CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 17914 depositata il 12 settembre 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – LICENZIAMENTO – SOTTRAZIONE DI BENI AZIENDALI – IMMAGINE DEL DATORE DI LAVORO – LEGITTIMITA’ DEL LICENZIAMENTO – SOTTRAZIONE DI GIORNALI DELL’ALBERGO
Fatto
Con ricorso al Tribunale di Roma in data 5 settembre 2006 L.S. impugnava il licenziamento disciplinare intimatogli dalla società C.G. srl – S.H.& R.W. inc in data 21.10.2005 per ragioni disciplinari, contestando la sussistenza dell’addebito e deducendo, comunque, la mancanza di proporzionalità tra i fatti contestati – consistenti nella sottrazione indebita, quale addetto alla portineria dell’Hotel St. R.G. in Roma, di copie di quotidiani destinati alla clientela – e la sanzione.
Esponeva di non avere sottratto i quotidiani ma di avere consegnato all’edicola sita nei pressi dell’hotel, prima dell’inizio del turno della mattina, alcune copie del quotidiano “Il Corriere della Sera” per scambiarle, seppure in un momento diverso, con altrettante copie di altre testate giornalistiche, onde garantire maggiore varietà del servizio alberghiero.
Il Tribunale, con sentenza del 5.2.2009 (nr. 19723/2008), respingeva il ricorso.
La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 18 giugno-14 novembre 2013, rigettava l’appello del L.
Rilevava che il lavoratore non aveva contestato di avere consegnato presso l’edicola le copie dei quotidiani di proprietà dell’albergo, rientrando poi in hotel senza alcun giornale sicché i fatti materiali (relativi alle date dell’1, 5, 9 luglio 2005, 26 agosto 2005, 23.9.2005) erano pacifici nonché documentati dalla registrazione delle videocamere e, per un episodio (in data 23.9.2005), constatati dalla polizia.
Il lavoratore aveva assunto di essere mosso dalla finalità di adempiere al proprio servizio; al riguardo la valutazione del giudice del primo grado circa la carenza di prova della prassi invocata dal L. e la inattendibilità dei testi da questi introdotti appariva corretta e condivisibile.
Parimenti condivisibile era il giudizio di adeguatezza della sanzione.
Da ultimo, alcun rilievo poteva rivestire la assoluzione in sede penale, pronunziata dal Tribunale di Roma in primo grado, tanto perché il processo penale aveva ad oggetto soltanto l’ultimo degli episodi contestati nella sede disciplinare, tanto perché la formula assolutoria adottata (assoluzione perché il fatto non costituisce reato, motivata dalla assenza del dolo specifico richiesto per il reato di appropriazione indebita di cui l’imputato era chiamato a rispondere) – non era vincolante nel giudizio disciplinare, a tenore dell’articolo 652 cpp.
Per la Cassazione della sentenza ricorre L.S., articolando quattro motivi. Resiste con controricorso la società C.G. srl.
Diritto
1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia – ai sensi dell’articolo 360 nr. 4 cpc – il difetto di legittimazione processuale di controparte nonché il vizio di omessa pronunzia. Espone che la società non aveva dato prova del potere di rappresentanza del dott. M.D.L. nonostante l’invito del primo giudice – alla udienza del 15.2.2007 – a fornire prova della qualità.
Aggiunge che la società si era costituita in giudizio in alcuni atti come S. – H. & R.W. inc in persona di M.D.L. e M.F., in altri atti come C.G. srl rappresentata da R.K.
Chiede pertanto rilevarsi il difetto di legittimazione processuale.
Il motivo deve essere dichiarato inammissibile per difetto di specificità.
In primo luogo non si comprende se il ricorrente contesti:
– Il potere in capo alla persona fisica del dott. M.D.L. di rappresentare la persona giuridica C.G. srl, costituita in giudizio (come sembrerebbe evincersi dal tenore complessivo del motivo)
– o piuttosto la legittimazione passiva alla lite della C.G. srl (in tali sensi deporrebbe il richiamo alla costituzione della resistente talora come società C.G. srl talora come S.H. & R.W. inc.)
