CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 21646 depositata il 26 ottobre 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – RINUNCE E TRANSAZIONI – NON SUSSISTE – CONCORDARE LIBERAMENTE LA DATA DEL RAPPORTO
Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 7.9.10 la Corte d’appello di Bologna, in totale riforma della sentenza 11.1.06 del Tribunale felsineo, rigettava la domanda di G.S. intesa ad ottenere la declaratoria di invalidità del patto di stabilità stipulato il 3.7.2000 con R.B. S.p.A. (oggi U. S.p.A.) e, per l’effetto, condannava la lavoratrice a pagare alla società la penale concordata tra le parti in caso di inadempimento, pari ad euro 56.810,26 oltre accessori.
Per la cassazione della sentenza ricorre G.S. affidandosi a tre motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.
U. S.p.A. resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale condizionato basato su tre motivi.
Motivi della decisione
1.1. Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2112 e 2113 c.c. in relazione agli artt. 1337, 1341 co. 2° e 1344 c.c. e mancata applicazione degli artt. 1421 e 1422 c.c., perché la sentenza impugnata ha ritenuto valido il patto di stabilità (con il quale entrambe le parti si impegnavano per un triennio a non recedere dal rapporto di lavoro, salvo il ricorrere di giusta causa) nonostante l’avvenuta sua impugnazione ex art. 2113 c.c. e l’evidente sproporzione di forza contrattuale tra la lavoratrice e l’istituto di credito. Inoltre – prosegue il ricorso – il patto con cui si autorizza la banca a recuperare l’importo della penale anche mediante compensazione con le spettanze di fine rapporto della ricorrente è nullo perché in frode alle legge e lesivo del diritto indisponibile di cui all’art. 545 co. 4° c.p.c., norma che, come vieta la pignorabilità oltre il quinto delle retribuzioni, così ne vieta la compensazione con pretesi crediti vantati dal datore di lavoro.
Il motivo è infondato.
Si premetta che il lavoratore subordinato, come ha facoltà di disporre liberamente del proprio diritto di recedere dal rapporto di lavoro (v. Cass. n. 17010/14; Cass. n. 17817/05), così può liberamente concordare una durata minima del rapporto stesso, che comporti, fuori dell’ipotesi di giusta causa di recesso di cui all’art. 2119 c.c., il risarcimento del danno a favore della parte non recedente, conseguente al mancato rispetto del suddetto periodo minimo di durata.
Per l’effetto, nel caso in oggetto si è al di fuori della fattispecie, prevista dall’art. 2113 c.c., della rinuncia o transazione su diritti derivanti da disposizioni inderogabili di legge.
Né ricorre una delle ipotesi in cui l’impugnabilità ex art. 2113 c.c. della pattuizione relativa ad un diritto disponibile del lavoratore è stata estesa, dalia giurisprudenza di questa S.C., in quanto rientrante in un più ampio contesto negoziale complesso, il cui contenuto investa anche altri diritti del prestatore derivanti da disposizioni inderogabili di legge o dell’autonomia collettiva ove si tratti di clausole strettamente interdipendenti fra loro (cfr., ex aliis, Cass. n. 18285/09; Cass. n. 171/09; Cass. n. 12301/03): nel citato accordo del 3.7.2000 al patto di stabilità e alla relativa clausola penale si accompagnava soltanto la promozione dell’odierna ricorrente quale funzionario di IV livello, il che non implica alcuna rinuncia o transazione a precedenti diritti derivatile da norme inderogabili.
Ancora da disattendere è la censura basata sulla sproporzione di forza contrattuale tra le parti del contratto, vuoi perché essa non ne è mai motivo di invalidità (ma, semmai, di mera rescindibilità nei casi e nei limiti di cui agli artt. 1447-1448 c.c.), vuoi perché il divieto di compensazione posto dall’art. 1246 n. 3 c.p.c. (ndr art. 1246 n. 3 c.c.) in relazione ai crediti impignorabili (v. art. 545 c.p.c.) si riferisce alla sola compensazione propria e non anche alla c.d. compensazione impropria, che ricorre quando le reciproche ragioni di debito/credito nascono da un unico e non da distinti rapporti giuridici (cfr., ex aliis, Cass. n. 18498/06; Cass. n. 3440/75).
E, indubbiamente, nella vicenda in esame unico è il rapporto (quello di lavoro) da cui nascono le reciproche ragioni di debito/credito.
1.2. Il secondo motivo del ricorso principale denuncia erronea applicazione e violazione dell’art. 2112 c.c. in relazione all’art. 41 Cost. e agli artt. 1406 e 2119 co. 1° c.c. e violazione dell’art. 1375 c.c., oltre che vizio di motivazione, nella parte in cui la sentenza impugnata ha trascurato la violazione del principio di buona fede nelle comunicazioni alla ricorrente delle varie e complesse operazioni di fusioni societarie che, alla fine, avevano determinato l’incorporazione di R.B. S.p.A. in U. S.p.A.
