CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 26103 del 30 dicembre 2015
Ritenuto in fatto
1.— Con la sentenza n. 44/66/2010, depositata il 22 febbraio 2010 e non notificata, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia (hinc: «CTR»), accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio di Brescia 1, nei confronti di F. G., avverso la sentenza n. 26/06/2006 della Commissione tributaria provinciale di Brescia (hinc: «CTR»), condannando la parte appellata al pagamento delle spese di lite.
2.— La CTR, per quanto qui rileva, nell’accogliere l’appello e nel modificare la decisione della CTP, affermava che: a) i parametri previsti dall’art. 3, comma 181, della legge n. 549 del 1995, su cui si fondava l’accertamento ai fini IVA per l’anno 1999 dell’importo di € 13.582,00, integravano una presunzione relativa che, in quanto tale, consentiva al contribuente di dimostrare l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione dei maggiori indici di reddito in essi previsti; h) nel caso di specie, però, il contribuente non aveva prodotto prove idonee a giustificare il significativo scostamento del reddito dichiarato rispetto a quello accertato in via presuntiva; c) non era convincente, in particolare, l’argomentazione del contribuente relativa all’applicazione del principio di cassa, con traslazione dei redditi dall’anno 1999 all’anno 2000, non essendo stati provati fatti straordinari ed eccezionali che avevano influito in maniera anomala sulla produzione dei redditi nell’annualità di competenza, oggetto dell’accertamento.
3.— Avverso la sentenza di appello, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 28-29 aprile 2010 ed affidato ad un motivo.
4.— L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso, notificato il 28 maggio 2010.
Considerato in diritto
1.— Il ricorrente, con l’unico motivo di ricorso ed in riferimento all’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., deduce la violazione dell’art. 3, comma 181, della legge n. 549 del 1995 nonché dell’art. 39, comma primo, lettera d), d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54, comma primo, del d.P.R. n. 917 del 1986. In particolare, dopo essersi soffermato sul rilievo delle presunzioni nel diritto tributario, sostiene che l’emissione di una fattura sarebbe fatto idoneo a giustificare l’applicazione del principio di cassa, in luogo di quello di competenza, determinando la traslazione dei redditi dall’anno 1999 all’anno 2000.
2.— Il motivo è inammissibile perché il ricorrente denuncia come errore di diritto, e segnatamente come violazione delle norme sopra indicate, un difetto della sentenza di appello che può eventualmente integrare, in realtà, solo un vizio di motivazione.
3.— In particolare, non è stata censurata un’erronea applicazione di una norma di diritto o la sua errata interpretazione, bensì è stato criticato il giudizio circa la rilevanza del fatto dedotto come prova (nella specie, la fattura n. 13 del 2000 che, nella prospettazione del ricorrente, spiegherebbe, unitamente all’applicazione del criterio della cassa al posto di quello di competenza, l’incongruenza tra i redditi presunti e quelli dichiarati). In altri termini, è stata contestata una valutazione essenzialmente di merito, al più suscettibile di riesame in questa sede sotto il profilo di eventuali vizi di motivazione, però non specificamente dedotti con il motivo di ricorso.
4.— Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, l’erronea sussunzione del vizio che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità nell’una o nell’altra fattispecie di cui all’art. 360 cod. proc. civ., è causa di inammissibilità del ricorso (ex plurimis, Cass. n. 13066 del 2007; n. 7268 del 2012; n. 21099 del 2013; n. 21165 del 2013). Il giudizio di cassazione è infatti un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione, con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito (n. 18202 del 2008; n. 19959 e n. 25532 del 2014). Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ., non potendo essere ammessa all’esame del giudice di legittimità né una critica generica della sentenza impugnata, né la deduzione di un vizio motivazionale come violazione di legge.
5.— In conclusione, la radicale differenza tra le due tipologie di censura in questione rende inammissibile un motivo di ricorso, quale quello in esame, con cui si contesti come violazione di legge la valutazione che la CTR abbia fatto in ordine alla concludenza di una prova presuntiva (in tal senso, per analoghe ipotesi, ex plurimis, Cass. n. 8315 del 2013, che richiama Cass n. 4178 del 2007).
6.— In ragione del principio di causalità, il ricorrente va condannato a rimborsare alla controricorrente Agenzia delle entrate le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il motivo di ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente Agenzia delle entrate le spese di lite, che si liquidano in complessivi E. 2.900,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile, in data 9 dicembre 2015.
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