CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 2523 del 9 febbraio 2016
LAVORO – RICOLLOCAZIONE DEL PERSONALE INTERESSATO DALLA CESSAZIONE DELLA ATTIVITA’ DI UNA DELLE DUE IMPRESE – ONERE DELLA PROVA – LEGITTIMITA’
L’accordo, avente ad oggetto la ricollocazione del personale interessato dalla cessazione della attività di una delle due imprese e contenente l’impegno della subentrante ad assumere alle sue dipendenze una determinata percentuale dei dipendenti messi in mobilità, va qualificato come contratto a favore di terzi, che fa sorgere In capo ai beneficiari, se individuati o individuabili, un diritto da opporre alla impresa promittente. Da detta qualificazione discende che, qualora l’accordo non indichi nominativamente i dipendenti da assumere ma, come nella fattispecie, si limiti a stabilire i criteri per la individuazione del lavoratori che dovranno transitare alle dipendenze dell’imprenditore subentrante, il titolo della pretesa che il singolo lavoratore fa valere nei confronti di quest’ultimo non è costituito solo dall’accordo collettivo, ma anche dal possesso dei requisiti stabiliti dalle parti contraenti per la individuazione dei terzi beneficiari. E’ quindi onere dei lavoratore che agisca in giudizio per rivendicare il suo diritto all’assunzione, dimostrare che sulla base dei criteri indicati nell’accordo la scelta doveva ricadere sulla sua persona.
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Svolgimento del processo
La Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Cassino che aveva respinto la domanda proposta da V.C., il quale, con ricorso del 23 giugno 2003, nel convenire in giudizio la S. s.p.a. in Amministrazione straordinaria e la Sud Europa T. s.r.I., aveva chiesto l’accertamento del suo diritto ad essere assunto dalla Sud Europa T. s.r.l. e la conseguente condanna in via solidale delle società resistenti al risarcimento dei danni, quantificati in misura pari alle differenze fra le retribuzioni, che avrebbe percepito ove l’assunzione fosse stata immediatamente disposta, ed il trattamento di integrazione salariale.
A sostegno della domanda il ricorrente aveva dedotto che con accordo del 14.9.2002, siglato dalle due società e dalle organizzazioni sindacali, la Sud Europa T. si era impegnata ad assumere immediatamente 125 lavoratori occupati nello stabilimento di Cassino e ad individuarli nel rispetto dei criteri oggettivi della anzianità di servizio e dei carichi familiari. Aveva aggiunto che le graduatorie erano state formate in relazione ai singoli profili professionali e che egli, erroneamente, era stato inserito nell’elenco relativo alla posizione di “operatore di confezionatrici”, quando, in realtà, nel corso del rapporto aveva ricoperto la posizione di addetto al controllo qualità e, nell’ultimo periodo, era stato utilizzato sia come carrellista che come tubierista.
La Corte territoriale, dopo avere premesso che non erano stati contestati i criteri indicati nel richiamato accordo del 14.9.2002 e la applicazione degli stessi in relazione alle singole tipologie professionali, ha evidenziato che:
a) tutti i lavoratori transitati alle dipendenze della Sud Europa T., inseriti nella graduatoria relativa al profilo professionale di “addetto al controllo qualità”, superavano il Carlino per anzianità e carichi di famiglia;
b) non era stata provata la assegnazione dei ricorrente a mansioni di “addetto alla preparazione di impasti” né era possibile comparare detto profilo professionale con quello di “addetto al controllo qualità”, attesa la diversità di inquadramento;
c) il Tribunale aveva correttamente escluso, sulla base delle risultanze della prova testimoniale, che il C. avesse svolto prevalentemente mansioni di addetto alle tubiere;
d) la professionalità posseduta dal ricorrente non era comparabile con quella degli altri lavoratori inseriti nella graduatoria e trasferiti alle dipendenze della Sud Europa per svolgere le mansioni di tubierista, proprio perché faceva difetto il requisito della necessaria prevalenza;
e) correttamente il Carlino era stato inserito nella graduatoria relativa al profilo di addetto alla macchina confezionatrice, giacché ben quattro testi avevano dichiarato che proprio questa era stata la mansione svolta in via prevalente.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso V.C., sulla base di tre motivi, articolati in più punti. La Sud Europa T. s.r.l. e la S. s.p.a. in amministrazione straordinaria hanno resistito con controricorso. Sono rimasti intimati G.C., G.V., M.M. e L.Z., costituitisi nel giudizio di primo grado a seguito di chiamata in causa. Ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. la Sud Europa T. s.r.I.
