CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 21164 depositata il 19 ottobre 2016
STUDIO LEGALE COMMERCIALE ASSOCIATO – VERSAMENTO IRAP – SUSSISTE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Lo Studio Associato B. impugnava il silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle entrate sull’istanza di rimborso delle somme versate a titolo di Irap per gli anni dal 1999 al 2003.
La C.T.P. di Gorizia respingeva il ricorso, con sentenza confermata dalla C.T.R. del Friuli Venezia Giulia, con la decisione in epigrafe.
Per la cassazione di quest’ultima ha proposto ricorso il predetto studio associato, in persona dei suoi associati e legali rappresentanti, sulla base di sei motivi.
L’Agenzia delle entrate ha depositato controricorso.
L’associazione ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
2. Con il primo e il secondo motivo di ricorso lo studio associato B. deduce – rispettivamente – la nullità della sentenza per inosservanza del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, nonchè vizio di omessa o insufficiente motivazione sui punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5.
Lamenta la mancata esposizione dei fatti rilevanti della causa e l’estrema concisione della motivazione in diritto, tale da integrare motivazione solo apparente, e che l’assenza di “alcuno spunto critico in ordine alle diverse censure” mosse alla sentenza di primo grado non consente di “ripercorrere l’iter logico intellettivo giuridico posto a fondamento della decisione”.
3. Con il terzo e il quarto motivo il ricorrente denuncia, rispettivamente: a) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 2, 3, 4, 8, 27 e 36; della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, commi 44 e 144; degli artt. 2222 e 2229 c.c.; degli artt. 50 e 53 T.U.I.R.; dell’art. 2697 c.c.; b) vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere la C.T.R. ritenuto sussistente il requisito impositivo dell’autonoma organizzazione.
Osserva che, con riferimento all’ipotesi di attività svolta nell’ambito di studi associati, questa Corte (Sez. 5, ord. n. 2715 del 05/02/2008) ha affermato che il requisito dell’autonoma organizzazione sussiste solo quando il centro di interessi dotato di autonomia funzionale che caratterizza gli studi associati (stante il carattere strettamente personale e fiduciario dell’esercizio delle professioni) dia luogo ad un insieme di strutture “… di guisa che il reddito da sottoporre ad Irap sia stato almeno potenziato e derivato dalla struttura e non derivi dal solo lavoro professionale dei singoli”.
Rileva quindi che, nel caso di specie, tale requisito, almeno per gli anni 2000, 2002 e 2003, non esiste in quanto: a) ciascun professionista ha svolto la propria attività senza avvalersi degli altri associati, come dimostrato dal fatto che gli associati possiedono qualifiche professionali ben diverse tra di loro, non interscambiabili e rientranti anche in diversi codici di attività, con conseguente autorganizzazione individuale dell’attività propria di ogni associato; b) i compensi ricevuti per l’esercizio di funzioni di curatore fallimentare, sindaco ed amministratore di società derivano solo dal lavoro professionale dei singoli.
Lamenta che su tali aspetti la C.T.R. non si è pronunciata o lo ha fatto in modo contraddittorio, affermando che “l’esercizio in forma associata di una professione liberale è circostanza di per sè idonea a far presumere l’esistenza di un’autonoma organizzazione di strutture e mezzi, ancorchè l’onere economico non sia di particolare importanza, nonchè dell’intento di avvalersi della reciproca collaborazione e competenza, ovvero della sostituibilità nell’espletamento di alcune incombenze, sì da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente, con la conseguenza che legittimamente il reddito dello studio associato viene assoggettato all’Irap, a meno che il contribuente non dimostri che il reddito suddetto sia derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati, prova che nel caso in esame non risulta concretamente fornita”.
Trattasi, secondo il ricorrente, di motivazione che non rende intellegibile il motivo per il quale le competenze degli associati sarebbero da ritenere interscambiabili, nè la ragione per cui la documentazione prodotta non sia idonea a provare il contrario e che, inoltre, omette di dar conto della modestia dei beni impiegati e dell’assenza della collaborazione da parte di terzi.
