CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 2945 del 16 febbraio 2016
LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – INALAZIONE DI POLVERI DI AMIANTO – RESPONSABILITA’ – DANNO BIOLOGICO – RISARCIMENTO DEL DANNO
Vi è la responsabilità del datore di lavoro della tecnopatia (asbestosi polmonare) diagnosticata al lavoratore per averlo esposto, nell’ambiente di lavoro, ad inalazione di fibre di amianto, con violazione delle doverose cautele antinfortunistiche.
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Svolgimento del processo
1. – Con sentenza depositata il 23.9.2013 la Corte di appello di Napoli, su appello proposto da M.B., e in riforma della sentenza resa dal Tribunale della stessa sede, ha accertato la responsabilità della società A. s.p.a. per l’insorgenza della tecnopatia procurata dall’inalazione di polveri di amianto ed ha condannato la società al risarcimento del danno biologico e morale, mentre ha rigettato la domanda della società A. nei confronti delle società A. s.p.a., A.G. s.p.a., Milano Assicurazioni s.p.a. ritenendo che per il suddetto danno non vi fosse copertura assicurativa.
1.1. La Corte territoriale ha ritenuto la società A. s.p.a. (già B. Costruzioni Ferroviarie s.p.a. e S. s.p.a.) – datore di lavoro di B. dall’1.10.1967 al 29.5.1986 – responsabile della tecnopatia (asbestosi polmonare) diagnosticata al lavoratore in data 11.9.1998 per averlo esposto, nell’ambiente di lavoro, ad inalazione di fibre di amianto, con violazione delle doverose cautele antinfortunistiche. Ha, pertanto, condannato la società al pagamento del danno biologico, escludendo la responsabilità delle società assicuratrici, non potendo rientrare, l’evento lesivo, nella copertura assicurativa stipulata in data 2.4.1984 e successivamente estesa (con addenda al contratto stipulata 11 15.3.1993) al danno biologico.
2. – Avverso la sentenza, la società A. propone ricorso per Cassazione, affidato a un motivo. La società A. s.p.a. resiste con controricorso. il lavoratore e la società M. Assicurazioni s.p.a. sono rimasti intimati. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1. – La società ricorrente denuncia, in relazione agli art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, violazione o falsa applicazione delle norme dettate in materia di interpretazione degli atti negoziali (artt. 1362 e ss c.c.) nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Il ricorrente rileva che la Corte d’appello ha erroneamente interpretato il contratto di assicurazione stipulato dalla società A., con particolare riferimento all’estensione della polizza stipulata nel marzo 1993 per la copertura dei danni biologici, avendo escluso che il rischio di esposizione alle fibre di amianto a cui il lavoratore è stato esposto sino alla data di cessazione del rapporto di lavoro (maggio 1986) rientri nell’ambito di efficacia temporale del contratto così come integrato nel 1993. La Corte territoriale, pur dichiarando di aver esaminato i documenti assicurativi, ha omesso di esaminare un fatto decisivo, ossia la clausola di integrazione del contenuto originario del contratto di assicurazione, la quale – “ai sensi e per gli effetti delle condizioni tutte della polizza base” – ha previsto la copertura del danno biologico derivante da malattia professionale o infortunio che doveva, pertanto, estendersi anche a rischi professionali verificatisi in data precedente la stipulazione della suddetta clausola. Il ricorrente riproduce integralmente il testo della clausola e chiede una rinnovata valutazione alla luce dei canoni ermeneutici dettati dal codice civile.
2. – L’esposizione dei motivi deve ritenersi, con riguardo ai requisiti di completezza e specificità richiesti dal combinato disposto degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., al limite dell’ammissibilità. In ogni caso, il motivo è infondato. L’interpretazione delle disposizioni di un contratto individuale costituisce accertamento di fatto ed è riservata al giudice di merito; può essere sindacata in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale oppure per vizio di motivazione (Cass. nn. 2512/2013, 16376/2006); in tal caso, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente il punto ed il modo in cui l’interpretazione si discosti dai canoni di ermeneutica o la motivazione relativa risulti obiettivamente carente. Va sottolineato che la sentenza in esame (pubblicata dopo l’11.9.2012) ricade sotto la vigenza della novella legislativa concernente l’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (d.l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134).
L’intervento di modifica, come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053/2014), comporta una ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto, che va circoscritto al “minimo costituzionale”. Ebbene, questa Corte ha statuito che “nella interpretazione della clausola di un contratto di assicurazione, con il quale l’assicuratore si obbliga a tenere indenne il datore di lavoro per quanto questi sia tenuto a pagare a norma del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 10 e 11, il giudice del merito deve individuare la volontà delle parti, secondo i criteri di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg., tenendo presente il contenuto normativo delle disposizioni legali, cui le parti hanno rinviato, al momento della stipula del contratto di assicurazione e, in particolare, ai fini della inclusione nella manie va anche del danno biologico e del danno morale, del fatto che l’art. 10 del citato D.P.R., nel regime anteriore al D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, afferma la responsabilità civile del datore di lavoro per tali componenti del danno sottraendola alla copertura dell’assicurazione antinfortunistica obbligatoria” (Cass. n. 7593/2003).
Nella presente fattispecie, la Corte territoriale, con interpretazione ermeneutica corretta e con argomentazione logica, ha spiegato che – da tutti i documenti esibiti – non emergeva alcun elemento da cui poter desumere che le parti contraenti avessero inteso estendere la nuova copertura a rischi ormai pregressi e in particolare in favore di persone che non risultavano al momento più dipendenti dell’azienda e per i quali, di conseguenza, parte datoriale aveva già assunto integralmente su di sé il rischio di pregiudizi inerenti il danno non patrimoniale derivati dai pericoli dell’attività svolta.
La Corte di merito, si è, inoltre, conformata ad orientamento già espresso da questa Corte (Cass. n. 5444/2006), in base al quale la nozione di “fatto” accaduto durante il tempo dell’assicurazione, per la equivocità del termine, idoneo a comprendere, se riferito ad un fatto umano, sia la condotta sia agli eventi che essa abbia provocato, si presta di per sé a comprendere sia l’una che gli altri e, quindi, spetta alle parti del contratto assicurativo opportunamente precisarla in modo che abbia o non abbia quella estensione; ha, pertanto, ritenuto – con indagine esente da vizi di natura logico-giuridica – che l’estensione della copertura assicurativa al danno biologico, stipulata con decorrenza dal 15.3.1993, non potesse assolutamente spiegare integrale effetto retroattivo anche per coloro che, al momento di tale estensione, non erano più dipendenti della società-datore di lavoro assicurato.
Non è, quindi, rinvenibile nella sentenza impugnata alcuna anomalia motivazionale che si manifesti come “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, o “motivazione apparente” (Cass. S.U. n. 8053 cit.) né alcuna violazione dei canoni di interpretazione negoziale.
3. – Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
Dichiara dovuto dal ricorrente l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato.