CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 20222 depositata il 7 ottobre 2016
LICENZIAMENTO INDIVIDUALE – RIFIUTO DI SVOLGERE LE MANSIONI – MANCATO RICONOSCIMENTO DELLA QUALIFICA SUPERIORE – NON SUSSISTE.
FATTO
Con sentenza 22 agosto 2013, la Corte d’appello di Ancona rigettava la domanda di V.G. di maggior retribuzione conseguente all’inquadramento dal giugno 2007 nella superiore qualifica richiesta di 5^ livello del CCNL per i dipendenti delle industrie metalmeccaniche private, riconosciutogli dalla sentenza di primo grado: esclusivamente sotto questo profilo riformandola; confermandola invece nel riconoscimento del diritto a tale qualifica, nell’accertamento dell’illegittimita’ del licenziamento disciplinare intimatogli il 15 luglio 2010 dalla datrice Mecaer Aviation Group s.p.a. e nella condanna di questa alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni medio tempore maturate fino all’effettiva ricostituzione del rapporto.
A motivo della decisione, la Corte territoriale ribadiva la spettanza a V.G. della richiesta qualifica superiore, corrispondente alle mansioni svolte, in particolare di certificazione delle operazioni di manutenzione di elicotteri, che egli dopo circa tre anni non aveva ancora avuto correttamente qualificate, nonostante le ripetute richieste e che pertanto dal giugno 2010 aveva rifiutato (esse sole) di continuare a svolgere.
In conseguenza di cio’, la societa’ datrice gli aveva intimato il licenziamento disciplinare accertato come illegittimo, per la qualificazione del rifiuto del lavoratore alla stregua di legittima eccezione di inadempimento, ai sensi dell’art. 1460 c.c.: con le coerenti conseguenze risarcitorie, a norma della L. n. 300 del 1970, art. 18, applicabile ratione temporis, avendo poi V.G. optato per il pagamento di quindici mensilita’ di retribuzione globale di fatto, in luogo della disposta reintegrazione.
La Corte marchigiana negava, tuttavia, il diritto del lavoratore ad una retribuzione maggiore per la superiore qualifica riconosciuta, avendone percepito una di entita’ maggiore dei minimi contrattuali per essa previsti, senza violazione del suo diritto ad una retribuzione sufficiente.
Con atto notificato il 21 febbraio 2014 Mecaer Aviation Group s.p.a. ricorre per cassazione con quattro motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resiste V.G. con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame del fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti della ritenuta non contestazione dell’attivita’ di certificazione delle operazioni svolta dal lavoratore.
Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., e art. 4 sez. 3^ disciplina generale del CCNL per i dipendenti delle industrie metalmeccaniche 7 maggio 2003 (confluito senza modifiche nell’art. 1 tit. 2^ sez. 4^ del CCNL 20 gennaio 2008), art. 1362 c.c. e ss., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non corretto inquadramento del lavoratore nel 5^ livello, ignorando le declaratorie dei livelli 4^ e 5^ in comparazione, nell’inosservanza in particolare, per la qualificazione dell’attivita’ di controllo di carattere tecnico o amministrativo, del canone ermeneutico letterale.
Con il terzo, la ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., artt. 2118 e 2119 c.c., e L. n. 604 del 1966, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, per erronea assunzione dalla Corte territoriale di una giusta causa del licenziamento, invece intimato per giustificato motivo soggettivo, nella comprovata corresponsione al lavoratore dell’indennita’ di mancato preavviso.
Con il quarto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1460, 2103, 2104 e 2105 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non corretta qualificazione del rifiuto del lavoratore di svolgere l’attivita’ di certificazione delle operazioni alla stregua di eccezione di inadempimento, anziche’ di comportamento disciplinarmente rilevante, quale insubordinazione all’esercizio del legittimo ius variandi datoriale.
Il primo motivo, relativo a omesso esame del fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti della ritenuta non contestazione dell’attivita’ di certificazione delle operazioni svolta dal lavoratore, e’ inammissibile.
La pronuncia dei due giudici di merito e’ stata fondata sulla stessa questione di fatto, relativa all’accertamento della certificazione da parte di V.G. delle operazioni di controllo svolte, a fini di qualificazione delle sue mansioni al V livello contrattuale, (cd. “doppia conforme”), ai sensi e per gli effetti previsti dall’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, applicabile ratione temporis.
La sentenza d’appello ha, infatti, confermato quella di primo grado, sul fondamento delle stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto poste a base della seconda (Cass. 18 dicembre 2014, n. 26860; Cass. 9 dicembre 2015, n. 24909). Ne’ la ricorrente, per evitare l’inammissibilita’ del motivo denunciante il vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ha indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e di quelle a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la diversita’ (Cass. 10 marzo 2014, n. 5528).
