CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 2090 del 5 febbraio 2015
ACCERTAMENTO – RISTRETTA BASE PARTECIPATIVA – INVERSIONE DELL’ONERE DELLA PROVA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo, contro la sentenza resa dalla CTR Campania n. 228/18/12, depositata il 21.9.2012. La CTR ha accolto l’appello proposto da B.C. contro la sentenza resa dal giudice di primo grado che aveva rigettato il ricorso del contribuente avverso l’avviso di accertamento relativo a Irpef e addizionali per l’anno 2001, con il quale l’Ufficio aveva ritenuto la distribuzione di utili accertati nei confronti della società LA.MA. s.r.l., della quale il contribuente era socio al 34%, essendo il sodalizio a ristretta base partecipativa tre soci.
La CTR ha ritenuto che l’Ufficio non aveva fornito la prova della distribuzione dei dividendi al socio contribuente.
L’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., poiché la CTR aveva escluso la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili ai soci di società a base ristretta senza considerare che il numero degli associati tre – integrava il requisito richiesto per l’operatività della presunzione.
La parte contribuente, nel controricorso, ha chiesto il rigetto della censura, evidenziando che, in mancanza di un accertamento definitivo nei confronti della società, la decisione del giudice di appello, al quale era stato chiesto di sospendere il giudizio, era corretta.
La censura è manifestamente fondata.
Questa Corte è ferma nel ritenere che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla compagine sociale, ovvero da essa reinvestiti (Cass. n. 5076 del 2011, n. 9519 del 2009 e n. 7564 del 2003; Cass. n. 6780/03; Cass. n. 7564/03; Cass. n. 16885/03; Cass. n. 18640/2008; Cass. n. 8954/13).
Non si è mancato, poi, di precisare che i principi appena ricordati, ancorchè spesso enunciati nell’ambito di controversie in cui i (pochi) soci della società di capitale erano (anche) legati tra loro da rapporti di parentela o di coniugio, non postulano necessariamente l’esistenza di tali rapporti, in quanto discende dalla regola di comune esperienza secondo cui dalla ristrettezza della base sociale discende – secondo l’id quod plerumque accidit e salva la possibilità del contribuente di offrire la prova contraria -un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e di reciproco controllo tra i soci medesimi; il che legittima, anche quando i soci non siano legati da rapporti familiari, la presunzione che gli stessi siano edotti degli affari sociali e quindi siano consapevoli dell’esistenza di utili extrabilancio e se li distribuiscano in proporzione delle rispettive quote di partecipazione al capitale – cfr. Cass. n. 19680/12.
Orbene, la CTR non si è conformata ai principi superiormente ricordati, ritenendo che fosse l’Ufficio a dovere provare l’avvenuta distribuzione degli utili ai soci.
Pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR della Campania perché faccia applicazione dei principi sopra esposti, valutando poi i presupposti per provvedere all’eventuale sospensione del giudizio in relazione alle sorti del procedimento relativo all’accertamento notificato alla società – v. Cass. n. 10270/2011, n. 20721/2010, n. 7564/2003 e n. 10951/2002.
P.Q.M.
LA CORTE visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR della Campania anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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