CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 17530 depositata il 14 luglio 2017
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – LICENZIAMENTO INDIVIDUALE – CERTIFICATO MEDICO – SVOLGIMENTO DI ALTRA ATTIVITA’ LAVORATIVA DURANTE L’ASSENZA DAL LAVORO – LEGITTIMO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
M.G. conveniva dinanzi al Tribunale di Rimini la datrice di lavoro C. s.p.a. al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatole dalla Cassa il 16.9.04, con le conseguenze di cui all’art. 18 L. n. 3001970.
Premesso che durante le ferie del 2004 ella aveva richiesto dapprima un prolungamento delle ferie e quindi un periodo di aspettativa, che non le venne concesso; che ritornata dunque al lavoro, il giorno stesso aveva dichiarato di sentirsi male ottenendo un certificato medico che prescriveva riposo per tutta l’estate; che ella lavorò, in tale periodo, presso l’albergo del fidanzato ivi svolgendo mansioni di addetta al bureau; che le era stato contestato dalla Banca di essersi dichiarata ammalata il giorno stesso del rientro dalle ferie e di avere inoltre svolto, durante tale assenza per malattia, attività lavorativa analoga a quella svolta presso la C. s.p.a., e di essere stata quindi licenziata.
Il Tribunale respingeva la domanda.
Proponeva appello la lavoratrice; resisteva la Banca.
Con sentenza depositata il 12 luglio 2013, la Corte d’appello di Bologna respingeva il gravame, ritenendo provati e gravi gli addebiti contestati.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la G., affidato a due motivi.
Resiste la C. s.p.a. con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.-Con il primo motivo la ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, e cioè la pretesa simulazione della malattia e dunque di una inabilità temporanea assoluta che non era stata neppure dedotta dalla lavoratrice. Evidenzia, richiamando le considerazioni svolte dal c.t.u. e talune considerazioni sulla patologia subita (attacchi di panico), che la non negata attività lavorativa svolta presso l’albergo del fidanzato presso l’isola d’Elba era funzionale alla infermità da cui era afflitta, che richiedeva di prendere le distanze dall’ambiente di lavoro e dalle relative attività, attendendo, anche a scopi terapeutici, a più leggere attività lavorative.
2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1147 c.c. e delle norme di cui al c.c.n.I di categoria.
Lamenta che la sentenza impugnata non si era avveduta che il comportamento posto in essere non era affatto improntato a simulazione o frode, bensì a buona fede (ex art. 1147 c.c.), secondo le prescrizioni dei medici curanti.
3.- I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili.
A prescindere dall’inammissibilità della seconda censura laddove denuncia la violazione di norme contrattuali collettive, non meglio specificate, senza la produzione del c.c.n.I., in contrasto con l’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., deve evidenziarsi che il ricorso mira ad un non consentito riesame delle circostanze fattuali di causa, ivi compresa la c.t.u. disposta in sede di merito e varie certificazioni mediche indicate in ricorso.
Al riguardo deve rilevarsi che se il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, espresso nell’art. 366, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., impone al ricorrente la specifica indicazione dei fatti e dei mezzi di prova asseritamente trascurati dal giudice di merito, nonché la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori, esso non può ritenersi soddisfatto neppure nel caso in cui il ricorrente inserisca nel proprio atto di impugnazione la riproduzione fotografica di uno o più documenti, affidando alla Corte la selezione delle parti rilevanti e così una individuazione e valutazione dei fatti, preclusa al giudice di legittimità (Cass. 7 febbraio 2012 n.1716).
In ogni caso deve rimarcarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), sicché quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (ipotesi non ricorrente nella fattispecie); al contrario, il sindacato ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c. (oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. sez.un. 7 aprile 2014, n. 8053), coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi ricorrente nel caso in esame). Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione (rimessi all’apprezzamento del giudice di merito: quanto alla proporzionalità della sanzione cfr. Cass. n. 829312, Cass. n. 1448, Cass. n. 219657, Cass. n. 243496; quanto alla gravità dell’inadempimento, cfr. Cass. n. 178811, Cass. n. 794811) ineriscono ad un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, vizio oggi limitato all’omesso esame di un fatto storico decisivo, in base al novellato art. 360, comma 1, n. 5. c.p.c. (Cass. sez.un. 22 settembre 2014 n. 19881).
Il ricorso non rispetta il dettato di cui al novellato n. 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c., limitandosi in sostanza a richiedere un mero ed inammissibile riesame delle circostanze di causa (ed in primis circa la sussistenza di malattia impeditiva dell’attività lavorativa ordinaria), già valutate dalla Corte di merito.
3.- Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 1152, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per esborsi, €.6.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 1152, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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