Ma ulteriore ragione di inammissibilita’ del mezzo e’ ravvisabile nella deduzione inesatta del vizio: non gia’ di omesso esame di un fatto storico, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e avuto carattere decisivo, ossia idoneo, qualora esaminato, a determinare un esito diverso della controversia (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498); ma di censura di una valutazione, preclusa, nel giudizio di cassazione, dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, cosi’ come in generale l’accertamento dei fatti o la loro valutazione a fini istruttori (Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).
Ne’, infine, vizio denunciabile quale violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, siccome non consistente in una critica ad un principio di diritto, ma in un apprezzamento di fatto (Cass. 11 gennaio 2007, n. 324).
Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., e art. 4 sez. 3^ disciplina generale del CCNL per i dipendenti delle industrie metalmeccaniche 7 maggio 2003 (confluito senza modifiche nell’art. 1 tit. 2^ sez. 4^ del CCNL 20 gennaio 2008), art. 1362 c.c. e ss., per non corretto inquadramento del lavoratore nel 5^ livello, e’ infondato.
La Corte territoriale ha, infatti, correttamente accertato in fatto la meglio ritenuta qualifica del lavoratore, sulla scorta di una motivazione sufficientemente ancorche’ succintamente argomentata, in esito ad esatta applicazione, nell’esame del 4^ e del 5^ livello contrattuale in comparazione, del procedimento logico-giuridico trifasico (scandito dall’accertamento in fatto delle attivita’ lavorative in concreto svolte, dall’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine con i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda), da osservare nella qualificazione delle mansioni svolte in concreto, rispetto ad una specifica posizione funzionale (Cass. 25 settembre 2015, n. 19030; Cass. 28 aprile 2015, n. 8589; Cass. 27 settembre 2010, n. 20272).
Il terzo motivo (omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., artt. 2118 e 2119 c.c., e L. n. 604 del 1966, art. 3, per erronea assunzione dalla Corte territoriale di giusta causa del licenziamento, invece intimato per giustificato motivo soggettivo) puo’ essere congiuntamente esaminato, per ragioni di stretta connessione, con il quarto (violazione e falsa applicazione degli artt. 1460, 2103, 2104 e 2105 c.c., per non corretta qualificazione del rifiuto del lavoratore di svolgere l’attivita’ di certificazione delle operazioni svolte alla stregua di eccezione di inadempimento).
Essi sono infondati.
L’erronea qualificazione del licenziamento per giusta causa (tale, in particolare, affermato al settimo e decimo capoverso di pg. 2 della sentenza), peraltro priva di natura decisoria, e’ irrilevante, essendo stata esclusa la giustificazione disciplinare del licenziamento stesso.
E cio’ per il ritenuto inadempimento datoriale, la cui gravita’ e’ sempre rimessa all’esame del giudice di merito ed e’ incensurabile in cassazione se la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o giuridici (Cass. 23 marzo 2012, n. 4709), sulla base di una’argomentazione adeguata, sia pure molto concisa, della Corte territoriale, che ha qualificato come legittima l’opposizione dal lavoratore del rifiuto parziale della prestazione.
Ad una tale operazione, di qualificazione giuridica del comportamento tenuto da V.G., essa ha proceduto secondo una corretta valutazione comparativa degli opposti inadempimenti, avendo avuto riguardo anche allo loro proporzionalita’ rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse (Cass. 16 maggio 2006, n. 11430).
Preme sottolineare come, nel caso di specie, nella palese inconferenza del richiamo all’esercizio di un legittimo ius variandi datoriale, il lavoratore abbia limitato il proprio rifiuto alle sole mansioni di certificazione (peraltro svolte per un periodo di circa tre anni) non riconosciutegli dalla societa’ datrice nella superiore qualificazione reiteratamente richiesta. Appare cosi’ evidente come esso integri ipotesi del tutto diversa da quella (oggetto di scrutinio in precedenti di legittimita’ infondatamente invocati a sostegno dalla ricorrente) del lavoratore, che, adibito a mansioni non rispondenti alla qualifica e che ben possa richiedere in via giurisdizionale, aprioristicamente rifiuti, senza un avallo giudiziario, l’esecuzione tout court della prestazione richiestagli (Cass. 20 luglio 2012, n. 12696; Cass. 19 dicembre 2008, n. 29832).
Sicche’, il suddetto rifiuto parziale della prestazione opposto da V.G. deve essere ritenuto, in quanto proporzionato all’inadempimento datoriale (Cass. 29 febbraio 2016, n. 3959, in specifico riferimento ad ipotesi di trasferimento non adeguatamente giustificato), in buona fede, cosi’ da elidere la giustificazione del licenziamento disciplinare (Cass. 5 settembre 2012, n. 14905): secondo un accertamento di fatto coerente con il criterio normativo correttamente applicato in diritto.
Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna Mecaer Aviation Group s.p.a. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
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