CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 18845 del 5 maggio 2016
OMESSA DICHIARAZIONE – INDAGATO – SEQUESTRO PREVENTIVO SUI BENI DELL’INDAGATO – COLPEVOLE CONDOTTA DEL COMMERCIALISTA – RESPONSABILITA’ PENALE A CARICO DELL’IMPRENDITORE
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale del Riesame di Vibo Valentia, con ordinanza del 24.9.2015, pronunciando in sede di rinvio a seguito della sentenza 27145/15 della 3^ sezione penale di questa Corte di Cassazione del 24.4.2015 di annullamento dell’ordinanza del Tribunale di Vibo Valentia del 10.2.2015, rigettava l’istanza di riesame proposta da B.A., avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP presso il Tribunale di Vibo Valentia il 27.12.2014, avente ad oggetto le disponibilita’ liquide dello stesso B.A., fino al valore di Euro 305.395,51.
Il B. risulta indagato per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, comma 1, commesso in (OMISSIS) il (OMISSIS), in riferimento all’omessa dichiarazione IRPEF relativa all’anno 2010.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore, B.A., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
a. Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), artt. 309 e 324 c.p.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, nonche’ art. 125 c.p.p..
Il ricorrente deduce l’assoluta infondatezza oggettiva delle argomentazioni sulla presunta azione istigatoria svolta dal B. sul commercialista. Riporta le dichiarazioni di quest’ultimo raccolte nel processo verbale di constatazione, dalle quali si evincerebbe il ruolo inconsapevole del B., vittima del comportamento infedele e fraudolento del commercialista cui era stata delegata la tenuta delle scritture contabili e la compilazione e trasmissione delle dichiarazioni annuali.
La grave condotta tenuta dal commercialista, in palese violazione degli obblighi contrattuali, non potrebbe considerarsi irrilevante in sede di verifica sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di omessa presentazione delle dichiarazioni contestato al ricorrente.
Dal verbale di constatazione emergerebbe il regolare espletamento di ogni adempimento rientrante nelle competenze dirette del contribuente, che emetteva regolarmente gli scontrini fiscali e teneva i registri dei corrispettivi, per consegnare poi il tutto la commercialista, tenendo una condotta incompatibile con la volonta’ di evadere le imposte.
Il Tribunale, nel valutare la sussistenza del fumus commissi delicti, avrebbe dovuto escludere la configurabilita’ del dolo specifico, in quanto la mancata presentazione delle dichiarazioni e’ da ricondurre esclusivamente alla condotta truffaldina del commercialista.
Inoltre, anche se i reati tributari sono reati a soggettivita’ ristretta, la delega di funzioni attenua gli obblighi del contribuente non potendo risultare irrilevante la condotta del soggetto delegato, soprattutto se si considera che il contribuente, nel caso di specie, e’ un casaro e, certamente, non e’ in condizioni di adempiere personalmente gli adempimenti fiscali.
Il ricorrente richiama una recente sentenza di questa Corte di legittimita’ (la n. 24967/2015), che riconosce una responsabilita’ diretta del commercialista.
Il Tribunale, pertanto, nel riconoscere al contribuente un ruolo di istigatore, da un lato compirebbe un’erronea interpretazione di legge e dall’altro farebbe ricorso ad argomentazioni prive di efficacia dimostrativa dell’assunto.
Ancora, sostiene il ricorrente, il Tribunale dedurrebbe illogicamente la presenza del fumus dell’elemento soggettivo del reato da circostanze irrilevanti e prive del requisito della funzionalita’ rispetto alla coscienza e volonta’ di evadere le imposte, facendo riferimento a delle mere irregolarita’ formali e soprattutto non funzionali alla commissione del reato.
Si tratterebbe in realta’ di mere irregolarita’ di registrazioni fiscali.
Ancora il provvedimento impugnato farebbe riferimento a movimentazioni non giustificate contabilmente, senza indicare quali sarebbero e senza tener conto che la verifica fiscale iniziava con la constatazione dell’omessa tenuta di scritture contabili in quanto il commercialista incaricato non consegnava la copia cartacea della contabilita’, che si rifiutava di stampare in presenza degli accertatori.
Anche in questo caso la difficolta’ di giustificare movimentazioni risalenti a quattro anni prima, sarebbe da addebitare all’infedelta’ del commercialista e non potrebbe ritenersi sintomatica della volonta’ di evadere le imposte, soprattutto ove si consideri che se il B. avesse voluto evadere totalmente le imposte, non avrebbe esercitato l’attivita’ in forma individuale esponendosi personalmente nei confronti del fisco.
Inoltre la buona fede del B. sarebbe documentata anche dalla circostanza che lo stesso non solo non ha occultato o dismesso l’intestazione di beni, ma nel corso dell’indagine fiscale ha incrementato il proprio patrimonio con l’acquisto di un terreno edificabile, oggi sequestrato.
Su tali circostanze, non vi sarebbe alcun cenno nell’impugnato provvedimento che si limita a richiamare e mal interpretare le irrilevanti circostanze riportate nel verbale di constatazione.
Lo stesso Tribunale, poi, non si mostrerebbe convinto delle proprie argomentazioni laddove afferma che l’elemento soggettivo puo’ essere caratterizzato anche dal dolo eventuale, affermando, con riferimento alla fattispecie del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, la compatibilita’ del dolo eventuale con il dolo specifico.
b. violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), artt. 309, 324 e 125 c.p.p., art. 220 disp. att. c.p.p..
Il provvedimento impugnato avrebbe respinto l’eccezione di inutilizzabilita’ del processo verbale di constatazione sul presupposto che lo stesso costituisse un atto amministrativo extraprocessuale e che alla data del 9.7.2014 non fossero ancora emersi indizi del reato poi contestato.
Ritiene, invece, il ricorrente che gli indizi di reato sarebbero emersi proprio in data 9.7.2014, allorquando si appurava presso lo studio del commercialista l’omessa tenuta delle scritture contabili e l’omessa presentazione delle dichiarazioni.
Cio’ si evince dal processo verbale di constatazione, nel quale i verbalizzanti dopo aver notificato l’apertura di una verifica contabile su tre esercizi proseguivano l’attivita’ di verifica limitatamente al periodo d’imposta 1.1.2010 – 31.12.2010, rinviando il controllo degli ultimi anni.
Sarebbe pacifica pertanto l’inutilizzabilita’ del verbale per la parte successiva all’emersione degli indizi di reato e di tutte le indagini bancarie e finanziarie volte ad accertare l’effettivo superamento della soglia di punibilita’.
Gli accertamenti fiscali sarebbero inutilizzabili – secondo la tesi sostenuta in ricorso) anche al solo fine di configurare il fumus commissi delicti.
Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con accoglimento dell’istanza di riesame e contestuale ordine di restituzione al ricorrente di tutti i beni sottoposti alla misura cautelare reale.
3. Il P.G. presso questa Suprema Corte ha rassegnato in data 3.2.2016 le proprie conclusioni scritte ex art. 611 c.p.p., rilevando l’infondatezza del ricorso.
Il provvedimento impugnato avrebbe infatti motivato sui due punti oggetto di rilievo nella sentenza di rinvio.
In relazione al fumus commissi delicti rileva che il giudice della cautela deve valutare la mera ipotizzabilita’ della violazione senza alcuna possibilita’ di apprezzamento sulla fondatezza dell’accusa.
Su tale apprezzamento viene ricordato che il ricorso per cassazione e’ limitato alla sola violazione di legge, assimilando i casi della mancanza assoluta di motivazione o di motivazione meramente apparente.
Il rilievo sull’eventuale difetto dell’elemento soggettivo del reato, inoltre, e’ consentito solo se evidenziabile ictu oculi.
Il provvedimento impugnato – rileva il P.G. – ha colmato le lacune evidenziate dalla sentenza di rinvio sulla prospettabilita’ del dolo in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, richiamando il principio di questa Corte che la delega ad un professionista non esonera il contribuente dalla responsabilita’ penale per il reato di omessa dichiarazione e facendo riferimento ad elementi fattuali emersi nel corso della verifica fiscale, quali irregolarita’ e mancate giustificazioni nella tenuta delle scritture contabili, cosi’ evidenziando, sul piano dell’astratta ipotizzabilita’, un quadro di un soggetto incline a commettere illeciti fiscali.
Il P.G. ritiene infondata anche la censura per l’asserita violazione dell’art. 220 c.p.p., in quanto il giudice del rinvio ha fornito adeguata motivazione sul perche’ non fosse richiesta nel caso di specie, alcuna osservanza di disposizioni codicistiche, tenuto conto della natura di atto extraprocessuale e che alla data del 9.7.2014, non erano ancora emersi con certezza elementi tali da far ritenere integrata la fattispecie di reato.
Chiede, pertanto, dichiararsi l’inammissibilita’ o, in subordine, rigettarsi il ricorso.
