CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 21837 depositata il 20 settembre 2017

FALLIMENTO – ORGANI PREPOSTI AL FALLIMENTO – GIUDICE DELEGATO – PROVVEDIMENTI – RECLAMI – INTERESSE EX ART. 100 C.P.C. – NECESSITA’ – SUSSISTENZA – FALLIMENTO DI SOCIETA’ DI CAPITALI – PROVVEDIMENTI SULLA LIQUIDAZIONE DEI BENI SOCIALI – SOSPENSIONE DELLA VENDITA – LEGITTIMAZIONE DEL LEGALE RAPPRESENTANTE – ESCLUSIONE – RAGIONI

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Perugia, con decreto depositato il 28 giugno 2011, respinse il reclamo avanzato dalla (omissis) s.r.l. e dal suo amministratore M.A., avverso il decreto del giudice delegato al fallimento della (omissis) s.r.l., che aveva rigettato l’istanza tesa ad ottenere la sospensione della vendita del compendio immobiliare appartenente alla medesima fallita.

Ritenne il tribunale che il reclamo fosse tardivo, poiché proposto oltre il termine di tre giorni dalla conoscenza del provvedimento; in ogni caso affermò il collegio che non sussistevano le condizioni per la sospensione della vendita, consentita soltanto nel caso in cui il prezzo fosse stato sproporzionato rispetto al valore di mercato del bene, circostanza che nella fattispecie non ricorreva.

(omissis) s.r.l. e M.A. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi; il fallimento della (omissis) s.r.l. e C.S., aggiudicataria del bene oggetto della vendita coattiva, non hanno spiegato difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo (omissis) s.r.l. e M.A. deducono violazione della L. Fall., art. 26, nel testo applicabile ratione temporis precedente alla novella introdotta dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, considerato che il termine per proporre reclamo avverso il decreto del giudice delegato doveva ritenersi di dieci e non di tre giorni, come ritenuto dal tribunale.

Con il secondo motivo denunciano la violazione della L. Fall., artt. 105 e 108, nel testo applicabile ratione temporis, assumendo che il giudice delegato può sospendere le operazioni di vendita dei beni fallimentari anche per ipotesi diverse dalla notevole sproporzione del prezzo, rientrando nel suo potere generale di revocare e modificare i provvedimenti emessi.

Con il terzo motivo assumono ancora violazione della L. Fall., artt. 105 e 108 in relazione all’art. 591-ter c.p.c. e alla L. Fall., art. 108, nel testo attualmente vigente, atteso che la sospensione della vendita è oggi consentita quando ricorrano gravi e giustificati motivi, a prescindere dall’entità del prezzo offerto.

2. Preliminarmente, come evidenziato dal Procuratore Generale nelle conclusioni scritte, d’ufficio va rilevato che il ricorso proposto in proprio da M.A., già amministratore della (omissis) s.r.l., è inammissibile per difetto di interesse ad agire, avendo questa Corte già in precedenza affermato per i soci della società fallita il principio – all’evidenza applicabile anche al suo legale rappresentante -, a tenore del quale essi non sono legittimati a proporre reclamo ex L. Fall., art. 26 avverso il provvedimento del giudice delegato che abbia negato la sospensione della vendita coattiva dei beni sociali, in quanto privi di alcun diritto reale su quei beni, e perciò non titolari del necessario interesse ex art. 100 c.p.c., bensì di un mero interesse di fatto alla conservazione del patrimonio sociale (Cass. 28/05/2012, n. 8434).

3. Il ricorso della (omissis) s.r.l. è invece ammissibile, dovendosi ribadire il prevalente orientamento di questa Corte secondo cui il decreto del tribunale che rigetta il reclamo proposto dal fallito, ai sensi della L. Fall., art. 26, avverso il provvedimento del giudice delegato con il quale era stata respinta l’istanza di sospensione della vendita all’incanto di beni compresi nell’attivo del fallimento, è ricorribile per cassazione a norma dell’art. 111 Cost.. Tale decreto infatti, pronunziato nell’ambito della giurisdizione esecutiva del processo fallimentare, decide una controversia del tutto analoga all’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 c.p.c., con la conseguenza della sua ricorribilità a norma dell’art. 111 Cost. e della conseguente legittimazione del fallito come soggetto passivo dell’esecuzione concorsuale (Cass. 22/01/2009, n. 1610; Cass. 13/09/2006, n. 19667).

