CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 26117 depositata il 30 dicembre 2015
Svolgimento del processo
A seguito di notifica di questionario, e successiva richiesta di documentazione, venne emesso nei confronti di P. C. I. T. s.r.l. avviso di accertamento con il quale si attribuiva alla società un maggior reddito di euro 626.923,00 ai fini di IRES, IRAP ed IVA. Il ricorso della contribuente venne accolto dalla CTP, motivando nel senso della violazione del principio del contraddittorio e del mancato chiarimento da parte dell’Ufficio circa l’iter utilizzato nella propria attività accertatrice, nonché per non avere il medesimo Ufficio “assolto l’onere probatorio in ordine alla legittimità delle sue pretese creditorie”. L’appello dell’Ufficio venne accolto dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia sulla base della seguente motivazione per quanto qui rileva.
Va disattesa, secondo la CTR, l’eccezione proposta dalla contribuente di decadenza dalle domande non riproposte, secondo la quale l’Amministrazione finanziaria non avrebbe riproposto la domanda relativa all’omessa dichiarazione di maggiori ricavi per l’anno 2005, perché l’art. 56 d. leg. n. 546/1992 fa riferimento all’appellato, e non all’appellante, e riguarda le domande o eccezioni su cui il giudice non abbia espressamente pronunciato. Aggiunge la CTR che era onere della contribuente riproporre in secondo grado le domande non esaminate dalla CTP e che, essendo l’Amministrazione finanziaria rimasta soccombente per un profilo preliminare di legittimità formale dell’atto, il fatto che l’appello avesse per oggetto solo tale statuizione non implicava rinuncia a far valere la pretesa tributaria. Nel merito dell’appello, osserva la CTR non essendosi verificati accessi o ispezioni nei locali della contribuente, non operano le garanzie previste dall’art. 12 I. n. 212/2000, ed in particolare la disposizione che prevede l’emanazione dell’avviso di accertamento dopo la scadenza del termine di sessanta giorni dal rilascio di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni.
Ha proposto ricorso per cassazione la contribuente sulla base di due motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 56 d. leg. n. 546/1992 e dell’art. 346 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. Espone la ricorrente che la CTR, nel rigettare l’eccezione di rinuncia da parte dell’appellante alla domanda afferente l’omessa dichiarazione di ricavi non accolta dal primo giudice, ha affermato che era onere della contribuente riproporre la domanda. Osserva che, contrariamente a quanto affermato dalla CTR, le domande proposte dalla contribuente erano state esaminate in senso favorevole dalla CTP (nella sentenza di primo grado, oltre il mancato rispetto da parte dell’Ufficio del principio del contraddittorio, era stato rilevato il mancato assolvimento dell’onere probatorio in ordine alla legittimità delle pretese probatorie) e che comunque, anche ipotizzando il mancato esame del merito in primo grado, non vi è stata da parte della contribuente mancata riproposizione delle domande avendo la stessa in sede di gravame fatto rinvio a “tutte le precedenti domande, difese ed eccezioni e osservazioni, da intendersi appunto qui trascritte e integralmente richiamate”, come risultante testualmente dalle controdeduzioni in appello.
Il motivo è inammissibile. La ratio decidendi del mancato accoglimento della eccezione di decadenza dalle domande non riproposte è che l’art. 56 riguarda la parte appellata e non l’appellante. Con ulteriore argomento la CTR afferma che era pertanto onere della contribuente riproporre la domanda non accolta. La censura si sofferma su quest’ultimo argomento, sottolineando che la parte appellata era stata completamente vittoriosa anche nel merito e che, comunque, anche ipotizzando l’assorbimento della pronuncia sul merito, le originarie domande erano state riproposte. In tale modo però la censura intercetta l’ulteriore argomento della CTR, ma non la ratio decidendi del mancato accoglimento dell’eccezione per l’inapplicabilità alla parte appellante dell’art. 56. La critica della ricorrente lascia ferma la statuizione di rigetto dell’eccezione per la non riferibilità dell’onere di riproposizione di domande o eccezioni non esaminate alla parte appellante. Riconosciuto infatti che tale onere non incombeva sulla parte appellata, o perché il giudice si era pronunciato su tutta la domanda o perché comunque l’onere era stato assolto,resta ferma la pronuncia di rigetto dell’eccezione per l’estraneità della previsione di cui all’art. 56 alla posizione processuale dell’appellante. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 12 I. n. 212/2000 ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva la ricorrente che l’applicabilità della norma citata, e quindi del termine di dilazione di sessanta giorni, non è limitata ai soli casi di verifica presso il contribuente, ma riguarda ogni caso di reperimento di documenti fiscali.
Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile. Sulla questione oggetto della censura sono intervenute con pronuncia assai recente le sezioni unite di questa Corte (Cass. 9 dicembre 2015, n. 24823), le quali hanno affermato i seguenti principi di diritto. Le garanzie fissate dall’art. 12, comma 7, l. n. 212/2000 trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente. Manca una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale in campo tributario che possa essere riferita a norme ordinarie dell’ordinamento nazionale diverse da quella di cui al citato art. 12. Nel campo degli accertamenti relativi a tributi “armonizzati” deve tuttavia essere riconosciuta l’applicazione della regola del diritto euro-unitario, a tutela di un diritto fondamentale sancito ora dall’ art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, secondo cui deve essere rispettato il contraddittorio ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, sicché il destinatario di provvedimento teso ad incidere sensibilmente sui suoi interessi deve, pena la caducazione del provvedimento medesimo, essere messo preventivamente in condizione di manifestare utilmente il suo punto di vista in ordine agli elementi sui quali l’Amministrazione intende fondare la propria decisione. Il diritto fondamentale in questione trova limite in restrizioni che rispondano, con criterio di effettività e proporzionalità, ad obiettivi di interesse generale. In particolare, come affermato da tempo dalla giurisprudenza euro-unitaria (Corte giust. 3 luglio 2014, causa C-129 e C-130/13, e altra giurisprudenza risalente citata al punto 79), l’atto lesivo può essere annullato soltanto se, in mancanza dell’irregolarità relativa al contraddittorio, il procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso. Sussiste pertanto in giudizio l’onere del contribuente di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato. L’opposizione di tali ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio) deve essere non puramente pretestuosa e deve configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale per il quale è stato predisposto.
L’accertamento in questione riguarda per una parte tributi “non armonizzati” (IRES e IRAP), per l’altra tributi “armonizzati” (IVA). Con riferimento ai tributi “non armonizzati” il motivo è infondato perché, come si è detto, le garanzie fissate dall’art. 12, comma 7, I. n. 212/2000 trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente. Per quanto riguarda i tributi “armonizzati” il motivo è inammissibile. La ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, non ha dedotto se ed in quale precedente sede processuale abbia specificatamente indicato le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato. Il carattere assai recente della pronuncia delle sezioni unite sulla questione di cui al secondo motivo costituisce giusto motivo di compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta parzialmente il secondo motivo e dichiara per il resto inammissibile il ricorso; dispone la compensazione delle spese processuali; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.p.r n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il giorno 10 dicembre 2015
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