Ragioni della decisione
1.1 – Con il primo motivo di ricorso V.C. denuncia “violazione e, subordinatamente, falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in tema di ripartizione degli oneri probatori, anche in relazione all’art. 1218 c.c.”. Rileva che la Corte territoriale avrebbe erroneamente posto a carico del ricorrente l’onere di dimostrare di avere svolto le mansioni di tubierista con carattere di prevalenza quando, in realtà, sarebbe spettato alle società resistenti fornire la prova del corretto adempimento e, quindi, della legittimità della scelta operata.
Il motivo è infondato.
La violazione di legge, ai sensi del combinato disposto degli artt. 360 1° comma, n. 3 c.p.c. e 2697 c.c., può essere utilmente denunciata nei casi in cui il giudice di merito, a fronte di un quadro probatorio incerto, abbia fondato la soluzione della controversia sui principio actore non probante reus absolvitur ed abbia errato nella qualificazione del fatto, ritenendolo costitutivo della pretesa mentre, in realtà, lo stesso doveva essere qualificato impeditivo. Solo in tal caso l’errore condiziona la decisione, poiché fa ricadere le conseguenze pregiudizievoli della incertezza probatoria su una parte diversa da quella che era tenuta, secondo Io schema logico regola-eccezione, a provare il fatto incerto.
Detta evenienza non si verifica allorquando il giudice, all’esito della valutazione delle prove assunte ed a prescindere dalla individuazione della parte tenuta a provare i fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, pervenga al convincimento che i fatti allegati dall’attore non siano provati, mentre lo siano quelli sui quali il convenuto ha fondato le proprie difese. In tal caso, infatti, il rigetto della domanda non discende dalla errata applicazione del principio dell’onere della prova, giacché, una volta affermato con certezza che il fatto allegato dall’attore non si è verificato mentre si è realizzato quello dedotto dal convenuto, diviene irrilevante stabilire se le circostanze da quest’ultimo allegate costituissero fondamento di una mera difesa o di un’eccezione.
Nel caso di specie la Corte territoriale, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, non ha respinto la domanda solo perché non era stata dimostrata dal Carlino la erroneità della applicazione dei criteri di scelta, ma ha, invece, ritenuto la correttezza dell’inserimento nella graduatoria relativa al profilo professionale di “addetto alla confezionatrice”, avendo le resistenti dimostrato la prevalenza di dette mansioni rispetto a quelle indicate nel ricorso.
In altri termini il giudice di appello non ha fondato la decisione sulla regola residuale dell’onere della prova, ma ha, al contrario, ritenuto provato il rispetto dei criteri indicati nell’accordo sindacale, sicché diviene irrilevante stabilire se dovesse o meno essere addossato all’attore l’onere di provare la illegittimità della scelta.
1.2 – Alle assorbenti considerazioni che precedono si deve aggiungere che l’art. 47, comma 5, della legge n. 428/1990, nel testo vigente alla data del 14 settembre 2002, esclude la cessione ex lege dei rapporti di lavoro nel caso di trasferimento di azienda che riguardi impresa sottoposta, come nella specie, ad amministrazione straordinaria e precisa che gli accordi intervenuti con le organizzazioni sindacali possono anche stabilire che il personale eccedentario resti alle dipendenze dell’alienante. Detta esclusione è stata ribadita dall’art. 14 quater del d.l. 25.9.2009 n. 135, convertito con modificazioni dalla legge 20.11.2009 n. 166, che, nel dare attuazione alla sentenza della Corte di Giustizia dell’11.6.2009 in causa C-561/07, ha stabilito che per le imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria l’art. 2112 c.c. trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo raggiunto in merito al mantenimento, anche parziale, dell’occupazione.
Ne discende che, a differenza di quanto si verifica per la cessione di azienda o di un suo ramo disciplinata dall’art. 2112 c.c., per i dipendenti delle grandi imprese in crisi il diritto non sorge solo per effetto della cessione, ma trova il suo titolo nell’accordo raggiunto dalle imprese interessate alla cessione con le organizzazioni sindacali.
