CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 17839 depositata il 9 settembre 2016
SOCIETA’ – RETTIFICA DEL REDDITO E RIDETERMINAZIONE DELLE IMPOSTE – UTILI REALIZZATI NON INCASSATI
Ritenuto in fatto
A seguito di verifica presso la società B., la Guardia di Finanza appurava che la società era partecipata da soli due soci, padre e figlio, e amministrata da altro parente; che dal 1994 al 2000 era stato convenuto che i soci non incassassero gli utili realizzati, lasciandoli nella disponibilità della società.
Da tale verifica l’Agenzia ha dedotto che la rinuncia alla riscossione degli utili costituisse per i soci un finanziamento a favore della società, che dunque era da presumere avesse corrisposto gli interessi ai finanziatori.
Nei confronti di questi ultimi dunque il Fisco ha operato rettifica del reddito e rideterminazione delle imposte.
La Commissione provinciale ha accolto il conseguente ricorso dei soci e della società, con decisione confermata dalla Commissione regionale.
Su ricorso dell’Agenzia questa Corte con sentenza 10031 del 2009 ha cassato la decisione di appello con rinvio.
La Commissione regionale, in diversa composizione, ha dunque nuovamente deciso escludendo che la mancata riscossione degli utili potesse configurare un finanziamento fruttifero a favore della società.
Avverso tale decisone propone ricorso per cassazione l’Agenzia, proponendo due motivi di censura.
Resistono con controricorso la società ed i soci.
Motivi della decisione
La decisione impugnata, nell’attenersi a! principio di diritto affermato dalla precedente decisione di questa Corte, ha ribadito la presunzione legale (art. 43, ora 46 DPR 917/1986) di mutualità ed onerosità del lascito a favore della società. Ha ritenuto, però, questa presunzione superata dal fatto che la somma non era iscritta a bilancio come mutuo ricevuto dai soci; che non vi fossero esigenze finanziarie della società, tali da richiedere un mutuo ai soci; che le somme sono state poi reinvestite in obbligazioni fruttifere.
1.- Con il primo motivo l’Agenzia denuncia violazione dell’art. 384 c.p.c. Sostiene che questa Corte aveva cassato la precedente sentenza di merito affermando il principio di diritto per cui l’assenza di indebitamento della società non era da sola sufficiente a smentire la presunzione che quest’ultima avesse ricevuto dai soci un finanziamento.
Il motivo è fondato.
In sostanza la Corte, con la precedente sentenza, aveva cassato la decisione di appello, ritenendo insufficiente il solo dato dell’assenza di bisogni finanziari della società, elemento che era stato addotto a dimostrazione del fatto che non si trattasse di un finanziamento; ed aveva chiesto ai giudici di rinvio di cercare altri ed ulteriori elementi.
A fronte di tale principio di diritto, occorreva addurre elementi sufficienti a smentire la presunzione di legge.
E’ infatti regola affermata da questa Corte che i versamenti dei soci alla società si presumono onerosi, e non fa differenza che siano fatti dal socio persona fisica o dal socio imprenditore, “non facendo la norma cenno alcuno ad una pretesa natura di persona solo “fisica” dei soci destinatari della presunzione ed essendo tale limitazione, in carenza di qualsivoglia concreto elemento di differenziazione, contraria ad una interpretazione normativa coerente con i precetti dettati dagli artt. 3 e 53 Cost., in quanto finirebbe per trattare diversamente situazioni economiche identiche”.
L’onerosità del versamento è dunque presunta: “«e consegue che, in caso di mancato superamento della presunzione legale, gli interessi attivi, al pari di quelli prodotti da qualsiasi finanziamento a terzi, concorrono a formare il reddito prodotto dall’impresa (individuale o collettiva), come espressamente previsto dall’art. 45 del d.P.R. n. 917 cit. e confermato dall’art. 95, nella parte in cui considera il reddito complessivo delle società quale reddito d’impresa “da qualsiasi fonte provenga” (Sez. 5 n. 12251 del 2010).
Ciò detto, la presunzione di onerosità del prestito non è vincibile con ogni mezzo, ma soltanto nei modi e nelle forme tassativamente stabilite dalla legge, in particolare dimostrando che i bilanci allegati alle dichiarazioni dei redditi della società contemplavano un versamento fatto a titolo diverso dal mutuo (Sez. 5 n. 16445 del 2009).
Conseguentemente, da un lato è irrilevante, per superare la presunzione, che le somme siano state utilmente investite, circostanza che non può di certo significare che sono state gratuitamente elargite dai soci; dall’altro la presunzione può essere vinta, come si è detto, solo in ragione di precisi elementi, ossia fornendo la dimostrazione richiesta della iscrizione in bilancio del versamento come fatta a titolo diverso dal mutuo.
L’accoglimento di questo primo motivo assorbe l’esame di quello successivo.
Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza cassata con rinvio ad altro collegio della Commissione tributaria che si atterrà al principio di diritto sopra enunciato.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria di secondo grado di Trento, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese.
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