Corte di Cassazione sentenza n. 29598 depositata il 11 dicembre 2017
Rilevato che:
GG convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Milano con ricorso depositato ai sensi dell’art. 702 bis cod. proc. civ. MP chiedendo il risarcimento del danno nella misura di Euro 70.000,00 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale. Il Tribunale adito rigettò la domanda. Avverso detta sentenza propose appello GG, chiedendo il risarcimento del danno nella misura di Euro 30.000,00.
Con sentenza di data 4 marzo 2015 la Corte d’appello di Milano rigettò l’appello. Osservò la corte territoriale quanto segue. La provenienza delle infiltrazioni nella guaina impermeabilizzante del condominio dalle radici delle piante di proprietà dell’appellante (peraltro confermata dalla relazione di accertamento tecnico preventivo) era stata solo congetturata dall’amministratore MP nella lettera del 24 settembre 2010, che era quindi priva di valenza rivelatrice della volontà di nuocere alla reputazione del GG, della quale non era stata peraltro provata la compromissione.
Come affermato dal giudice di prime cure, nessuna prova era stata fornita dell’infondatezza della richiesta, con la missiva del 28 febbraio 2012, del pagamento di spese condominiali per Euro 4.814,00 (missiva che, secondo l’appellante, lo avrebbe fatto passare per condomino moroso), essendo stato chiarito con la successiva lettera del 26 marzo 2012 che, avendo il GG corrisposto Euro 3.013,46, la somma di Euro 4.814,00 doveva intendersi riferita alle spese straordinarie per i lavori di riparazione delle guaine, con riserva di conguaglio nel caso di minori costi e dichiarata disponibilità all’approvazione di un diverso riparto.
Il tenore della lettera non era connotato da ostilità nei confronti dell’appellante, né poteva considerarsi una sorta di risposta provocatoria alla proposizione da parte del GG di ricorso a seguito dell’espletato ATP, tanto più che la relativa azione era indirizzata nei confronti del condominio e non nei confronti dell’amministratore. Non era stato dimostrato che da parte dei condomini, e comunque nel contesto socio-ambientale in cui il GG svolgeva la propria attività di medico, fosse intervenuto un mutamento in peius dell’atteggiamento nei confronti dell’appellante e vi era totale carenza di prova, anche in termini presuntivi, del danno asseritamente patito.
Ha proposto ricorso per cassazione GG sulla base di tre motivi e resiste con controricorso la parte intimata. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi d’inammissibilità del ricorso.
Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito. E’ stata presentata memoria.
Considerato che:
con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043-2059 cod. civ. in relazione agli artt. 1710 ss., 1129- 1130, 2697 cod. civ., 115, 116 e 702 bis cod. proc. civ.. Osserva il ricorrente che nella lettera del 24 settembre 2010 l’amministratore non si era limitato ad ipotizzare una «responsabilit s delle radici», ma aveva prefigurato la responsabilità del GG tale vtomportare che i costi fossero a carico di chi aveva cagionato il danno, posizione smentita dall’ATP (che aveva parlato di generale situazione di forte presenza di radici, senza attribuirla ad un condomino specifico) e che inoltre l’amministratore aveva omesso di controllare l’attività della ditta incaricata dei lavori, la quale, effettuato lo scavo, aveva interrotto i lavori, causando la dilatazione dell’estensione delle infiltrazioni. Aggiunge che la mancata costituzione del MP nel giudizio di primo grado doveva far ritenere come ammessi i fatti dedotti dall’attore.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2059 cod. civ., 595 cod. pen., 112-116, 360, comma 1, n.5 cod. proc. civ.. Osserva il ricorrente che la lettera del 28 febbraio 2012 era del tutto correlabile alla domanda proposta dal GG ai sensi dell’art. 702 bis, costituendo la lettera del 26 marzo 2012 una rettifica solo parziale della precedente missiva ed evidenziando proprio il riconoscimento del pagamento della somma di Euro 3.013,46 la mala fede dell’amministratore.
Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. e 1226-2056 cod. civ.. Osserva il ricorrente che già gli altri condomini avevano contestato al MP di avere omesso quale amministratore di controllare l’operato dell’impresa e che le dimissioni da amministratore, definitive dopo il ricorso per la revoca del medesimo proposto dal GG, comportavano il riconoscimento della propria responsabilità. Aggiunge che per il MP era meglio scaricare sulle iniziative intraprese dal GG ogni responsabilità, in modo da occultare le proprie negligenze, e che era stato in modo quanto meno colposo raffigurato il ricorrente come danneggiatore di beni condominiali e condomino moroso.
I motivi di ricorso, da valutare unitariamente, sono inammissibili. Le censure, benché rubricate come violazione di legge, mirano al mero riesame nel merito delle circostanze di fatto. Il ricorrente si limita ad enumerare una serie di circostanze fattuali, già oggetto di esame del giudice di appello, allo scopo di pervenire ad una valutazione delle risultanze processuali di segno diverso rispetto a quella cui è pervenuto il giudice di merito, valutazione che è preclusa nella presente sede di legittimità.
Va infatti rammentato che posto, in generale, il principio che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, deve ritenersi, in particolare, inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non essendo al riguardo sufficiente un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi tra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la sentenza impugnata e di assolvere, così, il compito istituzionale di verificare il fondamento della suddetta violazione.
Qualora, peraltro, venga allegata, come prospettato nella specie dal ricorrente, l’erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze della causa di merito, tale deduzione è da ritenersi estranea alla esatta interpretazione delle norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è ammissibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione ma non sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di legge (fra le tante Cass. 5 giugno 2007, n. 13066).
La denuncia del vizio di motivazione, quale omesso esame di fatto decisivo e controverso, secondo la vigente previsione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., non risulta proposta dal ricorrente. Peraltro, ove si ritenga denunciato il vizio motivazionale, andrebbe rilevata la corrispondenza fra il giudizio di fatto del giudice di merito di primo grado con quello del giudice di secondo grado. Nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 10 marzo 2014, n. 5528; 27 settembre 2016, n. 19001; 22 dicembre 2016, n. 26774).
Tale onere processuale non risulterebbe comunque assolto. Con riferimento infine al mancato rilievo da parte del Tribunale dei fatti come ammessi, quale conseguenza della contumacia in primo grado del convenuto, a parte la neutralità dal punto di vista processuale della contumacia e l’impossibilità di considerarla come ammissione di colpa (Cass. 21 novembre 2014, n. 24885), va osservato che, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc.civ., il ricorrente non ha specificatamente indicato se la questione abbia costituito motivo di appello. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 – quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13
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