un costo addebitato da una controllante ad una controllata – non è affatto necessario che il costo sia correlato a ricavi conseguiti da quest’ultima, è pur sempre necessario dimostrare che l’addebito del costo del servizio deve corrispondere ad una effettiva utilità della controllata.
3.5. Si deve aggiungere, inoltre, che trattandosi di servizi transnazionali, gli stessi sono soggetti al regime del transfer pricing, e cioè all’accertamento del loro valore da parte dell’Amministrazione finanziaria, la quale, a prescindere dall’esistenza e dall’inerenza all’attività d’impresa, può esercitare un sindacato sulla loro congruità. Il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 76, comma 5, stabilisce che i “componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato che, direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale e dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti”. Pur non essendo stato tale profilo giuridico espressamente dedotto nelle difese dell’ufficio, si deve ritenere che, comunque, esso doveva essere considerato dal giudice di merito, nell’ambito della verifica sull’esercizio di potere di rettifica, riguardando incontestabilmente il problema dell’inerenza del costo, essendo la sua ammissibilità soggetta al regime legale del transfer pricing.
3.6. In conclusione si deve ritenere che, come sostenuto dall’Amministrazione finanziaria, la sentenza non abbia indicato gli elementi in base ai quali l’ufficio poteva esercitare un adeguato controllo sull’esistenza, sull’inerenza e sul valore normale del costo dei servi zio addebitato dalla società controllante. La sentenza deve, pertanto, essere cassata, con rinvio ad altra sezione della commissione tributaria regionale dell’Abruzzo. I Giudici di rinvio dovranno procedere ad un analitico esame della documentazione offerta dalla società circa le prestazioni effettuate dal dipendente della controllata e stabilire la esatta natura e valore di tali prestazioni, e l’utilità conseguita dalla controllata, uniformandosi al seguente principio di diritto:
“l’onere della prova dell’esistenza e dell’inerenza di un costo incombe al contribuente; per quanto riguarda i costi derivanti da servizi prestati da società controllante estera ad una controllata italiana, tale onere comprende ogni elemento che consenta all’Amministrazione finanziaria di verificare il normale valore degli stessi servizi”.
Di tale esame dovrà essere fornita adeguata motivazione. Ai Giudici di rinvio è affidata anche la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La corte DI CASSAZIONE accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, ad altra sezione della commissione tributaria regionale dell’Abruzzo.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 7 luglio 2006.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2007
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