CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 19192 depositata il 28 settembre 2016
LAVORO – PREVIDENZA ED ASSISTENZA – INPS – TRASFORMAZIONE DELLA PENSIONE DI INVALIDITA’ IN PENSIONE DI VECCHIAIA – REQUISITI ANAGRAFICI E CONTRIBUTIVI – SUSSISTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata in data 25 maggio 2010, la Corte d’appello di Messina ha rigettato l’appello proposto dall’Inps contro la sentenza resa dal Tribunale di Patti che aveva accolto la domanda proposta da A.C. diretta ad ottenere la trasformazione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia e la condanna dell’ente previdenziale alla corresponsione della relativa prestazione dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda amministrativa, oltre interessi di legge.
La Corte territoriale ha ritenuto sussistente il diritto della parte alla trasformazione della pensione di invalidità (corrisposta con le modalità previste dalla legge anteriore alla riforma attuata con la legge n. 222/1984) in pensione di vecchiaia alla luce del disposto di cui all’art. 1, comma 10, legge cit., che ha sostituito all’unica prestazione prima prevista (la pensione di invalidità) due diversi tipi di prestazione, ovvero l’assegno di invalidità e la pensione di inabilità, conseguibili sulla base di diversi presupposti.
Contro la sentenza, l’Inps propone ricorso per cassazione sulla base di due articolati motivi, illustrati da memoria, mentre la parte intimata non svolge attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso l’Inps denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 10 del RDL 14/4/1939, n. 636, convertito nella L. 6/7/1939, n. 1272, dell’art. 1, commi 6° e 10°, L. 12/6/1984, n. 222, dell’art. 8 del D.L. 12/9/1983, n. 463 (conv. in L. n. 638/1983), dell’art. 60 R.D.L. n. 1827/1935, dell’art. 9 del R.D.L. n. 636/1939, dell’art. 2 L. n. 218/1952 e degli artt. 1, 2, 5 e 6 del D.Lgs. n. 503/1992, e censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che ai fini della trasformazione della pensione di invalidità ante lege n. 222/1984 in pensione di vecchiaia, i periodi di godimento della pensione di invalidità siano utili ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia. Secondo l’Istituto la disciplina della pensione di invalidità, prevista dall’art. 10 del r.d.l., n. 639/1939, non consente l’accredito di contributi figurativi relativi al periodo di fruizione di tale pensione, non potendo trovare applicazione analogica o estensiva l’art. 1, comma 10, L. n. 222/1984, stante, da un lato, il carattere eccezionale di disposizioni che nell’ordinamento previdenziale attribuiscono incrementi dell’anzianità assicurativa contributiva in mancanza di prestazione di attività lavorative e di versamento dei contributi, e, dall’altro, le differenze strutturali esistenti tra la pensione di invalidità e quella dell’assegno di invalidità.
2. Con secondo motivo di ricorso, l’Inps denuncia la violazione e falsa applicazione delle stesse norme succitate nella parte in cui la sentenza ha riconosciuto il diritto dell’assicurata ad ottenere una pensione di vecchiaia di importo non inferiore a quello della pensione di invalidità in godimento, dovendosi escludere l’applicazione analogica del comma 10 dell’art. 1 L. n. 222/1984 e non esistendo nel nostro ordinamento un principio di carattere generale che tuteli la pretesa dell’assicurato al trattamento pensionistico complessivo più favorevole.
Il ricorso è fondato nel primo motivo, rimanendo così assorbito l’esame del secondo.
Questa Corte (Cass. S.U. 4 maggio 2004 n. 8433), dopo avere affermato, in sede di risoluzione di un contrasto interno alla sezione lavoro, l’applicazione anche alla pensione di invalidità della regola (di cui all’art. 1, comma 10° della legge n. 222 del 1984) relativa alla possibile trasformazione della stessa in pensione di vecchiaia, ha recentemente precisato, con un orientamento divenuto ormai uniforme (Cass. 7 luglio 2008 n. 18580, seguito poi da numerose altre pronunce, tra cui Cass., 9 marzo 2009, n. 5646; Cass. 17 febbraio 2011, n. 3855; Cass., 27 dicembre 2011, n. 29015; Cass., 20 gennaio 2015, n. 861; Cass., ord. 11 febbraio 2015, n. 2731), che “la trasformazione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia al compimento dell’età pensionabile è possibile ove di tale ultima pensione sussistano i requisiti propri anagrafico e contributivo, non potendo essere utilizzato, a fini di incrementare l’anzianità contributiva, il periodo di godimento della pensione di invalidità. Infatti, deve escludersi la possibilità di applicare alla pensione di invalidità la diversa regola prevista dall’art. 1, comma 10, della legge n. 222 del 1984 in riferimento all’assegno di invalidità – secondo cui i periodi di godimento di detto assegno nei quali non sia stata prestata attività lavorativa si considerano utili ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia – giacché ostano a siffatta operazione ermeneutica la mancanza di ogni previsione, nella normativa sulla pensione di invalidità, della utilizzazione del periodo di godimento ai fini dell’incremento dell’anzianità contributiva, il carattere eccezionale delle previsioni che nell’ordinamento previdenziale attribuiscono il medesimo incremento in mancanza di prestazione di attività lavorativa e di versamento di contributi, nonché le differenze esistenti tra la disciplina sulla pensione di invalidità e quella sull’assegno di invalidità, là dove quest’ultimo, segnatamente, è sottoposto a condizioni più rigorose, anche e soprattutto rispetto al trattamento dei superstiti”.
A tale orientamento questo collegio ritiene di dover dare continuità, e ciò comporta l’accoglimento del ricorso.
La sentenza impugnata va pertanto cassata e non essendo necessari ulteriori accertamenti istruttori la causa deve essere decisa nel merito con il rigetto della domanda dell’originaria ricorrente.
In ragione dei contrasti interpretativi esistenti al momento della proposizione dell’originario ricorso, come peraltro attestati dalle due pronunce di merito favorevoli all’assicurata, sussistono ragioni per compensare per intero tra le parti le spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta dall’originaria ricorrente. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.