CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 26110 depositata il 30 dicembre 2015
Svolgimento del processo
Nei confronti di G. S. s.r.l., esercente attività di trasporto merci, veniva emesso avviso di accertamento avente ad oggetto il recupero della maggiore IVA, IRPEG ed IRAP dovuta dalla società per l’anno 2003 in relazione a quote di ammortamento e costi ritenuti indeducibili in quanto non inerenti (difettando la prova che gli autoveicoli fossero stati utilizzati in via esclusiva dalla contribuente ovvero dalle altre società con questa collegate), od in quanto non di competenza. L’atto impositivo veniva annullato dalla CTP di Bari, limitatamente alla indeducibilità dei costi per carburante, con decisione confermata in grado di appello dalla Commissione tributaria della regione Puglia con sentenza 12.3.2009 n. 31.
I Giudici di appello ritenevano idoneamente provata dalla società la congruità dei consumi e la correlazione tra i costi sostenuti per ciascun automezzo ed i ricavi conseguiti da ciascuna commessa, circostanza che induceva a ritenere che i mezzi fossero stati utilizzati in via esclusiva dalla contribuente, tenuto conto che la compilazione delle “schede carburanti”, istituite dal Dpr n. 444/1977, era stata resa facoltativa dal DL n. 457/19970 e pertanto la società, che non aveva tenuto una specifica contabilità a mezzo di dette schede carburanti, si era comunque attenuta alla richiamata disciplina normativa.
La sentenza di appello è stata ritualmente impugnata per cassazione dalla Agenzia delle Entrate che ha dedotto con tre motivi, vizio di errores in judicando e vizio logico di motivazione.
Ha resistito con controricorso la società
Motivi della decisione
Con il primo motivo la Agenzia fiscale deduce il vizio di violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360co l n. 3 c.p.c. in quanto:
A- la CTR non ha considerato che l’Ufficio aveva contestato la congruenza delle circostanze addotte dalla contribuente escludendo attendibilità al “valore di incidenza” tra consumi carburante ed impiego dei mezzi, indicato nel prospetto contabile -prodotto dalla parte-, del quale neppure era stata indicata quale fosse la fonte: i Giudici di appello, affermando che tale contestazione era generica in quanto non indicava quale altra percentuale di “incidenza”, desunta da statistiche del settore, dovesse attribuirsi tra i due termini indicati, avrebbero addossato all’Ufficio un onere probatorio che non gli competeva
B- la CTR ha inesattamente riconosciuto efficacia di prova ad un mero “prospetto contabile” redatto dalla stessa parte soltanto in seguito alla verifica fiscale, con ciò violando i principi fondamentali della prova
Il motivo è inammissibile , in relazione ad entrambe le censure, non cogliendo la “ratio decidendi”.
La CTR non ha affatto deviato dalla corretta applicazione del riparto dell’onere probatorio, come sembrerebbe ipotizzare l’Agenzia fiscale estrapolando una proposizione della motivazione dall’intero contesto concernente l’esame e la decisione dei Giudici di appello sul primo motivo di gravame dell’Ufficio appellante, ma ha piuttosto valutato nel merito le risultanze istruttorie, ritenendo che la documentazione prodotta dalla società dimostrasse “l’esclusivo utilizzzo degli automezzi per l’attività aziendale” (cfr. sentenza cm, motiv. pag. 7) e che la critica formulata dall’Ufficio in ordine alla mancata prova della inerenza dei costi per carburante in considerazione della promiscuità d’uso dei veicoli, fosse stata efficacemente contrastata dalla prova documentale offerta dalla contribuente.
Quanto all’altra censura del primo motivo, sub lett. B, la stessa si risolve nella denuncia di un “error facti” ex art. 360 co 1 n. 5 c.p.c. (in tale categoria di vizio di legittimità ricade infatti la denuncia della illogica inferenza probatoria, o della inesatta rilevazione dei fatti rappresentati nel documento prodotto in giudizio, non essendo in questione la violazione di una norma che ponga divieti alla acquisizione di documenti o perizie provenienti dalla stessa parte in causa), con la conseguente inammissibilità ex art. 366 co 1 n. 4 c.p.c. del motivo con il quale viene, invece, dedotto il diverso vizio di legittimità ex art. 360 co 1 n. 3 c.p.c., relativo ad attività di giudizio, in punto di violazione della regola del riparto probatorio ex art. 2697 c.c..
