CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 18852 depositata il 26 settembre 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – PUBBLICO IMPIEGO PRIVATIZZATO – INQUADRAMENTI DEL PERSONALE CONTRATTUALIZZATO – SCELTE DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA IN MATERIA DI INQUADRAMENTO – CCNL
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 – Il Tribunale di Ferrara con sentenza del 20 aprile 2011 ha respinto le domande proposte dagli attuali ricorrenti e da altri litisconsorti i quali, nel convenire in giudizio l’Università degli studi di Ferrara, avevano chiesto l’accertamento del loro diritto ad essere inquadrati, a decorrere dal 9 agosto 2000, nella posizione economica DI, previa dichiarazione di nullità dell’art. 74 del CCNL Comparto Università per il quadriennio 1998/2001 e della tabella B allegata allo stesso contratto. I ricorrenti avevano, inoltre, domandato la condanna della convenuta al pagamento delle differenze retributive nonché al risarcimento del danno da perdita di chance, in quanto l’erroneo inquadramento nella categoria C. li aveva privati della possibilità di transitare, per progressione orizzontale, nelle posizioni economiche più elevate.
2 – Il Tribunale, richiamata la giurisprudenza di questa Corte, ha osservato che:
a) la classificazione professionale dei lavoratori è riservata alla contrattazione collettiva e non può essere sindacata dal giudice ordinario;
b) l’art. 45 del d.lgs n. 165 del 2001 non costituisce parametro per giudicare la legittimità di differenziazioni operate dalle parti collettive;
c) non è arbitrario ed irragionevole operare l’inquadramento differenziando la posizione di chi esercita le mansioni solo sulla base di una pregressa esperienza professionale, rispetto a quella di vincitori di concorso pubblico muniti di titolo di studio superiore;
d) nessuna dequalificazione si era verificata nel passaggio da un sistema all’altro, poiché le mansioni in concreto svolte erano rimaste immutate.
3 – Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso per saltum i ricorrenti indicati in epigrafe sulla base di un unico motivo, articolato in più punti. L’Università degli Studi di Ferrara ha resistito con tempestivo controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 – I ricorrenti denunciano, ex art. 360 n. 3 c.p.c., “violazione e/o erronea applicazione degli artt. 3, 35 comma 2, 36, 97 comma 1 Cost. anche in relazione all’art. 45 comma 2 e 52 comma 1 del d.lgs n. 165/2001 – disparità di trattamento nell’ambito della medesima qualifica funzionale di provenienza – violazione del principio di legalità”. Sostengono, in sintesi, che gli artt. 45 e 52 del d.lgs n. 165 del 2001 sono espressione di principi generali consacrati nelle norme costituzionali richiamate e, quindi, a detti principi deve attenersi anche la contrattazione collettiva, alla quale non può essere consentito di adottare atti di irragionevole discriminazione di un gruppo di lavoratori rispetto ad altri. Evidenziano che il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, sebbene contrattualizzato, conserva una sua specificità rispetto a quello privato, posto che la P.A. è, comunque, tenuta al rispetto dell’art. 97 Cost. e, quindi, anche quando non esercita poteri autoritativi, deve sempre rispettare il principio di legalità. Denunciano la arbitrarietà e la irragionevolezza dell’art. 74 del CCNL, rilevando che le procedure selettive riservate sono equipollenti al concorso pubblico. Aggiungono che la diversità di inquadramento nel nuovo sistema di classificazione, a parità di mansioni e qualifica di provenienza, non può essere giustificata dal possesso di un più elevato titolo di studio, dovendo, al contrario, essere valorizzata la anzianità di servizio che aveva consentito la partecipazione alla procedura riservata. Infine sollecitano la Corte a rimeditare l’orientamento già espresso con le sentenze richiamate nella sentenza impugnata, oltre che per le ragioni sopra evidenziate, perché il parametro normativo alla luce del quale può e deve essere valutata la legittimità della disciplina contrattuale è costituito dagli artt. 3 e 97 della Carta fondamentale.