4. Il primo motivo del ricorso pure sottoponendo a questa Corte doglianze manifestamente fondate – non potendosi dubitare che il termine per il reclamo, anche nel rito precedente alla riforma della L. Fall., art. 26, introdotta dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in relazione ai provvedimenti di natura decisoria e quindi, come appena visto, ricorribili per cassazione, fosse di dieci e non di tre giorni (Cass. 16/07/2004, n. 13186) -, è tuttavia prima ancora inammissibile per difetto di interesse, avendo il collegio del tribunale fallimentare comunque esaminato tutte le doglianze formulate dai reclamanti e all’esito respinto integralmente il gravame.

5. Il secondo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente, stante la stretta connessione, sono infondati.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di liquidazione dell’attivo fallimentare, al giudice delegato è attribuito, ai sensi della L. Fall., art. 108, comma 3, – nel testo ratione temporis applicabile, precedente alla novella introdotta dal d.lgs. n. 5 del 2006 -, il potere discrezionale di disporre la sospensione della vendita anche ad aggiudicazione avvenuta, qualora sussista una notevole sproporzione tra il prezzo offerto e quello giusto, senza che peraltro la legge indichi un rigoroso criterio quantitativo cui correlare la conseguente determinazione, affidata al prudente apprezzamento del giudice (Cass. 16/07/2010, n. 16755; Cass. 22/01/2009, n. 1610).

E tale potere risulta ribadito anche dalla riforma della L. Fall., art. 108 – qui peraltro, pacificamente, inapplicabile – che, per un verso, attribuisce al giudice delegato il potere generale di sospendere le operazioni di vendita “quando ricorrano gravi e giustificati motivi” e, per altro verso, allorquando l’aggiudicazione provvisoria sia già intervenuta – è esattamente il caso che ci occupa -, limita il suo intervento (con un provvedimento teso a “impedire il perfezionamento della vendita”), al solo caso in cui il prezzo offerto dall’aggiudicatario risulti notevolmente inferiore a quello giusto (vedi anche Cass. 12/01/2017, n. 669).

Dunque, corretta si mostra la decisione del tribunale che ha respinto il reclamo della fallita, teso ad ottenere la sospensione delle operazioni di vendita, dopo che il bene immobile era stato già aggiudicato provvisoriamente, per ragioni manifestamente non concernenti l’entità del prezzo offerto.

5.1. Né, infine, appare utile richiamare la regola generale in materia fallimentare, a tenore della quale i provvedimenti del giudice delegato nel fallimento sono (al pari di quelli del giudice dell’esecuzione) sempre revocabili o modificabili, d’ufficio o su istanza di parte, sino a quando essi non abbiano avuto esecuzione e, quindi, ove siano preordinati al trasferimento del bene espropriato, fino al momento in cui sia stato pronunciato il relativo decreto, cui consegue l’effetto traslativo, non prodotto invece dalla sola ordinanza di aggiudicazione (Cass. 18/01/2001, n. 697).

È chiaro, infatti, che l’esercizio della facoltà di revocare o modificare i provvedimenti ancora improduttivi di effetti, costituisce manifestazione di quel potere di vera e propria “direzione” della procedura fallimentare un tempo accordato al giudice delegato (L. Fall., art. 25, comma 1, nel testo qui ancora applicabile); potere, tuttavia, chiaramente non ancorato a presupposti di legge rinvenibili nella disciplina delle procedure concorsuali e, proprio per la sua natura discrezionale, non suscettibile di sindacato in sede di legittimità nel caso del mancato suo esercizio da parte degli organi della procedura.

6. Nulla sulle spese, in carenza di attività difensiva delle parti intimate.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso proposto da M.A..

Dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso proposto da (omissis) s.r.l.; respinge i restanti motivi.

Nulla sulle spese.