CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 27930 depositata il 23 novembre 2017
Svolgimento del processo
La corte d’appello di Venezia ha parzialmente confermato la sentenza del tribunale di Venezia che aveva accolto il ricorso di CG diretto ad ottenere la condanna della società RF, odierna ricorrente, alla reimmissione nelle mansioni adeguate al livello riconosciutole ed al risarcimento del danno, patrimoniale e biologico, subito per effetto del demansionamento .
La Corte ha respinto i motivi di appello della società , sia con riferimento alla lamentata indeterminatezza della domanda di primo grado della lavoratrice in relazione al periodo preso in considerazione per l’accertamento del danno patrimoniale riconosciuto, sia con riferimento alla sussistenza di tale dequalificazione, che ha ritenuto essere consistita in un primo periodo nell’attribuzione di un ridotto impegno lavorativo presso l’ufficio amministrativo, con affidamento di pochissime pratiche di solleciti, sia in un demansionamento qualitativo, consistiti solo in un mero inserimento di dati al computer ( nominativi ed indirizzi) verificatosi in un secondo tempo , dopo l’attribuzione del superiore IV livello , riconosciuto secondo i giudici di merito per “parare “la pretesa di mobbing.
Ha escluso la Corte il danno non patrimoniale.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso la società RF affidato a tre motivi.
E’ rimasta intimata CG.
Motivi della decisione
Con un primo motivo di ricorso la società lamenta, ai sensi dell’art.360 c.1 n.5 c.p.c., un insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, ossia l’asserito demansionamento.
Secondo la ricorrente la corte territoriale avrebbe errato nell’affermare che non doveva essere effettuata alcuna comparazione con le mansioni svolte in precedenza presso la sede di Messina , prima del trasferimento a Venezia , disposto a seguito dell’ordine di reintegrazione della sentenza che aveva dichiarato l’illegittimità del suo licenziamento.
Tale comparazione secondo la società ricorrente avrebbe dovuto effettuarsi per accertare l’equivalenza delle mansioni assegnate a Venezia con quelle precedentemente svolte.
Inoltre avrebbe errato la corte di merito omettendo di valutare un elemento determinante, ossia l’imputabilità del demansionamento alla società, non potendosi addebitare alla stessa l’ adibizione a poche attività, ove non si dimostri una responsabilità in tale condotta.
Secondo la ricorrente doveva escludersi ogni responsabilità da inadempimento atteso che la CG era stata trasferita in ragione della reintegrazione, che aveva costretto la società al trasferirla e quindi ad una ricollocazione “obbligata” con inserimento in una sede di lavoro in cui di fatto non vi erano mansioni disponibili, in quanto tutto il lavoro era svolto dall’organico già completo.
Con un secondo motivo la ricorrente lamenta sempre la violazione dell’art.360 c.1 n.5 c.p.c. , per omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo, che individua nell’esistenza di un danno risarcibile in assenza di una specifica allegazione, come statuito dalla sentenza a SSUU di questa Corte n. 6572/2006.
Con il terzo motivo di ricorso poi la ricorrente società lamenta la violazione degli art.2013 e 1226 c.c., in relazione all’art.360 c.1.n.3 c.p.c. per avere la corte territoriale effettuato un’errata quantificazione del danno risarcibile, in particolare con riferimento al secondo periodo successivo al 31.10.2002 e fino al successivo licenziamento, in cui la CG era inquadrata nella qualifica superiore, quantificando tale danno nella misura del 40% della retribuzione mensile lorda percepita.
Il primo motivo è infondato.
Va premesso che l’obbligo di adibizione del lavoratore a mansioni corrispondenti a quelle di assunzione o equivalenti a quelle precedentemente svolte, sancito dall’art.2013 c.c., costituisce adempimento contrattuale del datore di lavoro che sussiste anche in conseguenza di un trasferimento disposto in ragione di una reintegrazione eseguita in base ad un ordine giudiziale a seguito di licenziamento illegittimo , così che il fatto illecito del demansionamento anche in tali casi può essere suscettibile di tutela risarcitoria, non potendo escludersi comunque in tal caso l’inadempimento contrattuale derivante dall’obbligo di cui alla norma citata ( cfr Cass.14637/2016 ). E’ ben vero che ai fini dell’applicabilità dell’art.2103 cod. civ. sul divieto di dennansionamento, non ogni modificazione quantitativa delle mansioni affidate al lavoratore è sufficiente ad integrarlo, dovendo invece farsi riferimento all’incidenza della riduzione delle mansioni sul livello professionale raggiunto dal dipendente, sulla sua collocazione nell’ambito aziendale ( cfr Cass. n..8389/2004. Cass. 14496/2005) .
Tuttavia nel caso in esame la Corte territoriale , riportando alcune testimonianze raccolte in primo grado, ha motivato sull’avvenuta consistente sottoutilizzazione della lavoratrice,che si limitava a inviare qualche lettera di sollecito, sia nel periodo in cui era ancora inquadrata nel V livello, sia successivamente con il riconoscimento del superiore IV livello , restando adibita addirittura soltanto a poca attività di inserimento dati. La motivazione della Corte nel riconoscere l’inadempimento, essendo immune da vizi logico giuridici, non è dunque sindacabile in questa sede.
Egualmente infondati devono ritenersi il secondo ed il terzo motivo di ricorso che , essendo connessi, possono trattarsi congiuntamente. La Corte di merito ha motivato anche in ordine al danno patrimoniale provocato dal demansionamento, rifacendosi in particolare alla sostanziale inattività in cui di fatto la CG era stata tenuta, riportandosi a testimonianze che hanno confermato detta circostanza e rimarcando come in realtà dopo il riconoscimento della qualifica superiore, le mansioni erano state ancora meno qualificanti, ciò per un periodo durato ben due anni. Questa corte ha statuito che in tema di dequalificazione professionale, il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l’esistenza del relativo danno, di natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore, determinandone anche l’entità in via equitativa, con processo logico – giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento (Cfr tra le tante Cass.n. 19778/2014 ).
La sentenza pertanto non risulta aver violato le norme di legge di cui alli art.1226 c.c. laddove ha quantificato, peraltro equitativamente, in maniera superiore ( 40% anzichè 30% della retribuzione lorda per ogni mese di dequalificazione) il danno professionale verificatosi nel periodo successivo al riconoscimento del superiore IV livello.
Il ricorso deve quindi respingersi. Nessuna statuizione sulle spese segue, essendo rimasta la CG solo intimata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Roma, 29.3.2017
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