4. Il ricorrente depositava, a mezzo fax in data 29.3.2016, memoria ex art. 127 c.p.p., comma 2, in replica alle conclusioni del P.G.
deducendo che, trattandosi di reato omissivo proprio, se l’affidamento a terzi dell’incarico di presentare la dichiarazione non esonera il contribuente, sul piano oggettivo, dalla responsabilita’ penale, e’ pur vero che l’elemento soggettivo del reato non deriva dalla semplice violazione dell’obbligo di presentazione, ne’ puo’ essere ricondotta ad una culpa in vigilando sull’operato del terzo.
Occorre il dolo specifico e la sua prova va ancorata alla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi della volontarieta’ dell’omissione al fine di evadere le imposte sui redditi.
Il ricorrente ritiene, tra l’altro, che, nel caso in questione, appaia ictu oculi la mancanza dell’elemento soggettivo perche’ il comportamento infedele del commercialista sarebbe emerso dal processo verbale di constatazione; dallo stesso verbale emergerebbe il compimento da parte del B. di tutti gli oneri propedeutici alla presentazione della dichiarazione; lo stesso commercialista non invocava circostanze imputabili al B. e non riferiva di aver informato il cliente della mancata presentazione delle dichiarazioni; infine le ritenute irregolarita’ e mancate giustificazioni richiamate dal tribunale non sarebbero sintomatiche del dolo specifico.
Si insiste, poi, nelle obiezioni circa l’utilizzabilita’ del verbale di constatazione nella parte successiva all’emersione della notizia di reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati, e pertanto il proposto ricorso va rigettato.
2. Preliminarmente, va ricordato, che l’art. 325 c.p.p., prevede contro le ordinanza in materia di appello e di riesame di misure cautelari reali che il ricorso per cassazione possa essere proposto per la sola violazione di legge.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha piu’ volte ribadito come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione cosi’ radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov, rv. 239692; conf. Sez. 5, n. 43068 del 13.10.2009, Bosi, rv. 245093).
Ancora piu’ di recente e’ stato precisato che e’ ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perche’ sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato. (cosi’ sez. 6, n. 6589 del 10.1.2013, Gabriele, rv. 254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati previsti dagli artt. 416, 323, 476, 483 e 353 c.p., con riguardo all’affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni ambigue, le quali, anche alla luce di quanto prospettato dalla difesa in sede di riesame, non erano idonee ad escludere che si’ fosse trattato di mere irregolarita’ amministrative).
Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell’atto.
Va anche aggiunto che, anche se in materia di sequestro preventivo il codice di rito non richiede che sia acquisito un quadro probatorio pregnante come per le misure cautelari personali, non e’ pero’ sufficiente prospettare un fatto costituente reato, limitandosi alla sua mera enunciazione e descrizione, ma e’ invece necessario valutare le concrete emergenze istruttorie per ricostruire la vicenda anche in semplici termini di “fumus”.
3. Ebbene, chiariti i limiti del sindacato di questa Corte Suprema, ritiene il Collegio che il provvedimento impugnato non presenti i lamentati vizi di legittimita’.
Nel caso in esame, si e’ senz’altro al di fuori di un’ipotesi di violazione di legge, pur negli ampi termini di cui sopra, perche’ il Tribunale di Vibo Valentia ha seguito un percorso motivazionale del tutto coerente laddove, con motivazione logica e congrua, in relazione alla prima censura fondata sull’assenza del fumus commissi delicti e sulla carenza di dolo specifico, facendo riferimento, oltre al dato incontestato della mancata presentazione della dichiarazione, alla mancata contabilizzazione di consistenti ricavi riportata nel processo verbale di constatazione. Di fatto, sul punto, il ricorrente tenta di ottenere un nuovo esame degli elementi fattuali, precluso in questa sede. In relazione alla seconda censura sull’inutilizzabilita’ del processo verbale di constatazione il tribunale motiva evidenziando che alla data del 9.7.2014, non erano ancora emersi gli indizi di reato, concludendo per l’utilizzabilita’ dello stesso.
Va evidenziato che il ricorso, ripropone di fatto le medesime doglianze mosse al provvedimento annullato dalla sentenza di rinvio.
Il Tribunale del riesame, con il provvedimento oggi impugnato, tuttavia, risponde pienamente ai rilievi mossi da questa Corte con la sentenza di annullamento.
Va ricordato che l’obbligo della presentazione della dichiarazione dei redditi incombe direttamente sul contribuente e, in caso di persone giuridiche, su chi ne abbia la legale rappresentanza, tenuto a sottoscrivere la dichiarazione a pena di nullita’ (D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322).
