Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 luglio – 5 dicembre 2017, n. 29056
Presidente Bronzini – Relatore Cinque
Fatti di causa
1. Con la sentenza n. 921/2015 la Corte di appello di Roma ha confermato la pronuncia, emessa il 25.10.2012 dal Tribunale della stessa città, con la quale era stato dichiarato illegittimo il licenziamento intimato da Trenitalia spa a D.R.C.A.G. ed era stata condannata la società al pagamento dell’indennità di preavviso, dell’integrazione del TFR, mentre ha parzialmente riformato la statuizione sul riconoscimento della indennità supplementare riducendola in Euro 162.778,56 e parametrandola in 21 mensilità della retribuzione.
2. A fondamento della decisione la Corte distrettuale ha ritenuto tardiva la contestazione dell’addebito al lavoratore e ha considerato comunque ingiustificato il licenziamento.
3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Trenitalia spa affidato a due motivi.
4. D.R.C.A.G. ha resistito con controricorso.
5. La società ha depositato memoria ex art. 378 cpc.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 cpc (art. 7 St. lav. e artt. 27 CCNL Dirigenti 25.11.1009 e 61 CCNL Attività Ferroviario del 16.4.2003) in ordine alla tempestività della contestazione disciplinare. In sostanza deduce che erroneamente la Corte territoriale aveva individuato il momento della conoscibilità dei fatti, da cui far discendere la verifica sulla tempestività dell’incolpazione, che andava individuato nel giugno 2010 e non in precedenza (febbraio 2009).
2. Con il secondo motivo la società censura la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 cpc (artt. 2119 e 2106 cc) in ordine alla legittimità e proporzionalità del licenziamento. Sostiene l’erroneità della gravata sentenza nella parte in cui non è stato ritenuto legittimo per giusta causa il recesso che doveva essere valutato, quanto alle mancanze addebitate al lavoratore, sia sotto il profilo soggettivo che sotto quello oggettivo; precisa, poi, che anche se non si fosse voluta ritenere operante la previsione di cui all’art. 2119 cc, comunque il licenziamento avrebbe dovuto considerarsi giustificato.
3. Il primo motivo non è fondato.
4. Come affermato dalla giurisprudenza consolidata da questa Corte, in materia di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione integra elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro in quanto, per la funzione di garanzia che assolve, l’interesse del datore di lavoro all’acquisizione di ulteriori elementi a conforto della colpevolezza del lavoratore non può pregiudicare il diritto di quest’ultimo ad una pronta ed effettiva difesa, sicché, ove la contestazione sia tardiva, resta precluso l’esercizio del potere e la sanzione irrogata è invalida (cfr. tra le altre Cass. n. 19115/2013).
5. Il principio dell’immediatezza della contestazione mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per potere contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti e, dall’altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore -in relazione al carattere facoltativo dell’esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni della buona fede – sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile (cfr. Cass. n. 13167 del 2009).
6. Come più volte ha avuto occasione di affermare questa Corte, il criterio dell’immediatezza va inteso in senso relativo, poiché si deve tenere conto delle ragioni che possono far ritardare la contestazione, tra cui il tempo necessario per l’espletamento delle indagini dirette all’accertamento dei fatti, la complessità dell’organizzazione aziendale, e la valutazione in proposito compiuta dal giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata priva di vizi logici (cfr. tra le altre Cass. 12.1.2016 n. 281).
7. Nel caso in esame la Corte territoriale ha sottolineato che, una volta acquisita la relazione della Commissione di inchiesta (inviata il 23.12.2008 ed integrata nel febbraio 2009 che non ne aveva modificato la conclusione) la società aveva a sua disposizione tutti gli elementi necessari per valutare la rilevanza, nel giudizio disciplinare, della condotta posta in essere da D.R. sicché la contestazione avvenuta con nota del 9.7.2010, a distanza di oltre un anno e mezzo, era da considerarsi tardiva specie se si considerava il disposto dell’art. 61 CCNL per i lavoratori addetti al settore delle attività ferroviarie che prevedeva il termine di giorni 30 per la contestazione per iscritto dell’addebito.
8. Tali argomentazioni in punto di fatto, che si ripete essere adeguate e corrette giuridicamente, sono insindacabili in questa sede e, pertanto, la censura non è meritevole di pregio.
9. Il secondo motivo deve, invece, essere dichiarato assorbito.
10. Le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. Sez. Un. 30.3.2007 n. 7880) hanno affermato che le garanzie procedimentali dettate dall’art. 7 della legge n. 300/1970 devono trovare applicazione nell’ipotesi di licenziamento di un dirigente -a prescindere dalla specifica collocazione che lo stesso assuma nell’impresa- sia se il datore di lavoro addebiti al dirigente stesso un comportamento negligente (o, in senso lato, colpevole) sia se a base del detto recesso ponga, comunque, condotte suscettibili di farne venir meno la fiducia. Dalla violazione di dette garanzie, che si traduce in una non valutabilità delle condotte causative del recesso, ne scaturisce l’applicazione delle conseguenze fissate dalla contrattazione collettiva di categoria per il licenziamento privo di giustificazione, non potendosi per motivi, oltre che giuridici, logico-sistematici assegnare all’inosservanza delle garanzie procedimentali effetti differenti da quelli che la stessa contrattazione fa scaturire dall’accertamento della sussistenza dell’illecito disciplinare o di fatti in altro modo giustificativi del recesso.
11. Il principio è stato di recente ripreso dalla Sezione Lavoro di questa Corte (Cass. 10.2.2015 n. 2553) ove è stato precisato che la violazione delle suddette garanzie procedimentali preclude la possibilità di valutare le condotte causative del recesso.
12. Nella fattispecie in esame, quindi, la doglianza relativa alla giusta causa ovvero alla giustificatezza del licenziamento resta assorbita dalla ritenuta illegittimità dello stesso per la violazione del principio di immediatezza della contestazione.
13. Né è stato proposto ricorso incidentale da parte del D.R. in ordine alla applicazione delle conseguenze come riconosciute dai giudici di merito per cui la trattazione sulla valutazione delle condotte causative dl recesso non può trovare in alcun modo ingresso in questa sede.
14. In conclusione, il primo motivo deve essere rigettato con assorbimento della trattazione del secondo.
15. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il primo motivo e dichiara assorbito il secondo. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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