CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 20820 depositata il 14 ottobre 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA – CARATTERE ORALE – ONERE DELLA PROVA – TERMINE PER IMPUGNARE
Svolgimento del processo
A.G., sull’assunto di essere stato licenziato dalla datrice di lavoro soc. Autotrasporti Z. & B., oralmente, il 18.11.2004 e per iscritto, per giusta causa, il 22.11.2004, e ritenendo inefficace il primo ed illegittimo il secondo recesso, ha adito il Tribunale di Verona GdL chiedendo la reintegrazione. Il Tribunale con sentenza 10.11.2009 ha rigettato la domanda e la Corte di Venezia con sentenza 24.05.2013 ha respinto l’appello del G..
La Corte territoriale ha affermato in motivazione: che, contrariamente alla opinione dell’appellante, il mandato ad litem era stato validamente conferito da uno dei soci della società in nome collettivo (essendo il potere spettante a tutti i soci, in difetto di pattuizione espressa); che, spettando al G. l’onere di provare il carattere orale del licenziamento, la prova acquisita aveva fatto escludere che di tal licenziamento si fosse trattato, nessuna rilevanza avendo la lettera che ne denunziava la inefficacia e comunque rettamente avendo la società adottato licenziamento per giusta causa pochi giorni appresso; che, con riguardo al licenziamento adottato per giusta causa, esso, per quanto assunto nella violazione dell’art. 7 S.L., era impugnabile nel termine decadenziale di sessanta giorni ma non era stato affatto impugnato in tal termine, a nulla valendo invocare la lettera 28.12.2004 significativa della sola volontà di non riprendere servizio.
Per la cassazione di tale sentenza il G. ha proposto ricorso il 25.11.2013 articolando quattro motivi, ai quali ha opposto difese la società con atto del 4.01.2014.
Alla udienza del 13.09.2016 i difensori, presenti, hanno richiamato le proprie difese.
Motivi della decisione
Ritiene il Collegio che, essendo i proposti motivi non fondati o non ammissibili, il ricorso debba essere rigettato.
Con il primo motivo si denunzia violazione degli artt. 2293- 2266 -2257 cod. civ., per avere la Corte di merito ignorato che era documentata la diversa pattuizione sui poteri dei soci, essendo accertato ex actis che per gli atti di amministrazione straordinaria (quale la procura alle liti) occorreva la firma congiunta dei soci. La censura non ha fondamento, posto che:
A) La decisione sociale di resistere a lite proposta dal proprio contraddittore (come nella specie, avendo riguardo alla decisione di resistere in appello alla impugnazione proposta dal G.) deve ritenersi atto di ordinaria amministrazione (Cass. 2986 del 2016 ed 8676 del 2009), in difetto di contraria previsione statutaria che rimetta la scelta alla congiunta decisione dei soci della società di persone;
B) La diversa pattuizione sociale rilevante nella specie, ed indicata nel motivo di ricorso in disamina, è in questa sede meramente affermata (con rinvio a documenti dei fascicoli di parte): la sua invocazione, in difetto della sua sintetica riproduzione nel motivo, resta dunque mera difesa priva di alcun margine di accoglibilità in questa sede, dovendo questa Corte – alla quale è inibita la lettura diretta degli atti di parte acquisiti le volte in cui si controverta sulla loro interpretazione – constatare che le pretese diverse previsioni statutarie di cui alla doglianza sono mera affermazione difensiva.
Con il secondo motivo si lamenta, quindi, omessa motivazione sul fatto decisivo costituito – a provare la sussistenza di licenziamento orale del 18.11.2004 – dalla avvenuta restituzione del camion aziendale in quella data. La doglianza è affatto inammissibile. Viene infatti negletto da parte ricorrente il dato relativo alla avvenuta pubblicazione della sentenza di appello in data 24.05.2013 e quindi nel pieno vigore delle modifiche apportate all’art. 360 n. 5 c.p.c. dall’art. 54 c. 1 lett. B) D.L. 83/2012 convertito in legge 134/2012, modifiche in virtù delle quali, ed alla luce dei principii posti dalle Sezioni Unite di questa Corte (da sentenza 8053 del 2014), non è consentito sindacato sulla completezza valutativa degli elementi probatori apprezzati dal giudice del merito. Il che comporta che, avendo la Corte di Venezia ampiamente valutato la portata della riconsegna dell’automezzo il 18.11.2004 (ed escluso che tale elemento unitamente ad altri significasse che la riconsegna era stata imposta da recesso orale), non è consentito in sede di legittimità un sindacato sulla espressa motivazione in fatto.
Con il terzo motivo si denunzia violazione dell’art. 2697 cod.civ. per avere il giudice di appello addossato al lavoratore la prova del carattere orale del licenziamento, laddove testi e fatti pacifici attestavano la verità di tal fatto e là dove era l’Azienda ad essere onerata di prova contraria.
Il motivo non ha ingresso. Invero la Corte di Appello – al di là della esattezza della statuizione sulla incombenza sul lavoratore dell’onere di provare il carattere orale del licenziamento del 18.11.2004 – ha poi specificamente argomentato (pagg. 9 e 10) nel senso che non vi era alcuna prova del fatto stesso dell’avvenuto licenziamento orale in detta data. E tale valutazione della prova è del tutto insindacabile alla luce dei principi posti dalle predette SS.UU. 8053 del 2014.
Con il quarto motivo sì lamenta, infine, violazione dell’art. 7 S.L. per aver affermato che anche a licenziamento nullo, per la pacifica inosservanza delle norme procedimentali di garanzia, dovevasi applicare il termine di impugnativa di cui alla legge 604 del 1966. Anche tale censura non è affatto condivisibile.
Ed infatti, il Collegio intende dare continuità all’indirizzo per il quale solo il licenziamento impartito oralmente non è soggetto al termine di impugnativa ex lege (cfr. ex muitis Cass. 16955 del 2007, 15106 del 2012 e 22825 del 2015) nel mentre alla osservanza di tal termine è sicuramente sottoposta l’impugnativa del licenziamento adottato in violazione delle prescrizioni imperative poste dall’art. 7 della legge 300 del 1970 (Cass. 996 del 2005).
Il ricorso va dunque respinto, con le conseguenze dì legge in ordine al regime delle spese processuali.
Il rigetto del ricorso, notificato dopo il 31.1.2013, impone poi la declaratoria di quanto previsto dalla disposizione citata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a corrispondere alla società contro ricorrente le spese di giudizio che determina in € 2.500 per compensi ed in € 100 per esborsi, oltre a spese generali al 15% ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del dPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte ricorrente dell’ulteriore importo del c.u. dovuto per il ricorso.
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