CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 26106 del 30 dicembre 2015
Svolgimento del processo
La Commissione tributaria della regione Lazio con sentenza 20.11.2007 n. 65 ha rigettato l’appello proposto dall’Ufficio di Roma della Agenzia delle Entrate avverso la decisione di prime cure che aveva annullato l’avviso di rettifica emesso nei confronti di M. Italia s.p.a. icon il quale veniva recuperate a tassazione la indebita detrazione IVA effettuata mediante utilizzo di fatture passive emesse per operazioni inesistenti.
I Giudici di appello, dopo aver ritenuto legittima la motivazione dell’avviso di rettifica “per relationem” al PVC in data 22.10.2002 del quale la società aveva avuto piena conoscenza -non risultando in contestazione la regolare notifica del verbale ed avendo svolto la contribuente compiutamente le proprie difese in merito al contenuto del PVC posto a fondamento della pretesa fiscale- , ritenevano insufficienti i riscontri probatori della “frode carosello” contestata alla società con l’avviso di rettifica, essendosi limitato l’Ufficio a richiamare il PVC che rimandava genericamente alle risultanze del procedimento penale, peraltro ancora in fase di indagini preliminari: in particolare la CTR rilevava che gli elementi indiziari raccolti nel PVC (le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio da altri indagati e persone informate sui fatti) erano stati raccolti in assenza del contraddittorio con la società contribuente, sicchè non potevano essere utilizzati probatoriamente nel processo tributario e neppure nel processo penale.
Avverso la sentenza non notificata ha proposto rituale ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate censurando vizi processuali e vizi di motivazione.
Resiste con controricorso la società contribuente che ha proposto ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo, depositando anche memoria illustrativa.
Il ricorso principale va accolto.
La sentenza di appello ha rigettato la impugnazione proposta dall’Ufficio finanziario alla stregua della seguente “ratio decidendi”:
gli elementi indiziari emersi dal PVC (dichiarazioni rese dagli autotrasportatori in ordine alla fittizietà delle operazioni economiche, non avendo gli stessi effettuato alcun effettivo trasporto di merce non erano utilizzabili come prove nel processo tributario, nè nel processo penale, in quanto raccolti in assenza di contraddittorio in violazione dei principi fondamentali di cui all’art. 111 Cost. : in conseguenza l’avviso di rettifica motivato “per relationem” al PVC in data 22.10.2002 che rimandava al contenuto di atti relativi al procedimento penale, rendeva “priva di sufficienti riscontri probatori” la pretesa tributaria (cfr. sentenza CTR).
La sentenza di appello è stata impugnata dalla Agenzia fiscale, con il primo motivo, corredato di quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., deducendo il vizio di nullità processuale ex art. 360 co 1 n. 4) c.p.c. , avendo la CTR, a torto, ritenuto la inutilizzabilità probatoria delle dichiarazioni degli autotrasportatori in quanto assunte in difetto di contraddittorio, facendo erronea applicazione dei limiti alla prova testimoniale disposti dall’art. 7co4 Dlgs n. 546/1992 nel processo tributario.
Con il secondo motivo la Agenzia fiscale deduce il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 co 1 n. 5 c.p.c.. Afferma la parte ricorrente che la CTR non aveva considerato che nell’avviso di rettifica era data ampia descrizione dei rapporti tra M. s.p.a. e P. s.r.1., emergendo dal PVC in data 22.10.2002 che i soci di quest’ultima, Cristofari e Focarelli, nel corso degli interrogatori resi nel procedimento penale, avevano dichiarato di aver concordato con la prima la artificiosa costituzione di alcune società con sede nel Regno di Spagna (3E Impresa Elettronica Spagnola si; Centrotel Elecin si.) attraverso le quali venivano effettuate triangolazioni fittizie di cessioni di merci tra M. s.p.a. e P. simulando operazioni intracomunitarie non imponibili, ai sensi dell’art. 41 DL n. 331/93 conv. in legge n. 427/1993, tra M. s.p.a. e le società spagnole, atteso che la merce non usciva dal territorio nazionale: tale circostanza risultava confermata, nel procedimento penale, dai titolari delle ditte (F.11i Siro; Maurizio Perugini) che si occupavano dei trasporti, i quali avevano riferito di non aver eseguito alcuna consegna di merce alla società spagnola 3 E si.; analoga dichiarazione aveva rilasciato, in sede di interrogatorio, il predetto Focarelli in ordine ai trasporti della merce da M. s.p.a. alle società iberiche Centrotel s.l. e Cervantes si_ Anche le operazioni tra M. s.p.a. e l’acquirente britannica ASIA Computer Ltd dovevano ritenersi inesistenti, in quanto le autorità fiscale inglesi avevmccertato la inesistenza del soggetto societario acquirente.
