CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 17971 depositata il 13 settembre 2016
LAVORO – LAVORO A DOMICILIO – SUSSISTENZA DI UN RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – DIRETTIVE – PROVA – ACCERTAMENTO
Svolgimento del processo
P.Q., sull’assunto di essere stata assunta sin dal 2.2.1991 dalla soc. C.F. come lavoratrice a domicilio per la confezione di cravatte e quindi di aver lavorato per la soc. Cravattificio di E.C., (ricevendo precise direttive sui modi e tempi del previsto e disposto confezionamento, in ragione di circa 600 pezzi a settimana) e di essere stata licenziata il 22.12.2005, adì il Tribunale GdL di Roma chiedendo sia la reintegra nel posto di lavoro sia il pagamento delle maturate differenze retributive alla stregua delle tariffe di cottimo pieno del CCNL applicabile.
Il Tribunale di Roma, sull’assunto che le società C.F. e C. non avessero in realtà contestato i fatti allegati, accolse la domanda afferente le differenze retributive ed accordò la tutela obbligatoria per quanto afferiva il licenziamento invalidamente irrogato.
La Corte di Roma, in totale riforma della sentenza impugnata, assunte le chieste prove testimoniali, rigettò la domanda della P., affermando che:
– era errata, come dedotto in appello, la pretesa “non contestazione” da parte delle società delle deduzioni iniziali, avendo esse di contro puntualmente esposto una diversa ricostruzione del rapporto, incompatibile con quella attorea;
– la prova orale (testi C., A.) e quella documentale non sostenevano adeguatamente l’assunto della P., non emergendo affatto un quadro di direttive analitiche sul confezionamento, di regole quantitative, di orari e tempi di riconsegna dei pezzi sul quale si sarebbe potuto fondare l’assunto di un rapporto di lavoro subordinato a domicilio.
Su tale premessa la Corte, pubblicava sentenza in data 18.09.2013 la cui motivazione era fondata sulle argomentazioni sopra sintetizzate ed il cui dispositivo recitava: “Rigetta l’appello; compensa le spese del doppio grado di giudizio”.
Ha quindi proposto ricorso la P. il 12.12.2013 articolando tre motivi ai quali le società intimate non hanno contrapposto difese.
Motivi della decisione
Ritiene il Collegio che il ricorso, affidato a motivi non fondati o non ammissibili, debba essere rigettato.
Il primo motivo denunzia nullità della sentenza per insanabile contrasto tra dispositivo di rigetto dell’appello e motivazione di accoglimento, in tal caso prevalendo il dispositivo di rigetto letto in udienza. La censura – che fa leva sull’indirizzo per il quale, in caso di contrasto tra dispositivo letto in udienza e dispositivo redatto in calce alla sentenza pubblicata, non può che prevalere quello letto e depositato a norma di legge, che “cristallizza” irrevocabilmente la decisione del giudicante (da ultimo cass. 23463 del 2015 e 18090 del 2007) – manca totalmente di indicare e trascrivere quale fosse il dispositivo, emesso, letto e pubblicato il 26.06.2013 e si limita ad invocare l’astratto, menzionato, esatto principio di diritto. La pretesa nullità, quindi, carente di alcuna allegazione compiuta del dato processuale, che, solo, avrebbe sostenuto la censura, si riduce alla mera constatazione del contrasto tra motivazione (amplissima) di accoglimento dell’appello con rigetto della domanda e secca espressione del dispositivo della sentenza 18.09.2013 di “rigetto” dell’appello. E il preteso contrasto non ha rilievo di sorta posto che – così ridotto nei suoi denunziati termini – il contrasto è escluso in radice dalla prevalenza della inequivoca motivazione e dall’evidente carattere di mero errore materiale della formula di rigetto estesa nel dispositivo in calce.
Il secondo motivo denunzia violazione dell’art. 420 c.p.c. per avere la Corte ignorato come la contestazione della C.F. era solo generica e la pretesa radicale estraneità della P. dall’ambito lavorativo era stata poi contraddetta dai testi. La censura è fuor di segno. Si afferma infatti che le precise allegazioni attoree sarebbero state solo “genericamente” contestate dalle società convenute, ma si manca non solo di trascrivere siffatta generica formula di contestazione ma anche, ed è dato assorbente, di contestare la precisa argomentazione contenuta a pag. 3 della sentenza di appello a sostegno dell’accoglimento del proposto motivo di gravame, quella per la quale le società a pagg. 5 e 6 della memoria di costituzione avrebbero contrapposto alla versione dei fatti attorea la propria ricostruzione, esattamente quella che la sentenza di appello riassume alla pag. 2 nella premessa in fatto. Di qui l’evidente inammissibilità del motivo che, ignorando la appena indicata ratio decidendi, contrappone al decisum una propria, astratta e generica, ricostruzione della difesa avversaria (per poi passare, ancor più inammissibilmente, ad affermare che la riferita contestazione generica sarebbe stata comunque smentita dai testi).
Il terzo motivo lamenta mancata applicazione dell’art. 1 legge 877/1973 ad un quadro probatorio che ne integrava la previsione e che comunque sarebbe stato emendabile con iniziative officiose della Corte.
La censura appare radicalmente inammissibile. Sotto il primo profilo, essa denunzia una mancata applicazione di norme di legge a fattispecie che ne avrebbe imposto l’applicazione, ma dimentica che siffatta ipotesi, di errore di diritto rapportabile all’art. 360 n. 3 c.p.c., si traduce nella doglianza di mancata “sussunzione” di fattispecie incontestata alla sfera di “governo” della norma di diritto che la avrebbe dovuta regolare e quindi in una doglianza che presuppone la totale pacificità del fatti: ipotesi che nulla ha a che vedere con la vicenda – quale quella di specie, attestata nello stesso motivo in disamina – di una doglianza sulla ricostruzione dei fatti, formulata sull’assunto che, se ben ricostruiti, quei fatti avrebbero integrato la fattispecie astratta delle norme invocate (da ultimo Cass. 11629 e 7568 del 2016). Sotto il secondo profilo, poi, le generiche doglianze (pag. 12 ricorso) sulla omessa attivazione di altre indagini istruttorie o sulla carente valutazione di dichiarazioni testimoniali, sono affatto irricevibili perché proposte avverso sentenza pubblicata il 18.09.2013 e quindi soggetta al limitato sindacato di vizio motivazionale introdotto dalla novella del 2012 (SU 8053 del 2014).
Si rigetta il ricorso senza che sia luogo a regolare le spese. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13 c. 1 quater dPR 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; nulla per le spese di giudizio; dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio contributo ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater dPR 115 del 2002.
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