CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 2114 del 3 febbraio 2016

LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – DIRIGENTI PUBBLICI – RETRIBUZIONE DI POSIZIONE – QUOTA STABILITA TABELLARMENTE IN SEDE CONTRATTUALE – GRADUAZIONE DELLE FUNZIONI

La retribuzione di posizione dei dirigenti pubblici è composta da una quota stabilita tabellarmente in sede contrattuale, divisa a sua volta in una parte fissa e in una variabile, nonché, eventualmente, da una ulteriore quota, parimenti variabile, che concorre a determinare il trattamento complessivo in base alla graduazione delle funzioni.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

Il ricorrente in primo grado, dirigente presso l’A.B., chiedeva la condanna dell’AsI al pagamento della somma indicata in ricorso a titolo di parte variabile della retribuzione di posizione per l’anno 1998. La A. contestava la fondatezza della domanda che invece il Tribunale accoglieva con relativa condanna della A. La Corte di appello di Napoli accoglieva l’appello della A. La Corte territoriale osservava che era fondata la tesi della parte appellante secondo cui la parte variabile era dovuta solo per raggiungere il valore complessivo dell’incarico, mentre a titolo di conguaglio era già stata corrisposta una somma almeno pari al valore complessivo dell’incarico, che comprendeva una parte fissa ed una variabile. Nel 2000 la A. aveva determinato per il 1998 e 1999 una quota fissa ed una variabile e pertanto non poteva essere complessivamente attribuita all’appellato una somma superiore al valore dell’incarico: l’indennità di posizione era stata quindi regolarmente corrisposta tenuto conto di quanto versato anche a titolo di conguaglio. La Corte aggiungeva che l’art. 24 del CCNL del 2005 non poteva ritenersi norma di interpretazione autentica, posto che non era stata sottoscritta da tutte le sigle che avevano firmato la norma dubbia, ma che questo non poteva comportare l’accoglimento della domanda che non poteva dirsi fondata alla stregua delle ragioni già dette.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il D.M. con due motivi; resiste controparte con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE 

Con il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 53 e 55 CCNL del 5.12.1996, nonché degli artt. 1362, 1363 e ss. e dei canoni di interpretazione dei CCNL come indicati dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo alla posizione variabile per l’anno 1998 e che all’importo determinato a titolo di parte variabile andava sottratta soltanto la somma già percepita a tale titolo e non anche quanto percepito a titolo di posizione fissa.