In ogni caso, per costante giurisprudenza di questa Corte, richiamata dalla stessa parte ricorrente, non è consentita la proposizione per la prima volta in sede di legittimità di questioni che – seppure rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio – presuppongano nuovi accertamenti di fatto; in tale eventualità rientra la fattispecie di causa, dovendo essere esaminati gli atti costitutivi della persona giuridica ed i documenti camerali dai quali traggono origine il potere di rappresentanza della persona fisica costituita così come la legittimazione della persona giuridica alla lite.
Il ricorrente dichiara sul punto che la questione era stata oggetto di una ordinanza del giudice del primo grado (resa alla udienza del 15.2.2007) ma omette di riportare il contenuto della ordinanza nonché degli atti con cui la eccezione era stata sollevata nel primo grado e comunque riproposta nel grado di appello.
Analogamente non si comprende in cosa si sostanzierebbe il vizio di omessa pronunzia t posto che della omessa pronunzia si legge soltanto nella rubrica del motivo (unitamente al preteso difetto di legittimazione passiva).
In ogni caso il motivo difetta anche sotto tale profilo di specificità: affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia ai sensi dell’articolo 112 cpc. è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano rivolte una domanda o un’eccezione ritualmente ed inequivocamente formulate, per le quali detta pronunzia sia necessaria, dall’altro che tali istanze siano riportate nei loro esatti termini – e non genericamente – nel ricorso per Cassazione, con la indicazione specifica dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali erano state formulate, onde consentire al giudice di verificare la ritualità e decisività delle questioni prospettate (ex plurimis: Cass. 21226/2010; 6361/2007).
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce – ai sensi dell’articolo 360 nr. 5 cpc – omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia.
La censura afferisce al giudizio di mancanza di prova della prassi invocata dal ricorrente a giustificazione della condotta contestata.
Il ricorrente afferma che lo scambio di quotidiani di diverse testate è in uso presso molti alberghi, nella utilità esclusiva del datore di lavorale che la prassi era stata confermata da tutti i testi – anche nel processo penale – e contestata soltanto dal direttore e vice direttore generale, che non avevano conoscenza diretta dei fatti.
Il motivo è inammissibile.
Nella fattispecie trova applicazione ratione temporis (ai sensi dell’art. 54, co. 3 d.l. 83/2012) il nuovo testo dell’art. 360 co. 1 nr. 5 cpc, in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata in data successiva all’11 settembre 2012 sicché il vizio della motivazione è deducibile soltanto in termini di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.
Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. 22.9.2014 nr. 19881; Cass. S.U. 7.4.2014 nr. 8053) il nuovo testo del n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.
Al compito assegnato alla Corte di Cassazione dalla Costituzione resta invece estranea una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti, la quale implichi un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito. L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra pertanto l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.
Nella fattispecie il ricorrente non denunzia l’omesso esame di un fatto storico ma si limita a contrapporre alla valutazione degli elementi di prova compiuta dal giudice del merito una personale ricostruzione dei fatti, fondata su un diverso giudizio di attendibilità della fonti di prova, chiedendo con ciò alla Corte di effettuare una inammissibile valutazione di merito piuttosto che di legittimità.
3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta – ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 e nr. 5 cpc – violazione e falsa applicazione dell’articolo 2119 cc e dell’articolo 7 L. 300/1970.
Contesta la sussistenza dell’addebito anche richiamando le valutazioni del giudice penale.
In ogni caso assume la inidoneità dei fatti ad integrare gli estremi della giusta causa di licenziamento, in ragione del lungo periodo di servizio e della finalizzazione della condotta ad un interesse esclusivo del datore di lavoro.
Censura la mancanza di ogni valutazione del requisito della tempestività del recesso rispetto ad una prassi – confermata da tutti i testi e ritenuta esistente nel giudizio penale- tollerata dal datore di lavoro ed a questi nota perché registrata dalla videosorveglianza.