Il fatto che il contribuente possa avvalersi di persone incaricate della materiale predisposizione e trasmissione della dichiarazione (D.P.R. n. 322 del 1998, art. 3, commi 3 e 3 bis, cit.) non vale a trasferire su queste ultime l’obbligo dichiarativo che fa carico direttamente al contribuente il quale, in caso di trasmissione telematica della dichiarazione, e’ comunque obbligato alla conservazione della copia sottoscritta della dichiarazione (D.P.R. n. 322 del 1998, art. 1, comma 6).
L’adempimento formale, dunque, fa carico al contribuente il quale deve essere a conoscenza delle relative scadenze e puo’ anche giovarsi, a fini penali, del termine di 90 giorni concesso dalla legge in caso di infruttuoso superamento del termine (D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 7, e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, comma 2).
Ne consegue che il solo fatto di aver affidato ad un professionista, gia’ incaricato della tenuta della contabilita’, il compito di predisporre e trasmettere la dichiarazione dei redditi, non e’ circostanza che giustifichi di per se’ la violazione dell’obbligo o possa escludere la consapevolezza della inutile scadenza del termine.
Questa Corte di legittimita’ ha avuto modo di rilevare come solo la forza maggiore puo’ giustificare tale omissione (sez. 3 n. 3928 del 25.2.1991, Pasquino, rv. 186784), ma nella valutazione della sua sussistenza non si puo’ prescindere dal fatto che il contribuente ha, come detto, 90 giorni di tempo dalla scadenza del termine per adempiere all’obbligo.
4. Va aggiunto che, pur nel limitato ambito di sindacabilita’ che, come detto, ha questa Corte in materia di impugnazione di misure cautelari reali, e’ consentito il rilievo in ordine all’eventuale difetto dell’elemento soggettivo del reato, solo se, pero’, di immediata evidenza.
E’ stato piu’ volte precisato, infatti, che, in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, il giudice, benche’ gli sia precluso l’accertamento del merito dell’azione penale ed il sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, deve operare il controllo, non meramente cartolare, sulla base fattuale nel singolo caso concreto, secondo il parametro del “fumus” del reato ipotizzato, con riferimento anche all’eventuale difetto dell’elemento soggettivo, purche’ di immediato rilievo, in aderenza, peraltro, a quanto affermato dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 153 del 2007 (sez. 6, n. 16153 del 6.2.2014, Di Salvo, rv. 259337, in una fattispecie relativa a sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente in cui la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del tribunale del riesame che aveva ritenuto la sussistenza del “fumus” del reato di riciclaggio, limitandosi a richiamare il rapporto di affinita’ tra la ricorrente e l’autore del reato presupposto, nonche’ la formale titolarita’ da parte della stessa della carica gestoria delle societa’ nelle quali era stato reinvestito il profitto dell’attivita’ illecita, e ad osservare che non risultava con evidenza che la medesima “non fosse consapevole della provenienza illecita di quei proventi”; conf. sez. 2, n. 2908 del 2.10.2008 dep. il 21.1.2009, Bedino ed altro, rv. 242650).
Gia’ precedentemente si era affermato che al giudice e’ demandata una valutazione sommaria relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata, conseguendone che lo stesso giudice puo’ rilevare anche il difetto dell’elemento soggettivo del reato, purche’ lo stesso emerga ictu oculi (sez. 4 n. 23944 del 21.5.2008, Di Fulvio, rv. 240521).
Cio’ precisato, non vi e’ dubbio che per la consumazione del reato di omessa dichiarazione dei redditi e’ necessario il dolo specifico di evasione, per cui la semplice violazione dell’obbligo dichiarativo non basta: e’ necessaria non solo l’effettiva evasione (superiore al quantum previsto dalla norma, ritenuto da questa Corte di cassazione elemento costitutivo del reato) ma anche la prova che l’omessa dichiarazione fosse preordinata proprio all’evasione dell’imposta e per le quantita’ superiori alla soglia della rilevanza penale, e dunque nella consapevolezza del loro ammontare. Non e’ sufficiente a tal fine il richiamo alla “culpa in vigilando”, che inaccettabilmente trasformerebbe il rimprovero per l’atteggiamento antidoveroso da doloso in colposo, ne’ al “dolus in re ipsa”.
5. Costituisce, dunque, ius receptum di questa Corte di legittimita’ – e va qui ribadito- il principio che in tema di reati tributari, l’affidamento ad un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilita’ penale per il delitto di omessa dichiarazione (D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5), in quanto, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale ed indelegabile il relativo dovere.