Il motivo appare infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte che si condivide pienamente. Questa Corte ha infatti affermato in una controversia di oggetto identico che “l’art. 50 CCNL di settore 5.12.1996 prevede la determinazione da parte delle aziende della “graduazione delle funzioni dirigenziali cui è correlato il trattamento economico di posizione” (comma 1), attribuendo “ad ogni posizione dirigenziale prevista nel proprio assetto organizzativo un valore economico secondo i parametri di riferimento di cui agli artt. 54 e 55” (comma 3); il successivo art. 53 stabilisce che la retribuzione di posizione è “composta di una parte fissa e di una parte variabile, la cui somma complessiva corrisponde al valore economico degli incarichi attribuiti in base alla graduazione delle funzioni” (comma 3), che la “componente variabile della retribuzione di posizione, salvo quanto previsto dal comma 8, e relativa tabella, è determinata in sede aziendale sulla base della graduazione delle funzioni in conformità degli incarichi di cui agli artt. 54 e 55” (comma 7) e che “sino al conferimento degli incarichi di cui al comma 7, per tutti i Dirigenti in servizio alla data di entrata in vigore del presente contratto, la retribuzione di posizione è costituita dai valori indicati per le due componenti – fissa e variabile – nella tabella allegato n. 2 del presente contratto” (comma 8); l’art. 54, prevede poi che “A ogni Dirigente è riconosciuta una retribuzione di posizione comunque non inferiore, a titolo personale, a quella prevista dall’art. 53, comma 8, e relativa tabella allegato n. 2, secondo la posizione funzionale di provenienza” (comma 4). Dal che discende, in applicazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c., che la retribuzione di posizione è composta da una quota stabilita tabellarmente in sede contrattuale, divisa a sua volta in una parte fissa e in una variabile, nonché, eventualmente, da una ulteriore quota, parimenti variabile, che concorre a determinare il trattamento complessivo in base alla graduazione delle funzioni. Tale interpretazione risulta avvalorata, avuto riguardo al comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto (art. 1362 c.c., comma 2), dalle previsioni del CCNL di settore dell’8.6.2000, che, all’art. 40, prevede che:- la retribuzione di posizione dei dirigenti è collegata all’incarico loro conferito “in relazione alla graduazione delle funzioni (comma 1) e si compone di una parte fissa e di una variabile (comma 2);- “in prima applicazione del CCNL 5.12.96, come integrato dal CCNL 1.7.97, il valore economico minimo contrattuale della retribuzione di posizione – parte fissa e variabile – per il personale già in servizio all’entrata in vigore del contratto medesimo – è stato indicato” tabellarmente (comma 5);- la componente fissa della retribuzione di posizione stabilita tabellarmente “non è modificabile, mentre l’incremento della componente variabile minima contrattuale della medesima tabella sulla base della graduazione delle funzioni… è competenza delle singole aziende” (comma 6);- “Il valore economico complessivo dell’incarico… è la risultante della somma del minimo contrattuale… e della quota aggiuntiva variabile definita aziendalmente” e tale valore “si ottiene mediante i relativi conguagli sulla parte variabile rispetto al minimo contrattuale in godimento fino al raggiungimento del valore economico complessivo” (comma 7). L’art. 24, comma 11, CCNL di settore 3.11.2005 così recita: “A titolo di interpretazione autentica dell’art. 53, CCNL 5.12.96 e dell’art. 40, CCNL 8.6.00, con riguardo alle modalità di composizione della retribuzione di posizione complessiva di ciascun dirigente, le parti precisano che essa è definita in azienda sulla base della graduazione delle funzioni. La retribuzione di posizione minima contrattuale prevista dalle citate disposizioni (e stabilita dalle disposizioni dei CCNL succedutisi nel tempo) è corrisposta, quindi, quale anticipazione di detta retribuzione e, pertanto, è assorbita nel valore economico complessivo successivamente attribuito all’Incarico in base alla graduazione delle funzioni, nel rispetto della disponibilità dell’apposito Fondo. Ne deriva che alla retribuzione minima contrattuale si aggiunge la somma mancante al valore complessivo dell’incarico stabilito in azienda con l’unica garanzia che il valore dell’incarico, in ogni caso, non può essere inferiore al minimo contrattuale già percepito. Si rinvia, per chiarezza, all’esempio dell’allegato 4”. Risulta dunque evidente che la testé ricordata clausola contrattuale non configura affatto, come pretenderebbe il controricorrente, “una modifica radicale dei contenuti del precedente testo sindacale”, ma, piuttosto, esplicitazione e chiarificazione della strutturazione della retribuzione di posizione quale evincibile dalle disposizioni contrattuali richiamate e, pertanto, effettiva interpretazione delle medesime” (Cass. n. 12335/09, nonché Cass. n. 12564/11). Alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità la soluzione offerta dalla Corte di appello appare ineccepibile in quanto non si può accogliere la tesi di parte ricorrente che condurrebbe al dovere di corresponsione di una somma superiore al valore dell’incarico che è stato diviso contrattualmente in una parte fissa ed in una variabile le quali una volta sommate -evidentemente – non possono portare ad un valore superiore a quello complessivamente stabilito per lo stesso incarico.

Il chiarimento apportato nel 2005 non fa che esplicitare quanto però era già inequivoco nelle norme contrattuali originarie posto che l’attribuzione richiesta sarebbe priva di titolo.

Con il secondo motivo si allega il difetto di motivazione. La Corte di appello di Napoli pur avendo ritenuto che l’Accordo sottoscritto con l’Aran valore di interpretazione autentica non ha esaminato la volontà delle parti già oggetto di interpretazione autentica.

Il motivo appare infondato: non sussiste alcun vizio o carenza motivazionale posto che la Corte di appello ha risolto la controversia sulla base di una interpretazione motivata correttamente e coerentemente con la formulazione delle norme contrattuali delle disposizioni del CCNL del 1996 e che come detto trova conferma nella giurisprudenza di legittimità.

Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Le spese di lite del giudizio di legittimità -liquidate come al dispositivo- seguono la soccombenza.

P.Q.M. 

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 100,00 per esborsi, nonché in euro 3.000,00 per compensi oltre accessori come per legge.