CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 21826 depositata il 20 settembre 2017
FALLIMENTO ED ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI – FALLIMENTO – ORGANI PREPOSTI AL FALLIMENTO – GIUDICE DELEGATO – PROVVEDIMENTI – IN GENERE PROVVEDIMENTO SUL COMPENSO AL DIFENSORE DELLA CURATELA – RICORSO STRAORDINARIO PER CASSAZIONE – AMMISSIBILITA’ – FONDAMENTO
FATTI DI CAUSA
1. Con decreto del 14 luglio 2011, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi ha parzialmente accolto il reclamo proposto dall’avv. T.A. avverso un decreto emesso dal Giudice delegato al fallimento della (omissis) S.p.a., liquidando in Euro 1.957,48 il compenso dovuto al reclamante per l’attività professionale prestata in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso dal curatore del fallimento nei confronti della Sclea S.r.l..
Pur rilevando che la liquidazione degli onorari dovuti dal cliente all’avvocato prescinde dalle statuizioni adottate nella sentenza di condanna della controparte al pagamento delle spese processuali, essendo improntata a criteri diversi, il Tribunale ha riconosciuto al reclamante un compenso pari a quello accordato al fallimento nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, osservando che, in considerazione della scarsa documentazione prodotta, l’attività svolta poteva essere ritenuta analoga a quella già esaminata e valutata nel predetto giudizio, ed aggiungendo che sarebbe risultata anomala la liquidazione di un importo inferiore.
2. Avverso il predetto decreto l’avv. T. ha proposto ricorso per cassazione, per quattro motivi. Il curatore del fallimento non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, occorre dare atto dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, riguardante un provvedimento che, in quanto avente carattere definitivo ed incidente su un diritto soggettivo, è impugnabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 111 Cost.: si tratta infatti di un provvedimento camerale con cui il Tribunale fallimentare, pronunciando sul reclamo proposto avverso un decreto emesso dal Giudice delegato ai sensi della L. Fall., art. 26, ha proceduto alla liquidazione del compenso dovuto al reclamante per l’attività giudiziale prestata in favore della curatela del fallimento (cfr. Cass., Sez. 1, 17/07/2007, n. 15941; 29/03/2007, n. 7782).
2. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. 13 giugno 1942, n. 794, artt. 1, 2, 3 e 5 e del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 25, comma 1, n. 4, nonché l’omessa pronuncia, l’ultrapetizione e la contraddittorietà della motivazione, osservando che la liquidazione del compenso in misura pari a quella risultante dalla sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo si pone in contrasto con l’affermata autonomia dei relativi criteri.
Nel rilevare la scarsità della documentazione prodotta, il Tribunale non ha tenuto conto della mancata contestazione dell’attività svolta, omettendo di disporre d’ufficio i necessari mezzi istruttori, e si è astenuto dall’indicare gli elementi posti a fondamento della liquidazione, limitandosi a fare riferimento ai risultati conseguiti, senza però considerare l’intervenuto accoglimento dell’opposizione e della domanda riconvenzionale proposta dal fallimento. Il decreto impugnato ha inoltre omesso di pronunciare in ordine alle censure riflettenti l’erronea applicazione del criterio di economicità, utilizzato dal Giudice delegato per la decurtazione del compenso, e la mancata formulazione di rilievi da parte del medesimo Giudice in ordine alla strategia processuale da lui adottata.
3. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della L. Fall., art. 25, comma 1, n. 4, nonché l’omessa pronuncia e la carenza assoluta di motivazione, ribadendo che, nel ritenere non provata l’attività svolta, il Tribunale non ha tenuto conto della mancata contestazione delle voci indicate nella nota spese ed ha omesso di valutare l’ampia documentazione prodotta, nonché di esercitare i suoi poteri istruttori officiosi.
4. Con il terzo motivo, il ricorrente insiste sull’omessa pronuncia e l’assoluta carenza di motivazione, affermando nuovamente che il decreto impugnato ha omesso di esaminare il motivo di reclamo riguardante l’inapplicabilità del criterio di economicità, essendosi limitato a richiamare la liquidazione compiuta nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, senza specificare quali, tra le voci indicate nella nota spese, siano state ridotte o eliminate.
5. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti profili diversi della medesima questione, sono in parte infondati, in parte inammissibili.
È pur vero, infatti, che la liquidazione del compenso dovuto all’avvocato per le prestazioni professionali rese in difesa del fallimento nell’ambito di un giudizio promosso dal curatore o nei confronti dello stesso, dovendo aver luogo sulla base dei parametri stabiliti ai sensi della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13, comma 6, richiede una specifica motivazione che tenga conto dei criteri prescritti dai decreti ministeriali ratione temporis applicabili, e segnatamente della natura e del valore della controversia e dei risultati conseguiti, nonché dell’importanza e della complessità delle questioni trattate, la cui valutazione dev’essere opportunamente esplicitata nel relativo decreto, al fine di rendere possibile il controllo sul corretto esercizio del potere discrezionale attribuito in proposito al Giudice delegato.