Anche il secondo motivo, con il quale si deduce la violazione dell’art. 75 TUIR , in relazione all’art. 360 co 1 n. 3 c.p.c. è inammissibile.
L’Agenzia si duole che la CTR , valorizzando quale prova la perizia contabile ed il prospetto depositati in giudizio dalla società contribuente, non si era avveduta che da tali documenti emergeva, al più, la correlazione tra consumi e percorrenza chilometrica dei singoli mezzi, rimanendo in ogni caso sfornita di prova la “inerenza” di tali costi all’attività d’impresa della società contribuente, non essendo stato dimostrato dalla contribuente che gli autoveicoli fossero stati utilizzati, nel periodo d’imposta verificato, esclusivamente da G. S. s.r.l. e non anche dalle altre società collegate. Risulta “ictu oculi” che la critica formulata alla sentenza di appello investe, anche in questo caso, la inesatta ricostruzione della fattispecie concreta alla stregua delle risultanze istruttorie, e dunque un errore di fatto che doveva essere censurato attraverso il vizio di illogica motivazione ex art. 360 co 1 n. 5 c.p.c.. La CTR, infatti, non ha affermato -contra legem- che l’uso promiscuo o diffuso di # bent strumentali da parte di più utilizzatori consentiva la integrale deduzione di tutti i relativi costi dal reddito della società contribuente (errore nella attività di interpretazione degli elementi costitutivi della fattispecie normativa astratta dell’art. 75 TUIR, testo vigente ratione temporis), e neppure ha ritenuto applicabile la disciplina dei costi deducibili di cui all’art. 75 TUIR (secondo cui il costo è deducibile solo se ne è dimostrata la inerenza alla attività economica del contribuente) ad una fattispecie concreta contraddistinta da un indifferenziato uso promiscuo o diffuso degli autoveicoli tra le diverse società, come tale ,, non sussumibile” nell’ambito di applicazione della norma tributaria, ma ha invece rilevato che la fattispecie concreta -come emergente dalle risultanze processuali integrasse il requisito della “inerenza” -alla attività d’impresa svolta dalla società contribuente- dei costi sostenuti per gli autoveicoli, e dunque ha accertato in fatto la ricorrenza del presupposto richiesto dall’art. 75 TUIR per la deduzione dei componenti negativi dal reddito d’impresa della società contribuente.
Orbene la omessa od errata valutazione dei fatti probatori acquisiti al giudizio comporta un difetto nella ricostruzione della fattispecie concreta dedotta in giudizio e dunque un “errore di fatto” incompatibile con il vizio di violazione di norme di diritto denunciato dalla ricorrente che comporta, invece, un “errore di diritto” nell’attività di giudizio, in quanto si traduce nella inesatta o errata individuazione od interpretazione della norma (o della fattispecie astratta in essa considerata) che deve essere applicata al rapporto come esattamene cognito nei suoi elementi fattuali, ovvero in un errore di sussunzione (che si verifica quando i fatti come oggettivamente rilevati non appaiono riconducibili alla fattispecie astratta contemplata dalla norma, ovvero pur essendo a quella riconducibili vengono tuttavia regolati dal Giudice sulla base di effetti giuridici diversi da quelli considerati dalla norma applicata).
Tale censura avrebbe dovuto, pertanto, essere fatta valere attraverso la denuncia del vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360co1 n. 5 c.p.c.) e non attraverso il vizio di violazione di norma di diritto sostanziale. La ontologica incompatibilità tra i due vizi di legittimità è stata ripetutamente affermata da questa Corte in considerazione del diverso oggetto della attività del Giudice cui si riferisce la critica: attività interpretativa della fattispecie normativa astratta che va distinta dalla attività valutativa della fattispecie concreta emergente dalle risultanze probatorie (cfr. Corte cass. I sez. 11.8.2004 n. 15499; id. sez. lav. 16.7.2010 n. 16698 “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della nonna di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa”; vedi Corte cass. sez. 29.4.2002 n. 6224, id. III sez. 18.5.2005 n. 10385, id. V sez. 21.4.2011 n. 9185 sulla inammissibilità del ricorso con cui si denuncia violazione di norma di diritto deducendo nella esposizione del motivo argomenti a fondamento del vizio motivazionale della sentenza; id. III sez. 7.5.2007 n. 10295 sulla antinomia tra “error in judicando” e vizio di motivazione).
Il terzo motivo con il quale si deduce il vizio di omessa od insufficiente motivazione ex art. 360co 1 n. 5 c.p.c., è anch’esso inammissibile.
