CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 17787 depositata il 8 settembre 2016
TRIBUTI – ACCERTAMENTO – STUDI DI SETTORE – SCOSTAMENTO TRA RISULTANZE DELLO STUDIO E VALORI DICHIARATI – MANCATA RISPOSTA ALL’INVITO AL CONTRADDITTORIO – CONFERMA RISULTANZE DELLO STUDIO
RITENUTO IN FATTO
Nella controversia concernente l’impugnazione da parte di N.G. dell’avviso di accertamento, emesso ai fini Irpef ed Irap per l’anno di imposta 2007, con il quale erano stati accertati, a mezzo studio di settore, maggiori ricavi, l’Agenzia delle Entrate ricorre con unico motivo nei confronti del contribuente (che resiste con controricorso) avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia – Sezione distaccata di Catania, in accoglimento dell’appello proposto dalla parte privata, aveva integralmente riformato la decisione di primo grado, annullando l’atto impugnato.
A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c. è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.
Il contribuente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con l’unico motivo si deduce la violazione dell’art. 62-bis D.L. n. 331/93 laddove la C.T.R., discostandosi dai principi espressi in materia da questa Corte, aveva ritenuto gli studi di settore “semplici sospetti” e non li aveva valutati, come avrebbe dovuto, unitamente al materiale probatorio prodotto dalla parte.
2. La censura, ammissibile, in quanto autosufficiente, contrariamente a quanto dedotto in controricorso, è fondata.
2.1. Premesso, infatti, che la ricorrente dà atto dell’avvenuto esperimento (negativo) del contraddittorio (circostanza di fatto non negata dal contribuente), nella specifica materia, questa Corte ha chiarito che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati quali meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente.
L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standard, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (cfr. Cass. S.U. 26635/2009, Cass. 12558/2010, Cass. 12428/2012, Cass. 23070/2012). E’ stato, poi, ulteriormente specificato che, a norma del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, convertito nella L. n. 427 del 1993 – “gli accertamenti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), (…) e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, (…) possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62 bis, del presente decreto (id est, D.L. n. 331 del 1993)”.
In tale quadro complessivo è stato, così chiarito che “il tema della “grave incongruenza” appare del tutto assorbito dal procedimento in contraddittorio, potendosi affermare che legittimamente l’Ufficio procede dalla rilevazione dello “scostamento” ed incrementa il significato presuntivo ad esso attribuibile se e nella misura in cui il contribuente, intervenendo in tale istruttoria, non coopera nel proprio interesse adducendo fatti di contrasto che indichino elementi contraddittori ed avversativi rispetto a quelli provenienti da tale modalità di potenziamento del metodo di accertamento analitico- presuntivo” ed ancora che “la nozione di grave incongruenza non può essere posta avendo riguardo in via assoluta a precise soglie quantitative fisse sicuramente al disotto od oltre tale accento di rilievo, vivendo, invece, la nozione di indici di natura relativa da adattare a plurimi fattori propri della singola situazione economica, del periodo di riferimento ed in generale della stessa storia commerciale del contribuente destinatario dell’accertamento, oltre che del mercato e del settore di operatività” (così Cass. N. 26843/2014).
2.2. Nella fattispecie, vertendosi in ipotesi nella quale il contribuente aveva risposto all’invito dell’Ufficio impositivo al contraddittorio, il Giudice d’appello, nel ritenere illazione implausibilie che dagli studi di settore derivino presunzioni semplici e nell’affermare che, nel caso in esame, si fosse ben oltre le presunzioni semplici, navigandosi ed argomentandosi con sospetti immotivati, si è discostato dai principi sopra illustrati.
3. Ne consegue, in accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio al Giudice di merito affinché proceda al riesame, adeguandosi ai superiori principi, e provveda sulle spese processuali.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese processuali, alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia in diversa composizione.
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