L’adeguatezza della motivazione è peraltro necessariamente correlata con la natura e la portata degli elementi offerti dal richiedente, in primo luogo con l’individuazione e la documentazione delle prestazioni rese, la cui specificazione, risultando imprescindibile anche ai fini del sindacato spettante a questa Corte in ordine alle modalità di adempimento del predetto onere, si configura pertanto come requisito di ammissibilità delle relative censure. Tale requisito nella specie non può ritenersi adeguatamente soddisfatto, essendosi il ricorrente limitato ad evidenziare l’insufficienza delle argomentazioni svolte a fondamento della liquidazione, senza fornire alcuna precisazione in ordine agli elementi allegati a sostegno della relativa istanza, e segnatamente all’oggetto della controversia trattata per conto del fallimento, genericamente descritta come opposizione a decreto ingiuntivo, ed alla qualità e quantità delle prestazioni difensive rese, in ordine alle quali si è limitato a richiamare la nota specifica depositata dinanzi al Giudice delegato, omettendo di riportarne le voci nel ricorso.
La mancanza di qualsiasi indicazione in ordine agli elementi allegati a sostegno dell’istanza di liquidazione impedisce di ritenere sussistente anche la lamentata violazione del principio di non contestazione, la cui operatività presuppone necessariamente che siano stati puntualmente allegati i fatti costitutivi della pretesa azionata: poiché, infatti, l’identificazione del thema decidendum dipende in egual misura dalla condotta processuale di entrambe le parti, le quali debbono contribuirvi con le rispettive allegazioni e contestazioni, la genericità delle deduzioni svolte da una di esse esclude la necessità di una specifica contestazione ad opera dell’altra, lasciando in tal modo inalterato l’onere probatorio gravante sulla prima (cfr. Cass., Sez. 3, 19/10/2016, n. 21075; 17/02/2016, n. 3023; Cass., Sez. 1, 15/10/2014, n. 21847).
Quanto infine all’omesso esercizio dei poteri istruttori officiosi spettanti al Tribunale, è pur vero che il reclamo di cui alla L. Fall., art. 26 dà luogo ad un procedimento di tipo inquisitorio, nell’ambito del quale il tribunale, investito di tutta la procedura e nell’esercizio delle proprie funzioni di controllo sull’operato del giudice delegato, con possibilità di sostituirsi a quest’ultimo nell’esercizio delle sue attribuzioni, non è vincolato dalle richieste delle parti, e può quindi porre a fondamento della decisione la conoscenza di ogni atto o documento della procedura, ancorché gli stessi non abbiano costituito oggetto del contraddittorio (cfr. Cass., Sez. 1, 20/05/2016, n. 10435; 5/04/2012, n. 5501); il carattere discrezionale di tale potere esclude tuttavia la possibilità di dolersi in sede di legittimità del suo mancato esercizio, soprattutto qualora, come nella specie, il ricorrente ometta d’indicare gli elementi di prova di cui lamenta l’omessa valutazione da parte del tribunale.
6. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e dell’art. 24 Cost., l’assoluta carenza di motivazione e l’omessa pronuncia, censurando il decreto impugnato per aver dichiarato compensate le spese processuali, in contrasto con il principio di causalità e con l’esigenza di evitare una diminuzione patrimoniale alla parte che sia stata costretta ad agire giudizialmente per il riconoscimento del proprio diritto.
6.1. Il motivo è infondato.
In tema di spese processuali, il sindacato del Giudice di legittimità è infatti limitato all’accertamento dell’eventuale violazione del principio che esclude la possibilità di porle, anche parzialmente, a carico della parte totalmente vittoriosa, spettando invece alla discrezionalità del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporne, in tutto o in parte, la compensazione, e ciò sia in presenza di giustificati motivi, sia nel caso di soccombenza reciproca (cfr. Cass., Sez. 5, 31/03/2017, n. 8421; 19/06/2013, n. 15317). Quest’ultima situazione è configurabile, proprio in relazione all’invocato principio di causalità, non solo a fronte dell’accoglimento o del rigetto di una pluralità di domande contrapposte e cumulate in un unico processo, ma anche in caso di accoglimento soltanto di alcuni dei capi in cui è articolata l’unica domanda proposta o, come nella specie, di accoglimento parziale dell’unico capo della stessa (cfr. Cass., Sez. 6, 23/09/2013, n. 21684; Cass., Sez. 3, 21/10/2009, n. 22381).
Non merita pertanto censura il decreto impugnato, nella parte in cui, per giustificare l’integrale compensazione delle spese processuali, ha posto in risalto da un lato la rilevanza della differenza riscontrabile tra l’importo riconosciuto al reclamante e quello richiesto, dall’altro l’esiguità di quella esistente tra il medesimo importo e quello liquidato dal Giudice delegato, in tal modo sottolineando la misura limitata dell’accoglimento della domanda e dello stesso reclamo.
7. Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell’intimato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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