CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 1724 del 29 gennaio 2015
FALLIMENTO – EFFETTI PER IL FALLITO – BENI DEL FALLITO – BENI NON COMPRESI – PAGAMENTO RICEVUTO DAL FALLITO PER ATTIVITÀ SVOLTA DOPO LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO – ACQUISIZIONE ALL’ATTIVO FALLIMENTARE – CONDIZIONI E LIMITI
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 29 novembre 2006 la Corte di appello di Bari, in riforma della sentenza del Tribunale di Foggia n. 2435/2003, accoglieva la domanda con cui il fallimento di R.D. aveva chiesto la declaratoria di inefficacia del pagamento di Euro 19.898,93 effettuato dalla Provincia di Foggia nelle mani del fallito dopo la dichiarazione di fallimento ed in relazione al corrispettivo da essa dovuto per lavori svolti dal fallito nell’esercizio di una nuova attivita’ d’impresa.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Provincia di Foggia, deducendo:
1) la violazione dell’art. 44 L. fall., atteso che tale disposizione non trova applicazione nell’ipotesi, ricorrente nella specie, di beni sopravvenuti dopo la dichiarazione di fallimento ed atteso che, comunque, le somme guadagnate dal fallito con la sua attivita’ possono essere acquisite dal fallimento soltanto detraendo le passivita’ incontrate;
2) la violazione dell’art. 42, comma 2, l. fall., per le stesse ragioni esposte nel primo motivo.
Il fallimento resiste con controricorso
MOTIVI DELLA DECISIONE
I motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati. Invero, il regime di inefficacia previsto dall’art. 44, comma 2, l. fall. trova integrale applicazione soltanto per i pagamenti ricevuti dal fallito per titoli anteriori al fallimento e si ricollega tanto alla cristallizzazione del patrimonio del debitore, quanto allo spossessamento conseguenti alla dichiarazione di fallimento e cioe’ al fatto che quest’ultima priva il fallito, dalla data di deposito della sentenza, dei poteri di amministrazione e disposizione del suo patrimonio, trasferendoli agli organi della procedura fallimentare, nell’interesse della massa dei creditori.
Rispetto ai pagamenti ricevuti dal fallito per titoli sorti dopo la dichiarazione di fallimento e collegati ad una sua nuova attivita’, la disposizione dettata dall’art. 44, comma 2, l. fall., deve essere coordinata con le disposizioni dettate dall’art. 42, comma 2 e art. 46, comma 1, n. 2, l. fall.. La prima disposizione (“sono compresi nel fallimento anche i beni che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passivita’ incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi”), pur sembrando riferirsi ai soli acquisti del fallito, esprime chiaramente il noto principio secondo cui le attivita’ non possono acquisirsi separatamente dalle passivita’ che ad esse ineriscono (fructus non intelleguntur nisi deductis impensis) e trova in realta’ applicazione a tutti i beni pervenuti al fallito e percio’ anche quando i beni pervenuti consistono in somme di denaro, come e’ reso evidente dal fatto che il successivo art. 46 l. fall., non esita ad annoverare tra i “beni” non compresi nel fallimento anche somme di denaro. Dal menzionato principio discende che anche il corrispettivo pagato al fallito per una attivita’ da lui svolta dopo la dichiarazione di fallimento non puo’ essere acquisito per intero, ma soltanto dopo la deduzione delle passivita’ incontrate dal fallito per generare il corrispettivo in questione.
D’altro canto, una volta depurato il corrispettivo delle spese sostenute dal fallito per produrlo, la somma residua rappresenta “cio’ che il fallito guadagna con la sua attivita’” e cioe’ uno dei “beni” che la seconda delle ricordate disposizioni esclude dal fallimento (“non sono compresi nel fallimento: 1) …; 2) gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e cio’ che il fallito guadagna con la sua attivita’ entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia; …”), non essendo dubbio che il guadagno conseguito dal fallito con la sua attivita’ sia da intendere come guadagno netto, e cio’ non solo per il collegamento con “quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia”, ma anche per la considerazione del guadagno unitamente ad introiti certamente netti quali “gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari”.
A tale ultimo riguardo, poiche’ l’art. 46, comma 2, l. fall., prevede che “i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia” siano stabiliti dal giudice delegato con decreto motivato, si deve rammentare che questa Corte, superando una risalente giurisprudenza, ha chiarito la natura soltanto dichiarativa del decreto, in quanto destinato ad individuare i limiti quantitativi di un diritto che ad esso preesiste; con la conseguenza che non puo’ esser dichiarata l’inefficacia dei pagamenti compiuti dal debitore direttamente al fallito prima dell’emanazione del decreto (Cass. 27 settembre 2007, n. 20325) ovvero senza che il decreto sia stato mai emanato (Cass. 31 ottobre 2012, n. 18843). Il riconoscimento della natura meramente dichiarativa del suddetto decreto, trova, poi, conferma in quella giurisprudenza che attribuisce al decreto un’efficacia retroattiva (v. Cass. 2 settembre 1995, n. 9268, e Cass. 30 luglio 2009, n. 17751).
Da quanto sinora detto discende, da un lato, che l’acquisizione del corrispettivo conseguito dal fallito per una attivita’ svolta dopo il fallimento presuppone l’efficacia nei confronti del fallimento del pagamento delle spese incontrate per produrre il reddito ovvero, alternativamente, il pagamento delle dette spese da parte del fallimento. L’acquisizione del guadagno netto, d’altro lato, e’ possibile soltanto nella parte in cui supera i limiti eventualmente fissati dal giudice delegato. Ne consegue che dopo il fallimento il fallito, che mantiene capacita’ giuridica e capacita’ di agire, puo’, con efficacia verso il fallimento, destinare le somme ricevute quale corrispettivo di una sua attivita’ al pagamento delle passivita’ incontrate per generare il reddito e, quanto al residuo netto, al mantenimento suo e della sua famiglia. Dalla efficacia verso il fallimento della destinazione attribuita dal fallito alle somme ricevute discende logicamente l’efficacia dei pagamenti ricevuti dal fallito stesso. Sarebbe, infatti, del tutto incongruo escludere la possibilita’ di acquisire presso il fallito le predette somme ed affermare che le stesse potrebbero essere ripetute presso il terzo che ha effettuato il pagamento al fallito.
In conclusione, poiche’ la disposizione dettata dall’art. 44, comma 2, l. fall. deve essere coordinata con le disposizioni dettate dall’art. 42, comma 2 e art. 46, comma 1, n. 2, l. fall., il pagamento ricevuto dal fallito quale corrispettivo per una attivita’ svolta dopo la dichiarazione di fallimento non e’ inefficace quanto all’importo delle passivita’ connesse a detta attivita’ e neppure quanto al residuo netto, ove non sia stato emesso il decreto con cui il giudice delegato fissa i limiti entro i quali cio’ che il fallito guadagna con la sua attivita’ occorre al mantenimento suo e della sua famiglia.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, la causa puo’ essere decisa nel merito con il rigetto della domanda.
In relazione alla novita’ della questione, soccorrono giusti motivi per compensare le spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda.
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