CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 21184 del 8 ottobre 2014
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione avverso la sentenza 82/38/07 del 15.2.2008 con la quale la CTR Lombardia, accogliendo l’appello della contribuente, ha riformato la sentenza di primo grado, annullando conseguentemente il rilievo, nella parte in cui si era ritenuta legittima la ripresa a tassazione di costi indeducibili imputabili a spese per attività di consulenza infragruppo per difetto di inerenza.
La CTR, a conforto del proprio deliberato, preso previamente atto che le prestazioni di consulenza dispensate dalla capogruppo in favore della contribuente erano regolate da apposito contratto ed avevano consentito alla contribuente di effettuare un’operazione di acquisizione societaria con notevole incremento del proprio volume di affari, ha osservato che “anche se la mancata descrizione delle concrete attività fatturate non consente all’ufficio la verifica analitica dei costi supportati dalla società rispetto all’attività di impresa, si deve altresì convenire, per quanto sopra esplicitato, che in effetti la capogruppo ha svolto a beneficio della controllata attività di consulenza nell’ambito della gestione della partecipazione finanziaria che ha consentito a quest’ultima il raggiungimento di risultati concreti”, traendo da ciò la conclusione che “i costi della consulenza sopportati (dalla capogruppo), essendone stata provata la inerenza, sono da considerare deducibili”.
Il mezzo è affidato a due motivi. Resiste con controricorso tardivo la parte intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo l’Agenzia ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 109 Tuir in ragione del fatto che, malgrado le analitiche contestazioni da essa formulate all’atto della costituzione in appello, la CTR aveva comunque ravvisato l’inerenza dei costi e ne aveva riconosciuto perciò la deducibilità quantunque le relative fatture “si caratterizzassero per l’indicazione generica delle prestazioni”, l’attività di consulenza fosse regolata “da un contratto di assistenza tecnico commerciale… di appena dieci righe” e numerosi altri elementi, emersi nel corso delle verifiche fiscali cui la contribuente era stata sottoposta, legittimassero il sospetto del carattere elusivo dell’operazione.
2.2. Il motivo è fondato.
Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, nel testo vigente ratione temporis stabiliva al primo comma che “i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme del presente capo non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni”. Il quinto comma a sua volta prevedeva che “le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito Da questo complesso disposto normativo la giurisprudenza di questa Corte ha reiteratamente tratto l’insegnamento secondo cui i costi, per essere ammessi in deduzione quali componenti negativi del reddito di impresa, debbono soddisfare “i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità” (10167/12; 13806/14; 1565/14).
In particolare si è affermato da tempo con riguardo alla previsione recata dall’art. 75, comma 5, che affinchè “un costo possa essere incluso tra le componenti negative del reddito, non solo è necessario che ne sia certa l’esistenza, ma occorre altresì che ne sia comprovata l’inerenza, vale a dire che si tratti di spesa che si riferisce ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa” (6650/06). “La norma”, si è precisato, “formula (infatti) il cosiddetto principio di inerenza e cioè il principio della riferibilità dei costi che si intendono dedurre ai ricavi: siffatta riferibilità, però, non richiede… la connessione comprovata per ogni molecola di costo quale partita negativa della produzione, essendo sufficiente la semplice…contrapposizione economica teorica (cioè, la cosiddetta latenza probabile degli stessi), avuto riguardo alla tipologia organizzativa del soggetto, che genera quindi partite passive deducibili se i costi riguardano l’area o il comparto di attività destinati, anche in futuro, a produrre partite di reddito imponibile. L’inerenza è quindi una relazione tra due concetti – la spesa e l’impresa – che implica, un accostamento concettuale tra due circostanze per cui il costo assume rilevanza ai fini della quantificazione della base imponibile, non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito bensì in virtù della sua correlazione con una attività potenzialmente idonea a produrre utili” (12168/09). Trattandosi peraltro di una componente negativa del reddito si è inoltre precisato che, “la prova della sua esistenza ed inerenza incombe al contribuente” (1709/07) e che “per provare tale ultimo requisito, non è sufficiente… che la spesa sia stata dell’imprenditore riconosciuta e contabilizzata, atteso che una spesa può essere correttamente inserita nella contabilità aziendale solo se esiste una documentazione di supporto, dalla quale possa ricavarsi, oltre che l’importo, la ragione della stessa” (4570/2001).
2.3. Ciò detto, l’affermazione della CTR secondo cui “anche se la mancata descrizione delle concrete attività fatturate non consente all’ufficio la verifica analitica dei costi supportati dalla società rispetto all’attività di impresa, si deve altresì convenire, per quanto sopra esplicitato, che in effetti la capogruppo ha svolto a beneficio della controllata attività di consulenza nell’ambito della gestione della partecipazione finanziaria che ha consentito a quest’ultima il raggiungimento di risultati concreti” e che, dunque, “essendone stata provata l’inerenza, sono da considerare deducibili” si pone in aperto contrasto con il delineato quadro di riferimento che, in considerazione dell’onere probatorio cui è nella specie chiamata la parte, esige che la prova dei costi deducibili non solo sia opportunamente documentata, in modo tale che dalla documentazione relativa si possa ricavare “l’inerenza del bene o servizio acquistato all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene o servizio stesso” (16853/13) rispetto all’attività da cui derivano i ricavi o gli altri proventi che concorrono a formare il reddito di impresa; ma occorre pure che sia dimostrata “la coerenza economica dei costi sostenuti nell’attività d’impresa, ove sia contestata dall’Amministrazione finanziaria anche la congruità dei dati relativi a costi e ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, in difetto di tale prova essendo perciò legittima la negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (7701/13).
Sicchè constatare, come hanno fatto i giudici di appello riguardo ai costi portati in deduzione dalla parte che “in effetti la capogruppo ha svolto a beneficio della controllata attività di consulenza nell’ambito della gestione della partecipazione finanziaria” non soddisfa il descritto decalogo probatorio e quindi viola il richiamato principio di inerenza, ma anzi costituisce sotto questa angolazione un’oggettiva forzatura del quadro fattuale, atteso che l’inerenza è stata riconosciuta ad onta delle motivate contestazioni fatte valere dall’amministrazione in relazione alla genericità della descrizione della prestazione recata dalla fattura (“con la presente vi rimettiamo fattura per consulenza tecnico – commerciale relativa al mese (…)”), alla laconicità del contratto regolante il rapporto (“l’unico documento che è stato consegnato (…) è un contratto di assistenza tecnico-commerciale di appena 10 righe”) e all’ingente ammontare del costo portato in deduzione (Euro 408090,92), e, se si vuole, pure delle riserve di cui in proposito non fanno mistero gli stessi giudici di appello (“(…) anche se la mancata descrizione delle concrete attività fatturate non consente all’ufficio la verifica analitica dei costi supportati dalla società rispetto all’attività di impresa (…)”).
3. La sentenza in accoglimento del primo motivo di ricorso, che rende altresì superfluo l’esame del secondo, in ragione del carattere subordinato di esso, va dunque cassata e, non rendendosi necessario nessun ulteriore accertamento, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto del ricorso introduttivo.
4. Le spese seguono la soccombenza quanto al giudizio di legittimità. Si compensano per i gradi di merito.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, respinge il ricorso introduttivo; Condanna il contribuente al pagamento delle spese che liquida in Euro 4500,00 oltre le somme prenotate a debito e compensa le spese di merito.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Quinta Civile, il 9 luglio 2014.
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