Il secondo motivo è inammissibile non avendo assolto la parte ricorrente all’onere, imposto a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c. (norma applicabile ratione temporis), della “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione”: tale adempimento integra un “quid pluris” rispetto alla illustrazione del motivo, così da consentire al giudice di valutare immediatamente la ammissibilità del ricorso stesso, e dunque non si identifica con il requisito di specificità del motivo ex art. 366 comma 1, n. 4) cod. proc. civ., ma assume l’autonoma funzione volta alla immediata rilevabilità del nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza logica denunciata ed il fatto ritenuto determinante, ove correttamente valutato, ai fini della decisione favorevole al ricorrente (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 20603 del 01/10/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 11019 del 19/05/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 5858 del 08/03/2013).
La prima censura è, invece, fondata, essendo del tutto errato il riferimento della Commissione tributaria all’art. 111, comma 4, Cost. che afferma il principio della formazione della prova in contraddittorio tra le parti nel processo penale. La giurisprudenza costituzionale è costante, infatti, nell’affermare che la disciplina degli istituti processuali rientra nella discrezionalità del legislatore (ex multis, Corte cost., ordinanza n. 101 del 2006; sentenze n. 221 del 2008; n. 237 del 2007; n. 304/2011) che in tale attività è tenuto soltanto a rispettare il principio di effettività della tutela giurisdizionale che rappresenta un connotato ineludibile di ogni modello processuale. Con riferimento alla disciplina del processo tributario, il Giudice delle Leggi è intervenuto specificamente sul punto, affermando che l’esclusione della prova testimoniale nel processo tributario non costituisce, di per sè, violazione del diritto di difesa, potendo quest’ultimo, ai fini della formazione del convincimento del giudice, essere diversamente regolato dal legislatore, nella sua discrezionalità, in funzione delle peculiari caratteristiche dei singoli procedimenti (cfr. Corte cost., sentenze n. 128 del 1972 e n. 18/2000; ordinanze n. 6 del 1991, n. 76 del 1989 e n. 506 del 1987). La limitazione probatoria stabilita dall’art. 7, comma 4, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, non comporta pertanto, diversamente da quanto ritenuto dalla CTR, l’inutilizzabilità, in sede processuale, delle dichiarazioni di terzi eventualmente raccolte dall’Amministrazione finanziaria nel corso della verifica fiscale, atteso che le stesse “sono essenzialmente diverse dalla prova testimoniale, che é necessariamente orale e di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio”, venendo ad assumere tali dichiarazioni, nel processo tributario, il valore proprio degli elementi indiziari, “i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione. Si tratta, dunque, di un’efficacia ben diversa da quella che deve riconoscersi alla prova testimoniale e tale rilievo é sufficiente ad escludere che l’ammissione di un mezzo di prova (le dichiarazioni di terzi) e l’esclusione dell’altro (la prova testimoniale) possa comportare la violazione del principio di “parità delle armi”….” (cfr. Corte cost., sentenza 21.1.2000 n. 18).
In conseguenza la sentenza di appello che ha espunto dal rilevante probatorio le dichiarazioni rese dai terzi ai verbalizzanti sull’errato presupposto che trattasi di dichiarazioni testimoniali” non consentite nel processo tributario, deve essere cassata con rinvio della causa al Giudice di secondo grado affinchè proceda a nuovo esame comparativo di tutti gli elementi indiziari acquisiti al giudizio. Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato, la società deduce il vizio di violazione dell’art.42co2 e 3 del Dpr n. 600/73, dell’art. 7 legge n. 212/2000 e dell’art. 1 Dlgs n. 32/2001, in relazione all’art. 360 coln. 3 c.p.c., impugnando la statuizione della sentenza di appello che ha rigettato la eccezione di nullità dell’avviso opposto per mancata allegazione di documenti richiamati dal PVC in data 22.10.2002. Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi.
Il Giudice di apello, infatti, non ha -erroneamente- affermato che l’avviso di accertamento era legittimo anche se motivato per relationem (doppia relatio) ad atti e documenti richiamati dal PVC ma non allegati ad esso ed all’atto impositivo, ma ha piuttosto affermato che tale allegazione si rendeva superflua, ai sensi dell’art. 42 co 2 Dpr n. 600/73, in quanto tali atti e documenti erano già conosciuti dalla società, in quanto acquisiti al procedimento penale di cui era stato partre, in qualità di indagato, il rappresentante legale della stessa e, comunque, in quanto la società aveva dimostrato di avere pienacontezza del contenuto degli stessi avendo svolto una compiuta difesa “in ordine agli elementi di accusa evidenziati dall’Ufficio” (cfr. motivazione sentebnza CTR).
In conclusione il ricorso principale deve essere accolto, quanto al primo motivo, inammissibile il secondo motivo; il ricorso incidentale condizionato va dichiarato inammissibile; la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Lazio per nuovo esame e per la liquidazione, all’esito, anche delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte- accoglie il ricorso, quanto al primo motivo, inammissibile il secondo motivo; dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Lazio per nuovo esame e per la liquidazione, all’esito, anche delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio 23.3 .2015
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