Il motivo è infondato, non esistendo ai sensi dell’art. 2112 c.c. alcun onere di previa comunicazione ai singoli dipendenti delle future operazioni di fusioni societarie, ma solo il diverso obbligo di comunicazione alle rappresentanze sindacali o ai sindacati di categoria previsto nei limiti e nei termini di cui all’art. 47 legge n. 428/90.
La contraria esegesi svuoterebbe di sostanziale significato il carattere eccezionale dell’art. 2112 c.c. rispetto all’ipotesi generale di cui agli artt. 1406 e ss. c.c. e, ad ogni modo, neppure gioverebbe all’odierna ricorrente: infatti, per consolidata giurisprudenza di questa Corte Suprema, solo la violazione di precetti inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità, non già l’inosservanza di norme, quand’anche imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti, inosservanza che può costituire solo fonte di responsabilità per danni (cfr., in motivazione, Cass. S.U. n. 9140/16; Cass. n. 8462/14; Cass. n. 26724/07).
1.3. Il terzo motivo deduce violazione ed erronea o falsa applicazione dell’art. 1246 c.c. in relazione agli artt. 36 Cost., 545 c.p.c., 1441 e 2120 c.c., oltre che vizio di motivazione, nella parte in cui la gravata pronuncia ha ritenuto che la ricorrente non avesse chiesto la riduzione della penale, eccessiva vuoi rispetto ai vantaggi retributivi netti che G.S. aveva tratto dal summenzionato patto reciproco di stabilità triennale (appena 12.472,43 euro), vuoi in relazione al tempo residuo di inottemperanza ad esso (sette mesi).
Il motivo è fondato.
Premesso che la riduzione della clausola penale può essere chiesta anche in appello e, anzi, può essere disposta anche d’ufficio (cfr. Cass. n. 21297/11; Cass. n. 23273/10), non può dirsi che l’odierna ricorrente principale non avesse allegato circostanze rilevanti al fine di formulare il giudizio di manifesta eccessività della penale stessa (come, invece, ritenuto dalla sentenza impugnata). Tali circostanze emergevano dallo stesso tenore del patto di stabilità e dai rispettivi interessi dedotti, dalle posizioni difensive delle parti e dalle loro qualità personali, dal raffronto tra le retribuzioni percepite nella vigenza del patto e l’importo della penale, nonché dallo scarto tra l’anticipato recesso della lavoratrice (sette mesi circa prima della scadenza del patto in discorso) e l’ammontare complessivo della penale medesima (pari a 110 milioni di lire).
2.1. Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato si lamenta omessa motivazione sul motivo d’appello con cui U. aveva denunciato violazione dell’art. 414 n. 2 c.p.c. per essere l’atto introduttivo di lite assolutamente incerto in ordine all’individuazione del soggetto evocato in giudizio, riferendosi l’attrice, indifferentemente, e alternativamente, sia ad U. B. che ad U.I..
Il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia violazione e falsa applicazione dei principi processuali in tema di legitimatio ad causam e di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., stante la non coincidenza tra il soggetto che avrebbe dovuto essere evocato in giudizio (U. Banca) e quello in concreto convenuto, ossia U.I. S.p.A.
Il terzo motivo del ricorso incidentale deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. in relazione all’art. 2120 c.c., per avere la sentenza impugnata ravvisato un rapporto di solidarietà passiva fra U.B. e U.I. in merito al credito per restituzione del TFR vantato dalla ricorrente principale.
2.2. Il ricorso incidentale è inammissibile.
Invero, pur se qualificato come condizionato, il ricorso incidentale per cassazione presuppone pur sempre la soccombenza e non può, quindi, essere proposto dalla parte che – come nel caso di specie U.B. S.p.A., ora U. S.p.A. – nel giudizio di appello sia risultata completamente vittoriosa; quest’ultima, del resto, non ha l’onere di riproporre le domande e le eccezioni non accolte o non scrutinate dal giudice d’appello che le ha ritenute assorbite, poiché l’eventuale accoglimento, anche solo parziale, del ricorso principale (come avvenuto nel caso in oggetto) comporta la possibilità che esse siano riesaminate in sede di giudizio di rinvio (cfr., e pluribus, Cass. n. 27157/11; Cass. n. 12728/10; Cass. n. 25821/09; Cass. n. 22346/06).
Né, ovviamente, un ricorso per cassazione può essere proposto al solo fine di ottenere una correzione della motivazione della sentenza (cfr., ex aliis, Cass. 12.9.2011 n. 18674; Cass. 2.7.07 n. 14970; Cass. 29.3.05 n. 6601; Cass. 16.7.01 n. 9637; Cass. 9.9.98 n. 8924), correzione che – per altro – se del caso può essere effettuata anche d’ufficio da questa S.C. ai sensi dell’art. 384 ult. co. c.p.c..
3.1. In conclusione, va accolto il terzo motivo del ricorso principale, con rigetto delle restanti censure e inammissibilità del ricorso incidentale.
Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo del ricorso principale, rigetta i restanti, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione.
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