La giurisprudenza di questa Corte ha, poi, affermato che l’accordo, avente ad oggetto la ricollocazione del personale interessato dalla cessazione della attività di una delle due imprese e contenente l’impegno della subentrante ad assumere alle sue dipendenze una determinata percentuale dei dipendenti messi in mobilità, va qualificato contratto a favore di terzi, che fa sorgere In capo ai beneficiari, se individuati o individuabili, un diritto da opporre alla impresa promittente (Cass. 26.6.2009 n. 15073). Da detta qualificazione discende che, qualora l’accordo non indichi nominativamente i dipendenti da assumere ma, come nella fattispecie, si limiti a stabilire i criteri per la individuazione del lavoratori che dovranno transitare alle dipendenze dell’imprenditore subentrante, il titolo della pretesa che il singolo lavoratore fa valere nei confronti di quest’ultimo non è costituito solo dall’accordo collettivo, ma anche dal possesso dei requisiti stabiliti dalle parti contraenti per la individuazione dei terzi beneficiari.
E’ quindi onere dei lavoratore che agisca in giudizio per rivendicare il suo diritto all’assunzione, dimostrare che sulla base dei criteri indicati nell’accordo la scelta doveva ricadere sulla sua persona.
La giurisprudenza di questa Corte richiamata nel ricorso non è applicabile alla fattispecie, nella quale non si discute della scelta dei lavoratori da licenziare, bensì della individuazione dei dipendenti che la impresa subentrante si era impegnata a riassorbire. D’altro canto, secondo il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 30 ottobre 2001 n. 13533, l’onere della prova del corretto adempimento grava sul debitore solo a condizione che il creditore abbia dimostrato la fonte, legale o contrattuale, del suo diritto, che, nella specie, non è costituita solo dall’accordo intervenuto fra le imprese e le organizzazioni sindacali ma anche dal possesso dei requisiti che dava titolo alla assunzione.
2 – Con il secondo motivo è denunciata “omessa ed insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione alla fattispecie prospettata e alle risultanze istruttorie”. Sostanzialmente il ricorrente lamenta l’errore commesso dalla Corte territoriale nel fondare la decisione sulle deposizioni rese dai testi indicati dalle società, in assenza di qualsivoglia valutazione sulla attendibilità intrinseca ed estrinseca degli stessi.
La medesima rubrica il ricorrente antepone al terzo motivo, con il quale lamenta, al punto n. 1, che il giudice di appello avrebbe errato nel ritenere non provato lo svolgimento in via prevalente delle mansioni di tubierista e ciò avrebbe fatto, da un lato sminuendo erroneamente le deposizioni dei testi indicati dal ricorrente e dall’altro senza dare adeguato conto delle ragioni per le quali i testimoni indicati dalle società dovevano essere ritenuti maggiormente attendibili.
I motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono inammissibili in quanto sollecitano una diversa valutazione delle risultanze processuali, non consentita in sede di legittimità. Occorre innanzitutto qui ribadire che, in relazione alla prova testimoniale, il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., nel testo antecedente alle modifiche apportate dal d.l. 22.6.2012 n. 83, non applicabile alla fattispecie ratione temporis (la sentenza impugnata è stata pubblicata il 19.11.2011), sussiste solo qualora le deposizioni affermino o neghino obiettivamente fatti costitutivi dei diritti controversi e siano state ignorate o esaminate in modo assolutamente insufficiente dal giudice di merito (Cass. 3.7.2014 n. 15205).
La citata disposizione, infatti, non conferisce a questa Corte il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, poiché il controllo di logicità del giudizio di fatto “non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità” (fra le più recenti Cass. 9.1.2014 n. 91 e Cass. 28.11.2014 n. 25332).
Restano, quindi, riservate al giudice di merito la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione.
Questa Corte ha, poi, costantemente affermato che il giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 7.1.2009 n. 42 e fra le più recenti Cass. 23.5.2014 n. 11511).
Con particolare riferimento alla asserita inattendibilità dei testi valorizzati dal giudice di merito è stato anche evidenziato che l’oggetto del mancato esame deve essere costituito da elementi probatori di significato chiaro ed univoco, tali da èvidenziare con assoluta certezza l’inveridicità della deposizione testimoniale, e non da mere illazioni dell’impugnante fondate sulla sua particolare valutazione delle risultanze processuali (Cass. 24.5.2013 n. 12988).
