CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 1823 depositata il 24 gennaio 2017
Accertamento- Cessioni patrimoniali -Plusvalenze- Presunzioni – Mero valore imposta di registro- Non sussiste – Applicazione art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 147 del 2015- Carattere retroattivo della norma- Applicazione giudizi pendenti-Sussiste-
Massima:
In materia di cessioni di immobili e di aziende, l’esistenza di un maggior corrispettivo di cessione non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro ovvero delle imposte ipotecaria e catastale. Ritenendosi applicabile la norma di interpretazione di cui all’art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 147 del 2015, anche ai giudizi in corso alla data della sua entrata in vigore, atteso l’intento interpretativo chiaramente espresso dal legislatore e considerato che il carattere retroattivo costituisce elemento connaturale alle leggi interpretative.
In fatto
P.M., Po.Ma. e P.L. propongono ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia n. 201/13/2015, depositata in data 2/02/2015, con la quale – in controversia concernente le riunite impugnazione di tre avvisi di accertamento emessi ai fini della rettifica del prezzo di cessione di un’area edificabile, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. b) T.U.I.R. , per maggiore IRPEF dovuta in relazione all’anno 2006, – è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva accolto i riuniti ricorsi delle tre contribuenti.
I giudici d’appello, nell’accogliere il gravame dell’Agenzia delle Entrate, hanno sostenuto che correttamente il prezzo di cessione era stato determinato dall’Ufficio in via presuntiva, sulla base del prezzo definito dall’acquirente in sede di applicazione dell’imposta di registro, non avendo le contribuenti fornito valida prova contraria per superare tale presunzione; in particolare, non poteva valere il diverso valore accettato dall’acquirente in relazione ad altro avviso di accertamento riguardante la compravendita di un terreno edificabile confinante, non essendo state evidenziate e dimostrate “caratteristiche identiche e condizioni analoghe delle due aree”. A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in Camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.
Si dà atto che il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.
In diritto
1. Le ricorrenti lamentano, con il primo motivo, sia la violazione, ex art. 360 c.p.c. , n. 3, dell’ art. 67, comma 1, lett. a) e art. 68, comma 2 del T.U.I.R., non avendo i giudici della C.T.R. tenuto conto della eccezione, sollevata sin dal primo grado e reiterata nelle controdeduzioni in appello, in ordine all’applicabilità nella specie del disposto dell’art. 67, comma 1, lett. a) e non lett. b) del T.U.I.R. , trattandosi di terreno che era stato oggetto di lottizzazione; le ricorrenti lamentano, al riguardo, anche un vizio di omessa motivazione, ex art. 360 c.p.c. , n. 5. Con il secondo motivo, le ricorrenti denunciano poi la violazione, sempre ex art. 360 c.p.c. , n. 3, degli artt. 67 e 68 del T.U.I.R. e dell’art. 2697 c.c. , avendo i giudici della C.T.R. ritenuto che l’amministrazione finanziaria possa assolvere l’onere della prova su di essa gravate anche in forza della presunzione che assume a fatto noto il valore dell’immobile definito ai fini dell’imposta di registro per risalire al fatto ignoto rappresentato dal corrispettivo da assoggettare ad imposta sul reddito. Infine, con il terzo motivo, le ricorrenti denunciano, in via subordinata al mancato accoglimento del secondo motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c. , nn. 3 e 4, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 111 Cost. , comma 6, nonchè l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c. , n. 5, circa un fatto decisivo e controverso oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalle prove offerte al fine di dimostrare che il prezzo definito in sede di adesione dell’acquirente ai fini del Registro non fosse l’effettivo valore di mercato del terreno.
2. La prima censura, in ordine all’omesso esame del fatto consistente nell’essere stato il terreno ceduto oggetto di lottizzazione, è fondata.
Invero, anche se la controricorrente Agenzia delle Entrate deduce esservi stato effettivamente un proprio refuso nell’avviso di accertamento (indicando la lett. b) in luogo della lett. a)) – il che porrebbe fine alla questione – e che comunque, ai fini del calcolo della plusvalenza, le due differenti ipotesi non incidono, le ricorrenti deducono che, nell’ipotesi di cui alla lett. a), il costo di acquisto del terreno, ex art. 68, comma 2 del T.U.I.R., pervenuto per successione, essendo iniziata la lottizzazione, con la stipulazione nel 2004 della convenzione, poco prima della cessione, “sarebbe pari a zero, con la conseguenza che nessuna plusvalenza era stata conseguita”.
Sulla questione, la C.T.R. non si pronuncia espressamente, dando per pacifica l’ipotesi di cui alla lett. b) dell’ art. 67 del T.U.I.R..
3. La seconda censura e del pari fondata, con assorbimento della restante. Nelle more del giudizio, e intervenuto il D.Lgs. n. 147 del 2015 , il quale all’art. 5, comma 3 prevede che gli artt. 58, 68, 85 e 86 del T.U. delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. n. 917 del 1986 e del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 5, 5 bis, 6 e 7, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonchè per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito a fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. n. 131 del 1986 , ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui il D.Lgs. n. 347 del 1990 . La norma è da ritenersi applicabile anche ai giudizi in corso, atteso l’intento interpretativo chiaramente espresso dal legislatore e considerato che, come affermato tra le altre da C. Cost. n. 246 del 1992, il carattere retroattivo costituisce elemento connaturale alle leggi interpretative (Cass. 7488/2016; Cass. 6135/2016).
Come osservato già da questa Corte nulla pronuncia n. 7488 cit. sopra, “anche ove volesse porsi in dubbio che la norma in esame sia effettivamente interpretativa, è certo che se il riferimento alla interpretazione da attribuire a norme precedenti non serve per ciò solo ad attribuire ad una norma carattere interpretativo (ove tale carattere essa non abbia effettivamente), tuttavia testimonia dell’intento del legislatore di attribuire ad essa il carattere retroattivo che è proprio della norma interpretativa, intento che nella specie trova ulteriore conferma del citato art. 5, comma 4, laddove si prevede che le disposizioni di cui al comma 1 si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma nulla si prevede per i commi 2 e 3 (disposizioni formulate come norme interpretative) circostanza che contribuisce a togliere ogni dubbio circa l’intento del legislatore di attribuire carattere retroattivo alle previsioni dei suddetti commi”.
La sentenza della C.T.R. non è pertanto conforme ai suddetti principi di diritto.
3. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento dei primi due motivi del ricorso (assorbito il terzo), va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla C.T.R. della Puglia, in diversa composizione.
Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla C.T.R. della Puglia.
Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2017
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