Il motivo è inammissibile quanto alla dedotta violazione dell’articolo 7 L. 300/1970. Trattasi di questione non esaminata nella sentenza impugnata sicché il ricorrente aveva l’onere di indicare gli atti con i quali essa era stata sottoposta al giudice del primo grado e riproposta al giudice dell’appello; come già rilevato in relazione al primo motivo di ricorso, non possono sottoporsi al giudice di legittimità per la prima volta questioni che (come l’eccepito difetto di tempestività della contestazione) non siano rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che comunque – seppure rilevabili d’ufficio anche in sede di legittimità – non siano state già esaminate nei gradi di merito e richiedano nuovi accertamenti di fatto (nella specie: risalenza nel tempo della condotta contestata, conoscenza e tolleranza del datore di lavoro).
Quanto alla assunta violazione dell’articolo 2119 c.c., il giudizio di diritto circa la integrazione della giusta causa di licenziamento, quale concretizzazione della norma elastica, va ancorato ai fatti accertati in sentenza; l’accertamento del fatto materiale è infatti riservato al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto ai sensi dell’articolo 360 nr. 5 cpc.
In punto di fatto la Corte territoriale ha accertato:
– Che non esisteva alcuna prassi dì cambio in edicola dei quotidiani acquistati dall’ albergo;
– Che il dipendente, volutamente, ripetutamente ed in assenza di qualsiasi autorizzazione, in violazione delle proprie competenze e delle procedure stabilite dal datore di lavoro aveva sottratto i giornali quotidiani di proprietà della azienda.
Il giudizio di sussunzione dei fatti così accertati nella fattispecie di cui all’articolo 2119 c.c. appare immune dal vizio in questa sede dedotto.
Al riguardo è decisivo il rilievo del carattere altamente fiduciario del rapporto tra la società di servizi alberghieri e gli addetti alla portineria, delegati dal datore di lavoro all’accoglienza della clientela ed al soddisfacimento delle sue prime esigenze.
La sottrazione di beni aziendali, ripetuta nel tempo, mina in radice l’affidamento del datore di lavoro, in quanto oltre a rilevare sul piano degli obblighi fondamentali del rapporto si riflette negativamente, per quanto si è detto, sull’immagine del datore di lavoro, appartenente ad un gruppo societario che gestisce alberghi di lusso. Si legge, infatti, in sentenza che la indagine nasceva dalle lamentale dei clienti che non si erano visti consegnare i giornali ordinati.
Non si ravvisano poi, nelle allegazioni del motivale condizioni di ammissibilità del vizio di motivazione ex articolo 360 nr. 5 cpc, pur denunziato in rubrica; non viene, infatti, in alcun modo allegato un fatto storico – decisivo e oggetto di discussione – il cui esame sia stato omesso nella sentenza impugnata.
4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta – ai sensi dell’articolo 360 nr. 5 cpc – omessa ed insufficiente motivazione in ordine a punti decisivi della controversia nonché omessa valutazione della sentenza penale e degli elementi di prova raccolti in sede penale.
Evidenzia che il giudice penale aveva ritenuto provata la finalizzazione della condotta a soddisfare un interesse del datore di lavoro e la sua rispondenza ad una prassi; assume l’omesso esame delle circostanze risultanti dalla produzione della sentenza di assoluzione resa nella sede penale e prodotta nel grado di appello e la contraddittorietà tra le circostanze processuali raccolte in sede civile e quelle del giudizio penale.
Il motivo è infondato.
Il vizio motivazionale deducibile nella fattispecie di causa è, come più volte evidenziato, unicamente quello che si traduce nell’omesso esame da parte del giudice dell’appello di un elemento di fatto decisivo ed oggetto di discussione.
L’unico elemento di fatto del quale il ricorrente denunzia il mancato esame è la sentenza penale di assoluzione dal reato di cui all’articolo 646 cpc.
Trattasi, tuttavia, di un elemento vagliato dal giudice del merito nella sentenza impugnataci quale ha ritenuto da un lato che la formula assolutoria adottata non era vincolante nel giudizio disciplinare ai termini dell’articolo 652 cpp., dall’altro che non vi era coincidenza tra il fatto oggetto della imputazione – limitato ad un unico episodio – e gli addebiti disciplinari, relativi ad una condotta reiterata.
Il fatto di cui si assume la decisività è stato pertanto esaminato dal giudice del merito sicché non ricorre la ipotesi prevista dal vigente nr. 5 dell’articolo 360 cpc.
Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.
Le spese seguono la soccombenza.
Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1 co. 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 100 per spese ed € 3.000 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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