CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 22488 depositata il 4 novembre 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – LICENZIAMENTO DISCIPLINARE – PROCEDIMENTO DISCIPLINARE – GARANZIE PROCEDIMENTALI – VIOLAZIONE E NULLITA’ DEL RECESSO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il Tribunale di Reggio Calabria ha annullato, per inosservanza delle garanzie procedimentali dettate dall’art. 7 della legge n. 300 del 1970, il licenziamento per giusta causa intimato dalla società A., società cooperativa a responsabilità limitata, con lettera del 30 marzo 2011 a F.B. per assenza ingiustificata oltre tre giorni.
2. Respingendo l’impugnazione della società, la Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza depositata il 7 maggio 2013, ha confermato la statuizione del giudice di prime cure.
3. Per la cassazione di tale sentenza la società propone ricorso affidato ad un motivo, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c. La lavoratrice resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con l’unico motivo del ricorso, si denuncia “violazione ed erronea applicazione” dell’art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300 nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, avendo, la Corte territoriale, contraddittoriamente distinto il profilo dell’accertamento della giusta causa di licenziamento (che esonera il datore di lavoro dal preavviso) dall’aspetto procedurale attinente all’osservanza delle garanzie dettate dall’art. 7 citato, a fronte della palese integrazione – nel caso di specie – dei requisiti previsti dagli artt. 39 e 41, lett. B, del c.c.n.I. di categoria (AIOP) per l’irrogazione del licenziamento in tronco dei lavoratori. La Corte territoriale, inoltre, ha omesso qualsiasi motivazione circa la prova dell’invio dei certificati medici all’Istituto previdenziale da parte della lavoratrice.
2. – Le doglianze esposte debbono ritenersi in parte inammissibili e in parte infondate.
2.1. Inammissibili laddove parte ricorrente denuncia un vizio motivazionale in difetto dei requisiti richiesti dal novellato art. 360, primo comma, n. 5 (trattandosi di sentenza pubblicata dopo l’11.9.2012 e ricadendo, pertanto, l’impugnazione sotto la vigenza della modifica apportata dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134). Come precisato dalle Sezioni Unite (n. 8053/2014) è, in tal caso, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. E tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Pertanto, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta).
Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non è assente o meramente apparente, né gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori. In particolare, la Corte territoriale ha accertato che il datore di lavoro ha intimato il licenziamento per giusta causa (per assenza dal posto di lavoro oltre tre giorni consecutivi) senza l’osservanza delle garanzie procedimentali dettate dall’art. 7 della legge n. 300 del 1970, ed ha, pertanto, dichiarato l’illegittimità dell’atto di recesso.
Invero, il licenziamento intimato in conseguenza di una colpevole condotta del prestatore di lavoro, sia pur essa idonea a configurare la giusta causa di cui all’art. 2119 cod. civ., ha natura “ontologicamente” disciplinare ed implica, per tale ragione, la previa osservanza delle garanzie procedimentali stabilite dall’art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, la cui violazione rende ingiustificato l’atto di recesso, nel senso che il comportamento addebitato al dipendente, non fatto valere attraverso quel procedimento, non può, quand’anche effettivamente sussistente e rispondente alla nozione di giusta causa o giustificato motivo, essere addotto dal datore di lavoro per sottrarsi all’operatività della tutela apprestata dall’ordinamento nelle diverse situazioni e cioè – nel caso di specie, considerati i requisiti dimensionali della società – a quella massima corrispondente all’area della c.d. tutela reale, ossia all’art. 18 della citata legge n. 300 del 1970 (orientamento ormai consolidato a seguito della sentenza delle Sezioni unite di questa Corte n. 3965/1994, cfr. ex plurimis Cass. nn. 5855/2003, 12526/2004).
2.2. – Per la ragione esposta, il ricorso si presenta altresì infondato, in quanto la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del richiamato orientamento giurisprudenziale (considerato che trattasi di licenziamento irrogato prima della novella legislativa del 28 giugno 2012, n. 92).
3. – Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c. Il ricorso è stato notificato il 7/11/2013, dunque in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese di lite a favore del controricorrente, liquidate in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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