CORTE CASSAZIONE sentenza n. 27513 del 31 dicembre 2014
Ritenuto in fatto
B. G. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana n. 22/25/2009, depositata in data 5/03/2009, con la quale, in una controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento relativo al recupero di redditi soggetti a tassazione separata, prodotti nel 1998 (una plusvalenza derivante dalla vendita di un immobile), è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso della contribuente.
In particolare, i giudici d’appello, nel respingere l’impugnazione della B., hanno sostenuto che, non essendosi la contribuente avvalsa della possibilità di definire il proprio debito con la presentazione della dichiarazione integrativa prescritta dall’art.8 1.289/2002, operava la proroga biennale dei termini per l’accertamento disposta dall’art.10 1.289/2002, con conseguente piena legittimità dell’atto impositivo, notificato nell’aprile 2004.
Considerato in diritto
La ricorrente lamenta, con il primo motivo, ex art.360 n. 5 c.p.c., l’omessa e insufficiente motivazione circa un fatto decisivo e controverso, relativo alla ritenuta assoggettabilità dell’accertamento di redditi soggetti tassazione separata alla proroga biennale dei termini, prevista dall’art.10 1. 289/2002, nell’ipotesi di un contribuente che abbia comunque presentato la dichiarazione integrativa ai sensi dell’art.9 1.289/2002 (a definizione di tutte le annualità, dal 1997 al 2001). La stessa ricorrente invoca poi, con il secondo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., degli artt.9 e 10 1.289/2002 e43 DPR 600/1973, avendo i giudici di merito ritenuto non maturata la decadenza dell’Ufficio, ai sensi dell’art.43 DPR 600/1973 ed erroneamente operante la proroga fissata dall’art.10 1.289/2002, malgrado la presentazione da parte del contribuente di dichiarazione integrativa ai sensi dell’art.9 stessa legge. Il primo motivo è inammissibile, atteso che non si censura un vizio motivazionale della sentenza, quanto la sua motivazione in diritto, per avere ritenuto operante la proroga biennale per l’accertamento di cui all’art.10 1.289/2002, malgrado la contribuente avesse presentato dichiarazione integrativa, sia pure ai fini della definizione agevolata di cui all’art.9 1.289/2002 e non ai sensi dell’art.8 stessa legge. La seconda censura è infondata. Invero, per i contribuenti che “non si avvalgano delle disposizioni recate dagli articoli da 7 a 9” della legge 27 dicembre 2002, n. 289, l’art. 10 prevede che i termini per l’accertamento, fissati agli uffici finanziari dall’art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in deroga alle disposizioni dell’art. 3, coma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212, sono prorogati di due anni. Questa Corte ha, in proposito, chiarito come tale proroga biennale “operi, in assenza di deroghe contenute nella legge, sia nel caso in cui il contribuente non abbia inteso avvalersi delle disposizioni di favore di cui alla suddetta legge, pur avendovi astrattamente diritto, sia nel caso in cui non abbia potuto farlo, perché raggiunto da un avviso di accertamento notificatogli prima dell’entrata in vigore della legge” (Cass. n.17395 del 2010). Nella specie, con riguardo ai redditi soggetti a tassazione separata, del cui accertamento si controverte ed il cui avviso è stato impugnato, la contribuente non si era avvalsa della definizione prevista dall’art.8 legge n. 289 del 2002 (cui pure aveva aderito, con riguardo ad altre specie di redditi, ai sensi dell’art. 9 della stessa legge), recante una normativa riservata ai redditi soggetti a tassazione separata, cosicché la proroga biennale doveva ritenersi operante (cfr. Cass.19725/2013). Questa Corte ha di recente ribadito che “in tema di condono fiscale, l’esclusione dei redditi a tassazione separata dalla definizione automatica, ex art. 9 della legge 27 dicembre 2012, n. 289, consente all’Amministrazione finanziaria di procedere ad attività di accertamento sugli stessi, beneficiando della proroga dei termini di cui al successivo art. 10, senza che operi la preclusione prevista dal comma 10 dello stesso art. 9” (Cass.21190/2014). Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto. Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 2.500,00, a titolo di compensi, oltre rimborso forfettario spese generali nella misura del 15% ed eventuali spese prenotate a debito.
Deciso in Roma, il 18/11/2014.
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