CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 18119 depositata il 14 settembre 2016
TRIBUTI – CREDITO IVA RISULTANTE DAL QUADRO RX DELL’ULTIMA DICHIARAZIONE – CESSAZIONE ATTIVITA’ – RIMBORSO
FATTO E DIRITTO
La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue.
1. M.S. chiede la cassazione della sentenza impugnata — di riforma della sentenza con cui la C.T.P. di Nuoro ne aveva accolto il ricorso contro il silenzio-rifiuto sulla istanza di rimborso (presentata il 29.9.05) del credito IVA relativo all’anno 1998, indicato nel quadro RX del Mod. Unico 1999 (ultima dichiarazione per cessazione dell’attività), senza presentazione del Mod. VR — per violazione dell’art. 21, D.Lgs. n. 546/92 e 30, co. 2, nonché 38-bis, d.P.R. n. 633/72, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3) e 5) c.p.c.
2. L’Agenzia delle entrate dà atto che con la Direttiva n. 9 del 4.5.15 l’amministrazione, conformandosi al “recente orientamento della Cassazione”, ha disposto di abbandonare l’eccezione di decadenza per tardività della domanda di rimborso in ipotesi di omessa presentazione del Mod. VR, ferma restando la necessità di un riscontro dell’esistenza e dell’ammontare dell’eccedenza detraibile indicata in dichiarazione, ai fini del riconoscimento del diritto. Quindi, dopo aver riferito che “dal controllo sulla documentazione esibita dalla parte … è emersa la spettanza del credito IVA pari ad € 1.819,48 richiesto a rimborso”, invoca l’estinzione del giudizio con compensazione delle spese, anche se formalmente conclude per il rigetto del ricorso.
3. Nel processo tributario, il D.Lgs. n. 546/92 distingue le ipotesi di estinzione del processo per rinuncia al ricorso (art. 44), per inattività delle parti (art. 45) nonché nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere (art. 46, comma 1).
4. Nel giudizio di impugnazione, l’estinzione vera e propria del giudizio comporta il passaggio in giudicato dalla sentenza impugnata ex art. 338 c.p.c. (Cass. sez. I nn. 19160/07 e 22972/04), mentre la cessazione della materia del contendere implica il sopravvenire di un fatto nuovo che fa venire meno l’oggetto stesso del giudizio (come l’autotutela), e con esso l’interesse delle parti ad ottenere una pronuncia, ormai divenuta inutile (Cass. s.u. n. 1048/00; Cass. nn. 9332/01, 7450/02, 3122/03, 4714/06, 12887/09, 7185/10); pertanto, una volta rilevata la cessazione della materia del contendere, il giudice dell’impugnazione deve annullare o cassare senza rinvio la sentenza impugnata, portatrice di una statuizione non più attuale (Cass. sent. n. 19533/11 e ord. n. 13109/12).
5. L’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere (con regolazione delle spese secondo il criterio della soccombenza virtuale, a meno che le parti non ne chiedano congiuntamene la compensazione) richiede però che siano intervenuti fatti tali da rendere incontestato il venir meno dell’interesse alla pronuncia di merito. Al contrario, una mera convergenza tra le partì circa la fondatezza (o infondatezza) della pretesa, ovvero la condotta processuale con cui la parte – come nel caso di specie la controricorrente — riconosca il diritto in contestazione, con sostanziale adesione alla domanda, rende comunque necessaria una pronuncia sul merito del ricorso, unitamente alla statuizione sulle spese (Cass. nn. 4607/16, 7296/14, 25683/14, 13463/12, 10553/09).
6. Nel caso di specie – in cui la controricorrente riconosce la fondatezza della pretesa, invoca l’estinzione del giudizio e poi contraddittoriamente conclude per il rigetto del ricorso – non emerge un’ipotesi di sopravvenuta cessazione della materia del contendere (come ad esempio il rimborso del credito), sicché la causa va decisa, con una pronuncia sicuramente favorevole al ricorrente, in forza del consolidato orientamento per cui “In tema di IVA, la domanda di rimborso relativa all’eccedenza di imposta risultata alla cessazione dell’attività di impresa è regolata dall’art. 30, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, con la conseguenza che è esaustiva la manifestazione di una volontà diretta all’ottenimento del rimborso, ancorché non accompagnata dalla presentazione del modello ministeriale “VRM, che costituisce, ai sensi dell’art. 38 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, solo un presupposto per l’esigibilità del credito, ed è soggetta al termine ordinario di prescrizione decennale, e non a quello di decadenza biennale, ex art. 21, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, applicabile solo in via sussidiaria e residuale” (Cass. Sez. V, sent. n. 9941/15; conf. nn. 20069/14, 24889/13, 20039/11, 9794/10, n. 5486/03; sez. VI-5, ord. n. 5024/15).
7. Il ricorso va quindi accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa, con l’accoglimento dell’originario ricorso del contribuente e la condanna dell’Agenzia delle entrate alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità; le peculiarità processuali della vicenda consentono invece la compensazione delle spese dei gradi di merito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente. Condanna l’Agenzia delle entrate alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 1.300 oltre rimborso forfetario e accessori di legge; dichiara compensate le spese dei gradi di merito.
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