CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 2156 del 5 febbraio 2015
SOCIETÀ DI CAPITALI – SOCIETÀ PER AZIONI – SCIOGLIMENTO – EFFETTI – DIVIETO DI NUOVE OPERAZIONI – AZIONE DI RESPONSABILITÀ NEI CONFRONTI DEGLI AMMINISTRATORI – ONERE DELLA PROVA – RIPARTIZIONE TRA ATTORE E CONVENUTO – POTERI GESTORI DEGLI AMMINISTRATORI CONSEGUENTI ALLO SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETÀ – LIMITI
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Isernia, con sentenza in data 6 ottobre 2003, condanno’ i convenuti S.A., F.V., P. M. e D.C., amministratori della societa’ P. e C, a pagare a I.V. la somma di Euro 126.682,72, oltre accessori, in quanto giudicati responsabili in solido, a norma dell’art. 2449 c.c., della stipulazione, nel gennaio 1993, di un contratto di trasporto di merce destinata all’esportazione, che I. aveva adempiuto senza ricevere il corrispettivo, quando la societa’ (fallita l’11 marzo 1994) era gia’ insolvibile e in stato prefallimentare, omettendo di provvedere allo scioglimento della societa’ o di ripristinare il capitale sociale.
I convenuti proposero appello e chiesero la condanna della controparte alla restituzione dell’importo ricevuto. Dedussero che il tribunale, qualificando l’azione come proposta a norma dell’art. 2449 (per avere posto in essere operazioni in presenza di fatti indicativi dello scioglimento della societa’) e, in via subordinata, a norma dell’art. 2349 c.c., aveva erroneamente interpretato la domanda dell’attore, che era indeterminata nella causa petendi e incongrua nel petitum; ne aveva travisato le lacunose e contraddittorie allegazioni; aveva supplito alle relative carenze probatorie e solo genericamente dedotto la novita’ dell’obbligazione assunta dagli amministratori.
La Corte di appello di Campobasso, con sentenza 18 giugno 2009 n. 84, ha accolto il gravame, ha rigettato la domanda di I. V. e lo ha condannato alle restituzioni e alle spese di entrambi i gradi di giudizio. La Corte ha ritenuto infondata l’azione proposta perche’ sfornita di prova del presupposto (contestato) della novita’ dell’operazione intesa come quella non connessa alla normale attivita’ produttiva dell’impresa, in presenza di fatti idonei a determinare lo scioglimento della societa’.
Avverso questa sentenza I. ricorre per cassazione sulla base di due motivi, illustrati da memoria, cui si oppongono gli intimati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo del ricorso, formulato per violazione di legge, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, si conclude con un quesito volto a stabilire “se costituisce “nuova operazione”, ai sensi dell’art. 2449 c.c. (nel testo previgente), un contratto di trasporto di merce stipulato dagli amministratori con un fornitore, quando gia’ da tempo si sono verificati i presupposti perche’ la societa’ sia sciolta o messa in liquidazione, in un caso in cui gli amministratori hanno, ciononostante, deliberato di proseguire nell’attivita’ di impresa nella speranza di ottenere un intervento risanatore dei debiti da parte della finanziaria pubblica G.”.
Il motivo e’ infondato se inteso, alla luce del proposto quesito di diritto, come volto ad affermare il principio che la responsabilita’ degli amministratori costituisce un effetto diretto del compimento di una qualsiasi attivita’ o operazione dopo che si siano verificati fatti indicativi dello scioglimento della societa’. Se cosi’ fosse, sarebbe sufficiente predicare la novita’ dell’operazione, a norma del previgente art. 2449 c.c., comma 1, sulla base del criterio cronologico, come conseguenza legale e automatica della stipulazione di un negozio (nella specie di un contratto di trasporto di merci) in epoca successiva al fatto (incontestato) dello scioglimento della societa’, senza possibilita’ alcuna di dimostrare che quell’operazione non e’ nuova perche’ necessaria per il completamento di un’attivita’ gia’ intrapresa o destinata al miglior esito della liquidazione (v. Cass. n. 3694/2007, n. 6431/1982, n. 3371/1971). Il ricorrente sembra consapevole che un tale principio, non condiviso dalla sentenza impugnata, sarebbe contrario alla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha sempre affermato la necessita’ di valutare la novita’ dell’operazione non in senso puramente cronologico, ma avendo riguardo alla finalita’ dell’operazione compiuta dagli amministratori che puo’ dirsi nuova in quanto sia finalizzata al compimento di nuovi atti d’impresa o al conseguimento di nuovi utili e di finalita’ diverse dalla liquidazione della societa’ (v. Cass. n. 3694/2007 cit., n. 5275/1997, n. 9887/1995). Ed e’ per questo che, al fine di dimostrare la novita’ dell’operazione in tale accezione, egli ha dedotto che nella stipulazione del contratto di trasporto di cui e’ causa sarebbe implicita la deliberazione assunta nel corso del procedimento prefallimentare promosso dai creditori e quindi in una situazione incontestata di scioglimento della societa’ – di proseguire nella “normale” attivita’ di impresa, “come se nulla fosse”, nella speranza degli amministratori di ottenere un intervento risanatore dei debiti da parte della finanziaria pubblica G.