Tuttavia, la prova del dolo specifico di evasione non deriva dalla semplice violazione dell’obbligo dichiarativo ne’ da una “culpa in vigilando” sull’operato del professionista che trasformerebbe il rimprovero per l’atteggiamento antidoveroso da doloso in colposo, ma dalla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l’omessa dichiarazione all’evasione dell’imposta per quantita’ superiori alla soglia di rilevanza penale (sez. 3, n. 37856 del 18.6.2015, Porzio, rv. 265087).
In altra pronuncia, precedente, affermando lo stesso principio, la Corte aveva precisato che una diversa interpretazione, che trasferisca il contenuto dell’obbligo in capo al delegato, finirebbe per modificare l’obbligo originariamente previsto per il delegante in mera attivita’ di controllo sull’adempimento da parte del soggetto delegato (sez. 3, n. 9163 del 29.10.2009 dep. l’8.3.2010, Lombardi, rv. 246208).
Gli obblighi fiscali, infatti, hanno carattere strettamente personale e non ammettono sostituti ed equipollenti poiche’ essi rispondono ad una speciale finalita’ di diritto tributario, quale quella di colpire il complesso dei redditi tassabili. Pertanto i predetti obblighi non possono considerarsi adempiuti dal contribuente con il semplice conferimento dell’incarico ad uno studio professionale, dato che cio’ comporterebbe una estrema facilita’ di evasione (sez. 3, n. 116 del 3.11.1983 dep. Il 6.1.1984, Taiano, rv. 162025).
Ebbene, il Tribunale di Vibo Valentia opere un buongoverno di tali principi di diritto, saldando in termini motivazionali, gli stessi e il richiamo ad elementi fattuali, quali le rilevate, ulteriori irregolarita’ e mancate giustificazioni nella tenuta delle scritture contabili da parte del B., emerse dal processo verbale di constatazione, cosi’ autorizzando, proprio sul piano dell’astratta ipotizzabilita’, la confluenza motivazionale di entrambi i rilievi in un quadro di consapevole e deliberato atteggiamento dell’indagato quale soggetto incline a dare corso a illeciti in materia tributaria e fiscale.
Del tutto diverso e’ il caso di cui alla sentenza 24967/2015 di questa Corte richiamata in ricorso. In quel caso, pure relativo a ricorso in materia di misure cautelari reali, l’indagato era il commercialista, chiamato a rispondere del reato quale istigatore, per avere, nella sua qualita’, tenutario delle scritture contabili dell’impresa ed incaricato della redazione e trasmissione delle dichiarazioni dei redditi, prestato la propria opera in continuativa difformita’ rispetto ai suoi doveri professionali ed omettendo, poi, ogni adempimento utile per ripristinare la legalita’, pur avendo continuato per lungo tempo ad assistere professionalmente il suo cliente.
6. Parimenti infondata, si reputa la reiterata censura in tema di asserita violazione dell’art. 220 disp. att. c.p.p., posto che, sul punto, il giudice di rinvio ha fornito in questo caso, a differenza di quanto avvenuto con la precedente ordinanza, congrua argomentazione su come alcuna osservanza di disposizioni codicistiche fosse richiesta nel caso in esame.
Va ricordato, sul punto, il dictum di questa Corte di legittimita’ secondo cui, in tema di reati tributari, ai fini della prova del reato di dichiarazione infedele, il giudice puo’ fare legittimamente ricorso ai verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza ai fini della determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, nonche’ ricorrere all’accertamento induttivo dell’imponibile quando le scritture contabili imposte dalla legge siano state irregolarmente tenute (sez. 3, n. 5786 del 18.12.2007 dep. il 6.2.2008, D’Amico, rv. 238825). Nello stesso solco ermeneutico e’ stato di recente rilevato come il processo verbale di constatazione redatto dal personale della Agenzia delle Entrate, per la sua natura di atto amministrativo extraprocessuale, non presuppone l’obbligo di avvisare il soggetto sottoposto a verifica fiscale della facolta’ di farsi assistere da un difensore di fiducia (sez. 3, n. 7930 del 30.1.2015, Marchetti’ ed altro, rv. 262518).
Rileva, peraltro, il tribunale calabrese che, alla data del 9.7.2014, ancora non si erano profilati, con certezza, elementi atti a lasciar gia’ ritenere come sussistenti tutti gli elementi integrativi della fattispecie: e, primo fra tutti, quello concernente l’accertato superamento della soglia di rilevanza penale dell’omissione a fini IRPEF.
7. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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