Dai principi di diritto sopra riportati discende la inammissibilità del secondo e del terzo motivo di ricorso, poiché la Corte territoriale, con motivazione sintetica ma esaustiva, ha dato conto delle ragioni per le quali dovevano essere poste a fondamento della decisione le dichiarazioni testimoniali rese dai testi S., C., B., S. ed ha indicato i motivi che rendevano le altre testimonianze inattendibili o non idonee a far ritenere provati i fatti allegati dal ricorrente.
Il giudice di appello, inoltre, ha esaminato le risultanze processuali di altro giudizio svolto fra le medesime parti ed ha evidenziato che anche in quella sede ( nella quale si discuteva del preteso demansionamento del C.) non era emersa la asserita assegnazione dell’appellante a mansioni di tubierista con carattere di prevalenza.
3 – Nel secondo punto del terzo motivo il ricorrente lamenta la “omessa valutazione della fungibilità tra le mansioni di operatore addetto alla macchina tubiera e di operatore addetto alla macchina confezionatrice”. Rileva, sostanzialmente, che l’accordo del 14 settembre 2002 escludeva espressamente la rilevanza dei criterio di scelta delle esigenze tecnico produttive, sicché le società non avrebbero potuto “disaggregare il personale in graduatorie separate su ambiti definiti in relazione alla collocazione aziendale”, poiché, in tal modo, avevano finito per dare rilievo alle esigenze produttive e per inserire un elemento di discrezionalità nella scelta che, secondo l’accordo, doveva essere ancorata solo a parametri oggettivi.
Il motivo è inammissibile.
La questione della interpretazione dell’accordo e della conseguente possibilità di operare la scelta sulla base di distinte graduatorie formate in relazione alle professionalità possedute dai lavoratori non risulta affrontata nella sentenza impugnata nella quale, anzi, si evidenzia che nessuna censura era stata formulata nel gravame “circa la legittimità del criterio di scelta adottata nell’accordo sindacale concluso il 14.9.2002 che ha indicato i criteri di scelta dei lavoratori individuati secondo le tipologie professionali richieste dalla società”.
Il ricorrente, pertanto, aveva innanzitutto l’onere di censurare in modo specifico il capo della decisione, allegando di avere dedotto la questione, nei termini qui posti, dinanzi al giudice di merito ed indicando in quali atti dei precedenti gradi di giudizio ciò aveva fatto (Cass. 28.7.2008 n. 20518).
Va ricordato, infatti, che nel giudizio di cassazione, “che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti.” (Cass. 26.3.2012 n. 4787). Il ricorrente, pur denunciando sostanzialmente una omessa pronuncia, non ha assolto gli oneri sopra indicati poiché non ha fatto alcun cenno al ricorso di primo grado ed al contenuto della sentenza di primo grado e, quanto all’appello, ha solo trascritto le pagine da 6 a 15 della impugnazione, tutte relative alla asserita errata valutazione delle risultanze della prova testimoniale. Solo nella parte finale del motivo l’appellante fa riferimento alla rotazione di tutti i dipendenti nelle varie postazioni lavorative, ma ciò fa per sostenere la tesi della comparabilità con gli altri tubieristi, a prescindere dalla prevalenza e dalla anzianità nella mansione e, quindi, per prospettare una questione diversa da quella della legittimità o meno delle distinte graduatorie formate dalle società.
4 – Il terzo motivo si conclude, infine, con la denuncia della “omessa e/o insufficiente valutazione dello svolgimento da parte del ricorrente di mansioni di tubierista”. Il ricorrente ripropone, sostanzialmente, le medesime censure sviluppate negli altri motivi per sostenere che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere non prevalenti le mansioni di tubierista e, in subordine, nell’escludere la equivalenza con i compiti propri dell’addetto alla macchina confezionatrice.
Le censure sono parimenti inammissibili, poiché sollecitano una diversa valutazione dei fatto, che il giudice di appello ha effettuato, dando conto del ragionamento decisorio posto alla base della pronuncia, con la quale sono state escluse sia la ipotizzata prevalenza, sia la fungibilità delle mansioni, esclusa in quanto dalla istruttoria era invece emerso che solo i lavoratori trasferiti ” erano stati addetti in via esclusiva allo svolgimento delle specifiche mansioni”.
Il ricorso va, quindi, respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore delle società controricorrenti liquidate per ciascuna in € 3000,00 per compensi professionali ed in € 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
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