CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 2609 del 21 gennaio 2016
INFORTUNIO SUL LAVORO – LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – COORDINATORE PER L’ESECUZIONE DEI LAVORI – COMPITI E FUNZIONI – COMPITI DI ADEGUARE IL PIANO DI SICUREZZA
II coordinatore per la sicurezza è, pertanto, titolare di una posizione di garanzia nei limiti degli obblighi specificamente individuati dall’art. 92 del d.lgs. 81/2008. Tale posizione di garanzia gli impone, nell’ambito dei cantieri temporanei o mobili contrassegnati da lavori appaltati, di assicurare il collegamento tra impresa appaltatrice e committente al fine della migliore organizzazione del lavoro sotto il profilo della tutela antinfortunistica: in particolare sono a suo carico i compiti di adeguare il piano di sicurezza in relazione allo stato di avanzamento dei lavori, di vigilare sul rispetto dello stesso e di sospendere le singole lavorazioni in caso di pericolo grave ed imminente. In altre parole, va detto che le funzioni del coordinatore non si limitano a compiti organizzativi e di raccordo o di collegamento tra le eventuali varie imprese che collaborano nella realizzazione dell’opera, ma, in conformità al dettato normativo sopra citato, si estendono anche al compito di vigilare sulla corretta osservanza da parte delle imprese o della singola impresa delle prescrizioni del piano di sicurezza e ciò a maggior garanzia dell’incolumità dei lavoratori.
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Fatto
1. C.M. ricorre personalmente per cassazione azionando, con ricorso depositato il 10 giugno 2015, il rimedio straordinario previsto dall’articolo 625-bis del codice di procedura penale nei confronti della sentenza n. 73 del 2015 pronunciata dalla quarta Sezione penale della Corte Suprema di cassazione all’udienza pubblica del 15 gennaio 2015, depositata il 2 marzo 2015.
2. Per la correzione dell’impugnata sentenza il ricorrente articola due motivi di “gravame”.
2.1. Con un primo motivo deduce un errore di fatto alla pagina 4 della sentenza (terzo periodo) consistente nell’avere la Corte di cassazione considerato come circostanza da provare “un fatto già provato”. La differente circostanza che si sarebbe voluto provare, invece, consisteva della dimostrazione della condizione di “assoluta regolarità del ponteggio” alla data del 18 giugno 2002 (data rilevante in quanto è stata l’ultima volta che il ricorrente ha effettuato verifica sui luoghi del 25 giugno 2002, data del tragico avvenimento).
2.2. Con il secondo motivo lamenta altro errore di fatto rilevabile a pagina 6 della sentenza (secondo periodo), laddove si è considerato l’articolo 5 d.lgs. 528/1999 mentre detto articolo di legge, nella sua forma aggiornata valida al momento del fatto (anno 2002), prevedeva espressamente che l’esercizio dei poteri di comando in capo al coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione potesse essere esercitato solo laddove la situazione di pericolo grave ed imminente fosse dal coordinatore direttamente riscontrata. Il ricorrente invece fino a che fece la verifica sul cantiere riscontrò la totale inesistenza di situazioni di pericolo grave ed imminente, come avrebbe dovuto confermare l’ingegnere B., non escusso dal collegio giudicante.
Diritto
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza rilevabile ictu oculi e pertanto va deciso de plano.
2. Il ricorrente aziona infatti lo speciale mezzo di impugnazione per dedurre esclusivamente presunti errori valutativi o di giudizio, come si evince, con tutta evidenza, dal contenuto delle censure sollevate.
Sul punto, va preliminarmente chiarito che la fisionomia del ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. è compatibile solo con una disciplina finalizzata a porre riparo a mere sviste o errori di percezione nei quali sia incorso il giudice di legittimità e non anche per introdurre un ulteriore grado di giudizio, ciò che si porrebbe, del resto, in contrasto con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo (Sez. V, n. 37725 del 17/10/2005, Avignone, Rv. 232313).
3. Passando all’esame della prima censura è il caso di rimarcare come dal testo della sentenza impugnata emerga con tutta evidenza come la Corte di cassazione, in relazione al motivo di ricorso proposto, abbia chiarito che la Corte d’appello aveva fornito adeguata giustificazione del mancato esercizio del potere di rinnovazione, rilevando che la circostanza oggetto della prova testimoniale (lo stato del ponteggio al momento dell’incidente) era già documentata in atti, non apprezzandosi così quella situazione di incertezza ai fini del decidere che, sola, lo avrebbe consentito (anzi, addirittura imposto).