2 – Il ricorso è infondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte, ribadendo il principio già affermato da plurime pronunce della Sezione Lavoro, hanno evidenziato che “in tema di pubblico impiego privatizzato, la materia degli inquadramenti del personale contrattualizzato è stata affidata dalla legge allo speciale sistema di contrattazione collettiva del settore pubblico, che può intervenire senza incontrare il limite della inderogabilità delle norme in materia di mansioni concernenti il lavoro subordinato privato. Ne consegue che le scelte della contrattazione collettiva in materia di inquadramento del personale e di corrispondenza tra le vecchie qualifiche e le nuove aree sono sottratte al sindacato giurisdizionale, ed il principio di non discriminazione di cui all’art. 45 del d.lgs. n. 165 del 2001 non costituisce parametro per giudicare delle eventuali differenziazioni operate in sede di contratto collettivo.” (Cass. S.U. 7.7.2010 n. 16038).
Detto principio è stato poi richiamato in recenti decisioni (Cass. 20.1.2014 n. 1038; Cass. ord. 14.10.2014 n. 21699; Cass. ord. 30.10.2014 n. 23092) con le quali, nel ritenere infondate pretese analoghe a quella qui fatta valere dai ricorrenti, si è statuito che l’art. 74, comma 4, del c.c.n.I. del comparto Università del 9 agosto 2000 consente l’inquadramento nella nuova categoria D al solo personale dipendente già inquadrato nella ex 7A qualifica funzionale che sia stato assunto a seguito di concorso pubblico per la partecipazione al quale era richiesto il diploma di laurea, non potendosi considerare indifferente la modalità di accesso alla ex 7A qualifica (per concorso pubblico ovvero mediante concorso riservato interno, che prescindeva dal possesso del titolo di studio) e trovando detta soluzione conferma negli accordi di interpretazione autentica, intervenuti in esito alla procedura prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 64 del 22 maggio 2003 e del 13 gennaio 2005, che hanno riconosciuto solo l’anzidetto personale come beneficiario di una progressione verticale”.
Infine è stato sottolineato che la peculiarità del regime giuridico dei contratti collettivi nazionali di lavoro dei dipendenti pubblici, non ne altera minimamente la natura giuridica, che resta a tutti gli effetti quella di fonti negoziali (Cass. S.u. 8 luglio 2008, n. 18621), con conseguente preclusione del controllo di validità per violazione delle norme costituzionali.
A dette pronunce il Collegio intende dare continuità, poiché il ricorso non prospetta argomenti che giustifichino la invocata revisione critica del precedente orientamento.
La asserita equiparazione fra concorso riservato e concorso pubblico si pone in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale che, al contrario, ha evidenziato che il principio del pubblico concorso costituisce la regola per l’accesso all’impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, da rispettare allo scopo di assicurare la loro imparzialità ed efficienza, principio al quale può derogarsi solo in virtù di peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico, in assenza delle quali sono state ritenute illegittime forme di selezione riservate, anche se finalizzate alla stabilizzazione di personale precario, poiché i concorsi riservati prescindendo del tutto dall’esigenza di consentire la partecipazione al concorso a chiunque vi abbia interesse, non consentono la selezione dei più meritevoli e pertanto violano il principio di cui agli artt. 51 e 97 della Costituzione (fra le più recenti Corte Cost. n. 277/2013; Corte Cost. n. 137/2013; Corte Cost. 177/2012).
Né risulta irragionevole ed arbitraria la valorizzazione, anche in sede di passaggio dall’uno all’altro sistema di classificazione, del possesso del titolo di studio richiesto per il primo inquadramento nella categoria superiore, giacché la professionalità del dipendente pubblico non può essere valutata solo in relazione alle mansioni concretamente espletate.
D’altro canto le evidenziate differenze relative al titolo di studio ed alle modalità di accesso all’impiego escludono che possa configurarsi una ingiustificata disparità di trattamento e, al contrario, giustificano il rilievo dato dalla contrattazione collettiva alle pregresse vicende dei rapporti di lavoro (in tal senso, con riferimento al personale del ruolo ad esaurimento, Cass. 13 febbraio 2013 n. 3530 e negli stessi termini Cass. nn. 10105/2013, 2419/2013, 2272/2013, 2036/2013).
Il ricorso va, quindi, rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno poste a carico dei ricorrenti nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 5.000,00, oltre rimborso spese prenotate a debito.