CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 21543 depositata il 25 ottobre 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – LAVORO AUTONOMO – AVVOCATO – CORRISPETTIVO PER PRESTAZIONI PROFESSIONALI – INESISTENZA DEL RAPPORTO PROFESSIONALE
Svolgimento del processo
G. P. proponeva opposizione al decreto emesso dal giudice di pace di Milano, col quale gli era stato ingiunto di pagare all’avv. A. G. la somma di € 1.346,25, quale corrispettivo di prestazioni professionali. A base dell’opposizione deduceva l’inesistenza del rapporto professionale, avendo egli incaricato non detto avvocato ma il proprio nipote, C. P., che all’epoca esercitava la pratica forense presso l’avv. G.
Questi resisteva all’opposizione, deducendo nel merito che il contratto di prestazione professionale con l’opponente si era concluso per facta concludentia.
Il giudice di pace in accoglimento dell’opposizione revocava il decreto ingiuntivo, rigettava la domanda e compensava le spese.
Sull’appello principale di G. P. e incidentale dell’avv. G., il Tribunale di Milano con sentenza n. 3288/12, pubblicata il 20.3.2012, condannava quest’ultimo alle spese anche del primo grado, non ravvisando gli estremi per compensarle. Nel merito dell’impugnazione incidentale, per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, osservava che, assente un mandato scritto, non erano emersi altri elementi idonei a confermare il conferimento anche solo verbale dell’incarico all’avv. G., essendo per contro incontestabile che G. P. avesse avuto un rapporto diretto solo col proprio nipote, abilitato allo svolgimento della richiesta attività stragiudiziale.
Per la cassazione di tale sentenza l’avv. A. G. propone ricorso, affidato a quattro motivi.
G. P. è rimasto intimato.
Motivi della decisione
1. – Col primo motivo è dedotta la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ex art. 112 c.p.c., e il vizio di motivazione su di un ‘‘puntò’ decisivo della controversia. Parte ricorrente lamenta che la sentenza impugnata non si sia pronunciata “sulla specifica domanda posta dagli attori opponenti in via monitoria sulla prosecuzione degli incarichi da parte dell’Avvocato A. G. anche in data posteriore e successiva alla revoca del mandato”; e che dunque, “l’omessa pronuncia sussiste (…) sia in ordine al conferimento dell’incarico, ma anche e soprattutto in ordine alla prosecuzione quale falsus procurator del Sig. P. G. nella gestione delle pratiche” (così, testualmente, a pag. 4 del ricorso).
1.1. – Il motivo è manifestamente inammissibile sotto entrambi i vizi dedotti, oltre che per la sua scarsa intelligibilità.
1.1.1. – Quanto alla dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c.. perché l’unica domanda giudiziale in causa è quella che l’avv. G. ha proposto mediante il ricorso per decreto ingiuntivo. Tutte le affermazioni contenute nell’atto d’opposizione, per contro, non contengono alcuna domanda ma solo difese, e rispetto a queste ultime non è configurabile per definizione alcuna omessa pronuncia. Non senza aggiungere che, per giunta, la parte non ha interesse a dolersi del mancato esame delle difese altrui, a prescindere dagli argomenti che essa avrebbe potuto opporvi (e tale considerazione vale anche per la critica, riprodotta nel secondo motivo, per cui il giudice d’appello non avrebbe “confutato in alcun modo i fatti posti a fondamento della richiesta di revoca del decreto ingiuntivo”: v. pag. 7 del ricorso).
1.1.2. – Quanto, poi, al preteso vizio motivazionale, in disparte che l’art. 360 n. 5 c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis non parla(va) più di “punti” ma di “fatti” controversi e decisivi, l’unico fatto controverso e decisivo era costituito dal conferimento o meno dell’incarico professionale. E il giudice d’appello ha motivato in maniera sufficiente lì dove ha escluso che ve ne fosse prova, tanto scritta quanto indiziaria e per fatti concludenti.
2. – Il secondo motivo deduce il vizio d’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata sul fatto controverso. Lamenta, in particolare, che il Tribunale, nell’appiattirsi sulla decisione di primo grado, non avrebbe centrato il nucleo della controversia, il quale sarebbe individuabile “nell’esistenza del mandato alle liti dalla consegna dei documenti, direttamente o per il tramite del proprio nipote, al ricorrente sino al momento in cui il Sig. G. P. ha esplicitamente revocato i mandati conferiti allo Studio scrivente” (così, testualmente, a pagg. 6-7 del ricorso). Il fatto da provare, sostiene, “era costituito dalla circostanza che. come era avvenuto in diverse occasioni, quando consegnava i documenti al proprio nipote per la trattazione dei sinistri in via stragiudiziale, il Sig. G. P. era consapevole delle gestione dei sinistri e di tutte le pratiche affidate al ricorrente” (così a pag. 7 del ricorso).
2.1. – Anche tale motivo è inammissibile per più ragioni.
2.1.1. – In primo luogo, esso è generico, apodittico, espresso in maniera per nulla perspicua e sostanzialmente privo di concludenza. Il ricorrente non arriva mai a spiegare in virtù di quale specifico addentellato di fatto, non
considerato dal Tribunale, e in forza di quale ragione logico-giuridica la circostanza che G. P. avesse consegnato dei documenti al proprio al nipote, praticante legale, varrebbe a dimostrare la volontà di lui di incaricare dei relativi affari stragiudiziali anche o unicamente l’avv. G., sol perché titolare dello studio professionale.
2.1.2. – In secondo luogo tale censura, nel dolersi della ‘”errata valutazione delle prove poste a fondamento della domanda monitoria e non contrastate da contropartè” (così a pag. 6 del ricorso), disattende il fin troppo noto e costante indirizzo di questa Corte, in base al quale il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (così e per tutte, Cass. n. 27197/11).
3. – Col terzo e col quarto motivo, che deducono, rispettivamente, il vizio di motivazione in merito alla regolamentazione delle spese e la violazione dell’art. 92 c.p.c., il ricorrente lamenta: a) la mancata compensazione delle spese dei due gradi di merito, data la reciproca soccombenza derivante dal fatto che non sarebbe stata accolta la domanda del P. di condanna dell’odierno ricorrente per lite temeraria; e b) la loro eccessività in relazione all’importo del decreto ingiuntivo.
3.1. – I due mezzi, da esaminare congiuntamente per il loro carattere completivo, non hanno pregio sotto nessuno degli aspetti dedotti.
In disparte che dalle conclusioni trascritte nella sentenza impugnata non si ricava che G. P. abbia proposto o reiterato in appello una domanda di condanna dell’avv. G. per lite temeraria, va osservato che la soccombenza reciproca è configurabile solo in rapporto alle domande di merito; e poiché nella specie Tunica domanda proposta è quella dell’odierno ricorrente, solo quest’ultimo è risultato soccombente.
Inoltre, la liquidazione delle spese processuali può essere censurata solo attraverso la specificazione delle voci in ordine alle quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, quindi il semplice riferimento a prestazioni che sarebbero state liquidate in eccesso rispetto alla tariffa massima, senza la puntuale esposizione delle voci in concreto liquidate dal giudice, è eccessivamente generico e rende il ricorso inammissibile (Cass. nn. 1382/03, 2862/05, 9700/03, 18086/09 e 20808/14).
4. – In conclusione il ricorso va respinto.
5. – Nulla per le spese, non avendo G. P. svolto attività difensiva in questa sede.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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