CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 26114 depositata il 30 dicembre 2015
Svolgimento del processo
Nei confronti di M. M. R., quale titolare della ditta individuale “M. S. – Calzature tempo libero di M. M. R., venne emesso avviso di accertamento ai sensi degli artt. 39, comma 2, lett. d) e 40 d.p.r. n. 600/1973, 55 d.p.r. n. 633/1972, in rettifica del reddito ai fini IRPERF, IRAP e IVA per l’anno 1999, con cui si recuperavano a tassazione maggiori ricavi non dichiarati. La CTP accolse il ricorso proposto dalla contribuente. L’appello dell’Ufficio fu disatteso dalla Commissione Tributaria Regionale della Liguria sulla base della seguente motivazione.
“Appare certo dalle risultanze di causa che gli agenti accertatori hanno preso in esame un numero molto limitato di articoli merceologici rispetto al numero totale degli articoli trattati e che quindi la rappresentatività di quelli sia solo affermata dall’Amministrazione ma non dimostrata: pertanto anche i calcoli effettuati per determinare la percentuale di ricarico da applicare al costo delle merci non appare attendibile e tale da giustificare l’accertamento”. Quanto all’argomento dell’antieconomicità della condotta della contribuente, secondo cui “per la serie di anni sottoposti ad accertamento (di cui fa parte l’anno 2000 oggetto del presente giudizio) il costo degli acquisti supera i ricavi”, trattasi di “affermazione non dimostrata per quanto riguarda il caso concreto in esame: infatti i risultati negativi dell’attività potrebbero essere soltanto il risultato di una incapacità gestionale”.
Ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso la contribuente.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si denuncia insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. Espone la ricorrente di avere dedotto nell’atto di appello quanto segue: nel p.v.c. è stato individuato un variegato campione della merce acquistata e venduta nell’anno 2004, comprendente, ricorrendo gli stessi fornitori e la medesima tipologia di prodotti venduti, tutto il periodo 1999- 2004, e sono state considerate percentuali di ricarico molto diversificate fra loro, desumendo il costo dei singoli articoli principalmente dalle fatture passive e ove mancanti dagli articoli similari; sono stati sommati tutti i prodotti ottenuti moltiplicando il ricarico per l’incidenza di ogni articolo selezionato e dividendo il risultato per cento, sicché il ricarico medio ponderato è risultato pari a 95,5%, ritenuto riferibile anche all’anno 1999 stante la sostanziale omogeneità dei prodotti venduti e dei fornitori. Osserva quindi la ricorrente che, a fronte di quanto dedotto nell’atto di appello in ordine alla rilevanza dell’aspetto qualitativo del campione di merci analizzato, la CTR si è limitata a sottolineare il dato quantitativo del numero limitato di articoli merceologici esaminati rispetto al numero totale degli articoli trattati, senza indicare le ragioni per le quali il mero dato quantitativo fosse idoneo ad escludere la rappresentatività delle merci. Aggiunge che non risulta specificato l’elemento delle “risultanze di causa” né la valutazione effettuata dei mezzi di prova, anche sotto il profilo qualitativo.
Il motivo è inammissibile. Ha affermato la CTR che “gli agenti accertatori hanno preso in esame un numero molto limitato di articoli merceologici rispetto al numero totale degli articoli trattati”. La menzione dell’articolo merceologico è chiaramente di natura qualitativa in quanto riconducibile al tipo di articolo e non alla generica quantità di merce esaminata. La censura è incentrata invece su una ricostruzione della motivazione come basata sulla sottolineatura del deficit di rappresentatività del campione in quanto riferito al solo elemento quantitativo (numero delle merci esaminate) senza alcun riferimento a quello qualitativo (tipologia di articolo). In tal modo però la censura resta estranea alla ratio decidendi, che di contro considera sì la scarsità ma non in termini puramente quantitativi, ma come insufficiente varietà dei tipi di articoli esaminati, e dunque come insufficienza riconducibile in un’ultima analisi al dato qualitativo. Non intercettando la ratio decidendi, la censura è inidonea ai fini dello svolgimento di una critica della motivazione sul piano della sua esaustività logica.
Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 39, comma 2, d.p.r. n. 600/1973, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. Espone la ricorrente di avere nell’atto di appello evidenziato che, data la totale inattendibilità della contabilità tenuta dalla contribuente, si era proceduto alla ricostruzione induttiva del reddito e che era emerso un costante comportamento antieconomico, avendo i costi per l’acquisto di merci sempre superato i relativi ricavi. Osserva la ricorrente che non era onere dell’Agenzia dimostrare che la prevalenza dei costi rispetto ai ricavi non dipendesse da incapacità gestionale dell’impresa, ma era onere della contribuente, a fronte di un accertamento induttivo compiuto per l’inattendibilità delle scritture contabili, provare che la prolungata prevalenza dei costi sui ricavi non costituisse comportamento antieconomico.
Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo. In primo luogo trattasi di censura priva di decisività in quanto resta non rimossa l’autonoma ratio decidendi costituita dalla rilevata non attendibilità della percentuale di ricarico. In secondo luogo non viene colta la ratio decidendi della statuizione impugnata. In base a tale ratio decidendi non si addossa all’Ufficio l’onere di dimostrare che non vi fosse incapacità gestionale, ma si afferma solo che non è provata la circostanza dell’antieconomicità, potendo la prevalenza dei costi sui ricavi essere riconducibili ad una incapacità gestionale. Si è così fatto valere sul piano del merito un fatto impeditivo della dedotta antieconomicità (fatto impeditivo che sul piano del riparto degli oneri probatori grava sul contribuente – Cass. 1 luglio 2015, n. 13468), senza imputazione del fatto alla fattispecie costitutiva ricadente nell’onere probatorio dell’Agenzia delle Entrate.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali che liquida in euro 707,50 per compenso, oltre per esborsi euro 200,00 e gli oneri di legge. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il giorno 10 dicembre 2015 Il consigliere.
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