La CTR ha affermato che i documenti prodotti dalla parte (perizia tecnica; prospetto analitico) attestavano “la congruità del consumo di carburante rispetto al reddito dichiarato, alla correlazione tra chilometri percorsi, litri di carburante utilizzato, relativo costo sostenuto per ciascun automezzo e ricavi generati per ciascuna commessa” e che tali elementi miravano “a dimostrare l’esclusivo utilizzo dei mezzi di autotrasporto ai fini della produzione del reddito d’impresa”; inoltre la mancata esibizione delle “schede carburanti” era conforme alla normativa vigente che aveva reso facoltativo tale adempimento per i contribuenti che potevano utilizzare anche altri sistemi di rilevazione (cfr. sentenza CTR, motiv. pag. 7).
La Agenzia fiscale contesta tale statuizione, ritenendola illogica, in quanto dai documenti indicati non poteva desumersi la riferibilità dei costi sostenuti per carburante ad automezzi di proprietà od utilizzati esclusivamente nell’attività economica della società contribuente, e cioè il requisito della “inerenza” dei costi alla impresa quale presupposto necessario ai fini della deducibilità di tali componenti negativi dal reddito imponibile, avendo contestato nei precedenti gradi di merito l’Ufficio finanziario (richiamando le risultanze del PVC notificato alla società in data 24.3.2006) che la “perizia tecnica” ed il “prospetto analitico” prodotti dalla parte attestavano soltanto che il carburante utilizzato era proporzionato alla percorrenza di ciscun mezzo; che la società non aveva tenuto scritture ausiliarie ex art. 2214co2c.c. dalle quali emergessero i dati degli automezzi in proprietà od utilizzati in via esclusiva dalla stessa; che, avendo optato la società per il sistema “netting” (che prevedeva l’uso di speciali carte di credito) sostitutivo della compilazione delle “schede carburante” prevista dal Dpr n. 444/1977, le fatture emesse direttamente dalla società petrolifera -in luogo del gestore dell’impianto di rifornimento- non riportavano i dati necessari alla identificazione dei veicoli riforniti, nè era stata fornita altra documentazione commerciale o fiscale idonea a dimostrare l’uso esclusivo degli automezzi da parte della G. S. s.r.1..
Ne segue che il motivo di ricorso della Agenzia fiscale, in quanto volto a confutare le risultanze della stessa documentazione ritenuta invece attendibile e specifica dalla CTR, per assolvere al requisito di autosufficienza ex art. 366co 1 n. 6 c.p.c., avrebbe dovuto riportare la trascrizione del contenuto o delle parti essenziali della perizia tecnica e del prospetto analitico, onde consentire alla Corte -che in considerazione del vizio di legittimità denunciato non ha accesso diretto agli atti e documenti del fascicolo di merito; di verificare la fondatezza della critica concernente la incongruità della inferenza probatoria posta a fondamento delle decisione impugnata.
Tanto nel caso di deduzione del vizio di irrituale od omessa ammissione di prove ovvero di omessa od inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, quanto nel caso in cui si intenda far valere un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, la parte ricorrente è, infatti, onerata non soltanto alla specifica indicazione della prova o del documento (eventualmente mediante individuazione della sede processuale in cui la prova è stata richiesta o prodotta: Corte cass. sez. lav. 7.2.2011 n. 2966; id. I sez. 13.11.2009 n. 24178; id. III sez. ord. 4.9.2008 n. 22303; id. III sez. 25.5.2007 n. 12239) trascurato od inesattamente considerato dal giudice di merito, nonchè alla chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto (cfr. Corte cass. I sez. 17.5.2006 n. 11501), ma deve provvedere altresì alla completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti/documenti in modo 444~ da rendere alla Corte -alla quale non è consentito, in relazione alle indicate censure, l’accesso diretto agli atti e documenti del giudizio di merito- immediatamente apprezzabile il vizio dedotto (cfr. Corte cass. SU 24.9.2010 n. 20159; id. VI sez. ord. 30.7.2010 n. 17915; id. III sez. 4.9.2008 n. 22303; id. III sez. 31.5.2006 n. 12984; id. I sez. 24.3.2006 n. 6679; id. sez. lav. 21.10.2003 n. 15751; id. sez. lav. 12.6.2002 n. 8388).
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, e la parte ricorrente condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte : – dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia fiscale alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 15.000,00 per compensi, € 200,00 per esborsi, oltre gliaccessori di legge. Così deciso nella camera di consiglio 10.12.2015
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