CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 17912 depositata il 12 settembre 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – INFRAZIONI DISCIPLINARI – POTERE DISCIPLINARE – DATORE DI LAVORO ED INFRAZIONI – RECIDIVA
Svolgimento del processo
Si controverte del licenziamento intimato il 27/3/2012 dalla società B.A. a L.G., direttore di supermercato, a causa di recidiva oltre la terza volta per mancanze punite con la sospensione ai sensi dell’art. 225 del CCNL delle Aziende del terziario, distribuzione e servizi.
Con sentenza del 14/2/2013 – 26/4/2013 la Corte d’appello di Torino, nell’accogliere l’impugnazione del L., ha rilevato che in difetto di contestazione di una nuova infrazione il datore di lavoro non avrebbe potuto riesaminare le precedenti mancanze, per le quali aveva già consumato il proprio potere disciplinare dopo aver irrogato le sanzioni della sospensione dalla retribuzione e dal servizio, e non avrebbe potuto, pertanto, applicare per quelle stesse infrazioni, sia pure unitariamente considerate ai fini della recidiva, una più grave sanzione di carattere espulsivo.
Per la cassazione della sentenza ricorre la società B.A. con un solo motivo.
Resiste con controricorso G.L.
Motivi della decisione
Con un solo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., dell’art. 225 del CCNL delle Aziende del terziario, distribuzione e servizi e dell’art. 7, ultimo comma, dello Statuto dei lavoratori, il tutto in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
In particolare la ricorrente contesta l’interpretazione della suddetta norma collettiva data dalla Corte d’appello, secondo la quale la stessa prevede la possibilità di irrogare il licenziamento per recidiva a partire dalla quarta mancanza commessa entro l’anno solare, solo in occasione di una nuova specifica mancanza disciplinare.
Ritiene, invece, la ricorrente che in base all’interpretazione letterale del testo della norma si evince che la stessa non prevede in alcun modo che il licenziamento “per recidiva” debba essere associato ad una nuova mancanza disciplinare.
Ma anche tenendo conto della volontà comune dei contraenti si perviene, secondo la ricorrente, alla soluzione che la recidiva rappresenta, al pari delle altre mancanze, un autonomo elemento costitutivo di una delle infrazioni disciplinari preventivamente individuate dal citato art. 225. La previsione contrattuale della recidica come autonomo elemento costitutivo di un illecito disciplinare comporta, secondo la difesa, che la stessa non deve essere intesa nella fattispecie come mero criterio di determinazione della sanzione proporzionata all’illecito contestato.
Il motivo è infondato.
Invero, proprio in virtù della corretta applicazione del canone ermeneutico basato sull’interpretazione letterale della norma collettiva di riferimento, la Corte d’appello è giunta al convincimento, adeguatamente motivato ed esente da rilievi di legittimità, che il licenziamento è irrogabile a partire dalla quarta mancanza infraannuale per la quale sia prevista la sospensione, nel qual caso la parte datoriale dovrà provvedere a contestare la nuova specifica mancanza precisando che la stessa realizza la recidiva oltre la terza volta nell’anno solare rispetto a tre mancanze precedenti e solo allora potrà intimare il licenziamento, sempre che non decida di irrogare una sanzione diversa.
Infatti, il testo letterale della norma di cui all’art. 225 del contratto collettivo nazionale di lavoro delle Aziende del Terziario, distribuzione e servizi, valido dall’1/1/2007 al 31/12/2010, non lascia alcuna ombra di dubbio laddove prevede il licenziamento senza preavviso, tra l’altro, per la “recidiva, oltre la terza volta nell’anno solare, in qualunque delle mancanze che prevedono la sospensione, fatto salvo quanto previsto per la recidiva nei ritardi”, per cui l’interpretazione datane dalla Corte di merito è rispettosa del suddetto canone interpretativo.
Di conseguenza la Corte d’appello ha accertato che la società, pur potendo irrogare il licenziamento per “recidiva, oltre la terza volta nell’anno solare, in qualunque delle mancanze che prevedono la sospensione” in occasione della quarta mancanza, non lo aveva fatto, scegliendo di irrogare una sanzione conservativa, consumando in tal modo definitivamente il proprio potere disciplinare.
Al riguardo, questa Corte (Cass. Sez. lav. n. 7391 del 4/7/1991) ha, infatti, affermato che “il datore di lavoro, una volta esercitato validamente il potere disciplinare nei confronti del prestatore di lavoro in relazione a determinati fatti costituenti infrazioni disciplinari, non può esercitare una seconda volta, per quegli stessi fatti, il detto potere ormai consumato, essendogli consentito soltanto di tener conto delle sanzioni eventualmente applicate, entro il biennio, ai fini della recidiva. (Nella specie i giudici di merito avevano annullato il licenziamento intimato in base alla contestata recidiva per precedenti comportamenti già puniti con sanzione disciplinare, in assenza di un’autonoma infrazione attualmente sanzionabile; la S.C. ha confermato tale decisione rilevando che in difetto di contestazione di una nuova infrazione il datore di lavoro non poteva riesaminare in sede disciplinare le precedenti mancanze, già colpite ciascuna da sanzioni di tipo conservativo, per applicare per quelle stesse infrazioni, sia pure unitariamente considerate, una più grave sanzione di carattere espulsivo).” (in senso conf. v. Cass. Sez. lav. n. 7523 del 27/3/2009)
Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno poste a suo carico come da dispositivo, unitamente al contributo unificato di cui all’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di € 3500,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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