4. Con il quinto e sesto motivo l’associazione ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, con riferimento alla ritenuta sussistenza del presupposto dell’autonoma organizzazione nelle annualità d’imposta 1998, 1999, 2000 e 2002.
Lamenta che la C.T.R., seppur investita di espresso motivo di appello, nulla ha motivato in proposito.
5. Le censure proposte con i primi due motivi di ricorso (congiuntamente proposti e allo stesso modo da esaminare) sono inammissibili, nella parte in cui (secondo motivo) prospettano vizio di motivazione e infondate nella parte in cui (primo motivo) prospettano invece error in procedendo.
Sotto il primo profilo (vizio di motivazione) occorre rilevare che, come questa Corte ha più volte avuto modo di chiarire, l’omesso esame di uno o alcuni motivi di gravame – ciò di cui in realtà il ricorrente sembra dolersi, attraverso il testuale riferimento alla mancanza di “alcuno spunto critico in ordine alle diverse censure” – “integra un difetto di attività che deve essere fatto valere dinanzi alla Corte di cassazione attraverso la deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 c.p.c., non già con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, giacchè queste ultime censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente scorretto ovvero senza giustificare o non giustificando adeguatamente la decisione resa” (v. Cass., Sez. 6 – L, Ord. n. 329 del 12/01/2016, Rv. 638341; Sez. 5, n. 7871 del 18/05/2012, Rv. 622908; Sez. 3, n. 7268 del 11/05/2012, Rv. 622422).
Sotto il secondo è appena il caso di rilevare che nel caso di specie una motivazione esiste e non è meramente apparente, consentendo la stessa di comprendere in modo chiaro e univoco il percorso logico seguito dai giudici d’appello nel giungere alla decisione impugnata.
Peraltro del tutto generiche si appalesano le doglianze del ricorrente in particolare per quel che riguarda le questioni che, per essere state totalmente disattese dal giudice a quo, renderebbero incomprensibile detta decisione.
7. E’ altresì infondato il terzo motivo di ricorso.
Sulla res controversa sono, infatti, intervenute, di recente, le Sezioni Unite di questa Corte le quali hanno affermato il seguente principio di diritto: “presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio ovvero alla prestazione di servizi; ma quando l’attività è esercitata dalle società e dagli enti, che siano soggetti passivi dell’imposta a norma del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 3, comprese quindi le società semplici e le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni – essa, in quanto esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività è svolta, costituisce ex lege, in ogni caso, presupposto d’imposta, dovendosi perciò escludere la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza dell’autonoma organizzazione” (Sez. U, n. 7371 del 14/04/2016, Rv. 639175: principio affermato riguardo a società semplice esercente attività di amministratore condominiale, ma certamente estensibile, per espressa indicazione contenuta nella motivazione della sentenza, anche all’ipotesi, che nella specie ricorre, di esercizio in forma associata di attività libero professionale).
Nella esposta prospettiva nessun rilievo può assumere la diversità delle competenze e professioni esercitate dagli associati, così come la diversità e autonomia della fonte dei rispettivi redditi degli associati, dal momento che l’unica prova contraria rilevante rimane non già l’assenza di un apparato organizzativo (in realtà sempre implicito nella struttura associativa dello studio) ma proprio l’assenza di una associazione. Prova che nella specie non risulta nemmeno ipotizzata, essendo anzi in radice contraddetta dalla stessa imputazione del ricorso e del debito d’imposta all’ente collettivo in cui si identifica per l’appunto lo studio associato.
Il ricorso va pertanto rigettato, restando assorbite le restanti censure.
Trattandosi di soluzione interpretativa consolidatasi successivamente alla proposizione del ricorso, sussistono i presupposti per l’integrale compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo e il terzo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il secondo; dichiara assorbiti i rimanenti; compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.
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