Tuttavia, imputando alla Corte territoriale di non avere compiuto tale accertamento di fatto ritenuto necessario, il ricorrente finisce per contestare non gia’ l’erronea interpretazione della norma, ma la ricorrenza in concreto degli elementi costitutivi di una fattispecie normativamente regolata. Tale valutazione non comporta un giudizio di diritto, rilevante nell’ottica del vizio prospettato a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (violazione o falsa applicazione di legge), ma un giudizio di fatto rilevante, se del caso, sotto il profilo – qui non dedotto – del vizio di motivazione, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Se inteso in tal senso il motivo e’ inammissibile, poiche’ sollecita una revisione o integrazione del giudizio di fatto che e’ riservato ai giudici di merito ed estraneo alla natura e alle finalita’ del giudizio di legittimita’, come si evince ulteriormente dall’invito, rivolto a questa Corte, a riesaminare le prove orali espletate al fine di dimostrare che gli amministratori erano a conoscenza della situazione di difficolta’ economica in cui versava la societa’ P.
Il secondo motivo, formulato per violazione degli artt. 2449 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censura l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui “doveva l’attore prima dedurre e poi dimostrare che il trasporto si riferiva a merce anch’essa facente parte di una linea di produzione nuova, piuttosto che a giacenze magari gia’ commissionate e non consegnate”. E si conclude con un quesito volto a stabilire che spetta “al committente dare la prova che l’avere commissionato al fornitore il trasporto di merci riguardi giacenze gia’ commissionate e non consegnate e pertanto non riguardi merce facente parte di una linea di produzione nuova, sempre che tale circostanza, nel contesto fattuale descritto nel ricorso, possa assumere rilevanza decisiva al fine di qualificare la stipulazione del contratto di trasporto come operazione “nuova” ai sensi dell’art. 2449 c.c. (nel testo previgente)”. In sostanza, non spetterebbe al fornitore-creditore l’onere di provare la predetta circostanza liberatoria, oltretutto riguardante fatti nel dominio esclusivo dell’impresa debitrice e dei suoi amministratori, bensi’ a questi ultimi di dedurre e provare le dette circostanze che assumerebbero il carattere di circostanze impeditive e di cui soltanto essi sarebbero a conoscenza.
Al contrario, i controricorrenti assumono che il ricorso avrebbe imputato alla sentenza in esame di avere rilevato una lacuna probatoria in ordine alla qualificazione del contratto di trasporto come “nuova operazione”, che tale valutazione sarebbe insindacabile in sede di legittimita’ e che la prova della novita’ dell’operazione sarebbe a carico dell’attore che agisce in via extracontrattuale ex art. 2449 c.c., sicche’ graverebbe su di lui l’onere di dimostrare l’illiceita’ della condotta degli amministratori, in relazione alla finalita’ speculativa dell’operazione compiuta, non finalizzata alla conservazione del patrimonio sociale a fini liquidatori. Il motivo e’ fondato nei seguenti termini.
Come si e’ gia’ detto, l’art. 2449 c.c. pone il problema di stabilire in base a quali criteri possa considerarsi come “nuova” un’operazione compiuta dagli amministratori, non essendo adeguato il solo criterio cronologico consistente nell’essere l’operazione stata compiuta successivamente al fatto che determina lo scioglimento della societa’. E’ quindi necessario integrare il predetto criterio con altri criteri (teleologico ed economico) idonei a verificare se l’operazione sia o meno compatibile con la liquidazione e se comporti un ulteriore rischio di impresa. Se e’ agevole ritenere estranei all’ambito applicativo della disposizione in esame gli atti ordinari (e non anomali) di adempimento delle obbligazioni preesistenti, la cui omissione potrebbe comportare una responsabilita’ personale e solidale degli amministratori per violazione dell’obbligo di conservazione dei beni sociali (v. il previgente art. 2449, comma 2, e l’attuale art. 2486 c.c., comma 2), meno agevole e’ la soluzione in caso di atti negoziali compiuti (come nella specie) successivamente allo scioglimento della societa’, anche tenuto conto della disposizione del nuovo art. 2486 c.c., comma 1, che pone a carico degli amministratori “il potere che e’ anche dovere e responsabilita’ di gestire la societa’, ai soli fini della conservazione dell’integrita’ e del valore del patrimonio sociale”.