La diversa circostanza, ossia la prova dello stato del ponteggio alla data della presunta ultima verifica in loco eseguita dal ricorrente (antecedente alla data dell’incidente), non risulta enunciata nel ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello, essendosi, in tale sede, il ricorrente esclusivamente doluto di aver “segnalato l’assoluta necessità di procedere all’escussione del teste (…) in quanto idonea a confermare una circostanza di fatto assolutamente decisiva per l’attuale imputato; peraltro detta necessità di integrazione probatoria si era venuta a creare per la prima volta solo all’esito delle infondate valutazioni fatte dal gip nella propria sentenza emessa con rito abbreviato”.
4. Quanto alla seconda censura, va detto che l’affermazione della Corte di cassazione (circa il fatto che la presenza in cantiere del coordinatore per la sicurezza non va intesa come stabile presenza in cantiere, ma secondo il significato che consegue dalla posizione di garanzia di cui lo stesso è titolare nei limiti degli obblighi specificamente individuati dal citato d.lgs. 528/1999, art. 5 (ora cit. d.lgs. 81/2008, art. 92), che comprendono anche poteri a contenuto impeditivo in situazioni di pericolo grave ed imminente) è stata preceduta da un ampio excursus in diritto dell’evoluzione legislativa in materia per ritenere la manifesta infondatezza dell’assunto secondo il quale i poteri del coordinatore per l’esecuzione dovevano essere esercitati solo nei casi in cui il pericolo grave ed imminente fosse direttamente riscontrato dallo stesso.
E’ allora il caso di ripetere che la Corte di cassazione ha, sul punto, affermato che “la suddetta interpretazione non tiene conto della lettera della legge e dello spirito della riforma, indirizzata a rimarcare ancora più incisamente la posizione di garanzia del coordinatore per l’esecuzione dei lavori.
Questa figura professionale, per la prima volta organicamente disciplinata dal d.lgs. 494/1996 (attuazione della direttiva 92/57 Cee concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili), è definita dal D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 2 come “soggetto incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell’esecuzione dei compiti di cui all’art. 5”.
In base all’originaria formulazione del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, art. 5, al coordinatore per l’esecuzione dei lavori (nominato dal committente o dal responsabile dei lavori: art.3, comma 4) era attribuito l’obbligo di “assicurare, tramite opportune azioni di coordinamento, l’applicazione delle disposizioni contenute nei piani di cui agli artt. 12 e 13 e delle relative procedure di lavoro” (lett. a) e quello di “adeguare i piani di cui agli artt. 12 e 13 in relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute” (lett. b).
I compiti di questa figura professionale sono stati ridefiniti dal D.Lgs. 19 novembre 1999, n. 528, applicabile ratione temporis al caso in esame, il cui art. 5 ha modificato la riferita disciplina contenuta nell’art. 5 originario, attribuendo al coordinatore per l’esecuzione del lavori I compiti di “verificare” (e non più “assicurare”) l’applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni contenute nei piani di sicurezza e di coordinamento di cui all’art. 12 (lett. a) e quello di “adeguare il piano di sicurezza e coordinamento in relazione all’evoluzione del lavori e alle eventuali modifiche intervenute”.
Il coordinatore per la sicurezza è, pertanto, titolare di una posizione di garanzia nei limiti degli obblighi specificamente individuati dal citato D.LGS. 528/1999, art. 5 (ora sostituito dal d.lgs. 81/2008,art. 92).
Tale posizione di garanzia gli impone, nell’ambito dei cantieri temporanei o mobili contrassegnati da lavori appaltati, di assicurare il collegamento tra impresa appaltatrice e committente al fine della migliore organizzazione del lavoro sotto il profilo della tutela antinfortunistica: in particolare sono a suo carico i compiti di adeguare il piano di sicurezza in relazione allo stato di avanzamento dei lavori, di vigilare sul rispetto dello stesso e di sospendere le singole lavorazioni in caso di pericolo grave ed imminente. In altre parole, va detto che le funzioni del coordinatore non si limitano a compiti organizzativi e di raccordo o di collegamento tra le eventuali varie imprese che collaborano nella realizzazione dell’opera, ma, in conformità al dettato normativo sopra citato, si estendono anche al compito di vigilare sulla corretta osservanza da parte delle imprese o della singola impresa delle prescrizioni del piano di sicurezza e ciò a maggior garanzia dell’incolumità dei lavoratori (v. in tal senso Sezione 4, 14 giugno 2011, n. 32142, Goggi, rv. 251177)”.
5. Perciò, i rilievi formulati dal ricorrente non si traducono affatto in errori percettivi e, all’evidenza, neppure di giudizio, posto che, in definitiva, l’errore di fatto deve risolversi in una carenza che influisce sul processo formativo della volontà produttiva di un esito decisionale diverso da quello che sarebbe stato adottato in assenza dell’errore stesso, situazione nella specie del tutto insussistente in entrambi i casi investiti dal gravame.
6. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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