Se e’ vero che, come si e’ detto, per verificare se un’operazione e’ “nuova” non e’ sufficiente il criterio cronologico, occorrendo verificarne la natura di atto d’impresa, anche indipendentemente dall’attinenza all’oggetto sociale (v. Cass. n. 2970/1986), e la finalizzazione allo scopo liquidatorio, e che l’onere della prova grava su colui che agisce in giudizio per fare accertare la responsabilita’ degli amministratori, si pone il problema – che e’ posto dal ricorso – di verificare il contenuto e gli eventuali limiti di tale onere probatorio. Prima di affrontare questo tema e’ necessario chiedersi se il mezzo proposto, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 (per violazione dell’art. 2697, oltre che art. 2449 c.c.) sia adeguato al tipo di censura prospettata sotto il profilo dell’erronea distribuzione dell’onere della prova attinente alla novita’ dell’operazione compiuta dagli amministratori. Si deve tenere conto dell’obiezione dei controricorrenti secondo i quali oggetto della censura sarebbe un’erronea valutazione della prova incombente sul creditore che – si puo’ aggiungere – sarebbe censurabile in sede di legittimita’ solo deducendo vizi motivazionali ex art. 360 c.p.c., n. 5, mezzo questo non proposto nel ricorso. L’obiezione non e’ condivisibile.
E’ infatti necessario tenere distinta l’erronea valutazione dell’esito della prova, che puo’ essere fatta valere solo con riferimento a vizi motivazionali (v. Cass. n. 15107/2013, n. 19064/2006), dalla erronea individuazione in astratto o perimetrazione dell’oggetto della prova che, quando riguardi una fattispecie normativamente regolata (qual e’ quella di cui all’art. 2449 c.c.), integra il precetto legale di cui all’art. 2697 c.c. che pone a carico di chi agisce in giudizio l’onere di provare i fatti costitutivi della domanda e di chi resiste l’onere di provare i relativi fatti estintivi o modificativi. La sentenza che ponga a carico della parte attrice l’onere di dimostrare l’assenza di fatti estintivi o modificativi del diritto azionato (nella specie, la finalita’ liquidatoria degli atti posti in essere dagli amministratori) viola il precetto legale sulla ripartizione dell’onere della prova ex art. 2697 c.c. ed e’ censurabile in Cassazione per violazione di legge, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3. In particolare, la parte che agisce in giudizio a norma dell’art. 2449 c.c. e’ tenuta a dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della domanda, cioe’ la ricorrenza delle condizioni per lo scioglimento della societa’ (anche se non accertata dall’assemblea dei soci o da una sentenza del giudice, v. Cass. n. 3371/1971 cit.) e il successivo compimento di atti negoziali da parte degli amministratori. Essa non e’ tenuta invece a dimostrare che tali atti siano anche espressione della normale attivita’ d’impresa e non abbiano una finalita’ liquidatoria. Spetta infatti agli amministratori convenuti di dimostrare che tali atti, benche’ effettuati in epoca successiva allo scioglimento, non integrano “nuove operazioni” poiche’ non comportano un nuovo rischio d’impresa (come tale idoneo a pregiudicare il diritto dei creditori e dei soci) e sono giustificati dalla finalita’ liquidatoria o necessari per portare a compimento attivita’ gia’ iniziate.
Questa interpretazione, oltre che con il principio di vicinanza della prova avente ad oggetto fatti a diretta conoscenza della societa’ e dei suoi amministratori (che sono quindi nella migliore condizione di renderla), e’ coerente con la loro natura di fatti impeditivi o modificativi del diritto che il creditore ha azionato allegando e provando i relativi fatti costitutivi e cioe’ il compimento di atti negoziali successivamente allo scioglimento della societa’.
Del suddetto principio la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione. Ha infatti posto a carico dell’attore l’onere di dimostrare (anche) che il trasporto, benche’ comportante conseguenze patrimoniali idonee ad incidere con ulteriori poste passive nel bilancio della societa’, “si riferiva a merce anch’essa facente parte di una linea di produzione nuova, piuttosto che a giacenze magari gia’ commissionate e non consegnate” e da cio’ ha desunto l’apodittica presunzione che, stipulando il contratto di trasporto, gli amministratori abbiano adempiuto ad obbligazioni gia’ assunte verso terzi.
In conclusione, in accoglimento del secondo motivo, la sentenza impugnata e’ cassata con rinvio alla Corte di appello di Campobasso che, in diversa composizione, dovra’ decidere la causa attenendosi al seguente principio: colui che chiede in giudizio l’accertamento della responsabilita’ degli amministratori di una societa’, a norma dell’art. 2449 c.c. (testo previgente), e’ tenuto a fornire la prova della “novita’” dell’operazione, dimostrando il compimento di atti negoziali in epoca successiva all’accadimento di un fatto che determini lo scioglimento della societa’, mentre spetta agli amministratori convenuti provare i fatti estintivi o modificativi del diritto azionato, mediante dimostrazione che quegli atti erano giustificati dalla finalita’ liquidatoria in quanto non connessi alla normale attivita’ produttiva dell’azienda, non comportanti un nuovo rischio d’impresa o necessari per portare a compimento attivita’ gia’ iniziate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Campobasso, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.
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