CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 35294 del 23 agosto 2016
RITENUTO IN FATTO
1. Il sig. S.G.M.S. ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 23/09/2015 del Tribunale di Sassari che ha respinto la richiesta di riesame del decreto del 14/07/2015 del G.i.p. di quello stesso Tribunale che, sulla ritenuta sussistenza indiziaria del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, di beni a lui intestati per un valore pari ad Euro 213.047,00, corrispondente all’importo dell’imposta non dichiarata ed evasa.
1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e c), la erronea applicazione e l’inosservanza dell’art. 322 ter c.p., artt. 321 e 125 c.p.p., perche’ il sequestro di valore e’ stato disposto in assenza della preventiva verifica della disponibilita’ del profitto del reato e senza motivazione alcuna al riguardo o comunque con motivazione apparente.
1.2. Con il secondo eccepisce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e c), la erronea applicazione e l’inosservanza degli artt. 322 ter c.p., artt. 321 e 125, c.p.p., e dell’art. 2425 bis c.c..
Deduce al riguardo che la plusvalenza derivante dal contratto del 09/07/2010 di “sale and lease back” dell’immobile destinato a distributore e bar tabacchi, quantificato nella misura di Euro 455.950,03, e’ stata erroneamente imputata per intero all’anno di imposta 2010, piuttosto che distribuito per tutta la durata della locazione finanziaria in ossequio al principio di competenza di cui all’art. 2425 bis c.c., con quanto ne consegue anche in termini di superamento della soglia di punibilita’ e della effettiva consapevolezza e volonta’ di evadere l’imposta per l’intero ammontare non dichiarato.
Inoltre, aggiunge, non sono state prese in considerazione la perdita di esercizio (pari ad Euro 234.000,00) e le spese sostenute per la stipula notarile dell’atto, per la stima dell’immobile e per l’assicurazione che, concorrendo a quantificare il reddito imponibile, incidono sulla entita’ dell’imposta evasa.
Conclude lamentando che il Tribunale del riesame ha acriticamente fatto proprie le conclusioni dell’avviso di accertamento benche’ nullo ed inesistente in quanto sottoscritto da un dirigente totalmente carente di potere a seguito del pronunciamento del Giudice delle L. n. 37 del 2015, che ha sancito la carenza assoluta di attribuzione in capo ai funzionari dell’Agenzia delle Entrate ai quali siano stati illegittimamente attribuiti incarichi dirigenziali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso e’ fondato.
3. Deve essere preliminarmente respinta, per questioni di priorità logico-giuridica, la tesi secondo cui l’inesistenza/nullità dell’avviso di accertamento sottoscritto da funzionario carente di potere determina la automatica inutilizzabilità, a fini penali, dell’avviso stesso e degli atti su cui esso si fonda ed, in particolare per quanto riguarda il caso di specie, del processo verbale di constatazione ad esso allegato.
3.1. L’eccezione trae alimento dalla sentenza n. 37 del 2015 della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 24, (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dalla L. 26 aprile 2012, n. 44, art. 1, comma 1, che aveva autorizzato l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio ad espletare procedure concorsuali, da completare entro il 31 dicembre 2013, per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti e nel contempo prevedeva che nelle more dell’espletamento di dette procedure l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio potessero attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata era fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso.
3.2. Da qui la dedotta nullita’, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, dell’avviso di accertamento perche’ (si afferma) sottoscritto da funzionario privo di qualifica dirigenziale e incaricato in base a norma dichiarata incostituzionale.
3.3. Il Tribunale ha correttamente superato l’eccezione sul rilievo, fattuale, che il ricorrente non ha comunque dato prova alcuna della mancanza di qualifica dirigenziale in capo al sottoscrittore dell’avviso. Il rilievo e’ solo debolmente ripreso dal S.G. che si limita ad opporre la notorieta’ del dato, piuttosto che eccepire, in concreto, l’omesso esame della prova positivamente fornita.
3.4. La questione, pero’, si risolve in diritto, prima ancora che in fatto.
3.5. Le patologie dell’avviso di accertamento si esauriscono nell’ambito del rapporto giuridico processual-tributario e attengono esclusivamente la pretesa che con esso viene esercitata dall’Erario.
3.6. Tali patologie non incidono sulla attitudine dell’atto a veicolare nel processo penale le informazioni che se ne possono trarre. In sede tributaria l’avviso di accertamento e’ l’atto con cui l’Erario promuove la pretesa all’esatto adempimento dell’obbligazione tributaria, e’ atto di impulso che per la sua validita’ deve possedere specifici requisiti il cui rispetto e’ presidiato dalla sanzione di nullita’ che paralizza la pretesa stessa.
3.7.In sede penale l’avviso di accertamento subisce una trasformazione genetica: non e’ piu’ atto di impulso, ma documento che veicola informazioni. In sede penale il promotore dell’azione e’ il pubblico ministero che la esercita nei modi e nelle forme previsti dal codice di rito; l’avviso di accertamento e’ strumentale all’esercizio dell’azione, non ne e’ l’atto che l’incorpora. Il suo statuto non e’ il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, ma l’art. 191 c.p.p..
3.8. L’eccezione, peraltro, non ha carattere decisivo perche’ da quanto emerge dal testo del provvedimento impugnato (ma anche dal ricorso stesso) gli indizi di sussistenza del reato ipotizzato si fondano su atti ulteriori e diversi dal semplice accertamento (in particolare la comunicazione di notizia di reato e il processo verbale di constatazione).
4. Il primo motivo e’ infondato perche’, diversamente da quanto eccepito dal ricorrente, il Tribunale da’ espressamente atto del mancato rinvenimento delle somme costituenti il profitto del reato giacche’ utilizzate per soddisfare altre finalita’ di pagamento.
4.1. Per contrastare l’assunto il S.G. sollecita questa Corte ad un inammissibile esame diretto degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero (la CNR, la delega di indagine del PM) dei quali eccepisce il sostanziale travisamento.
4.2. Cosi’ facendo pero’ lamenta un vizio di motivazione non consentito in questa sede ai sensi dell’art. 325 c.p.p..
5.E’ fondato il secondo motivo di ricorso per la parte relativa alle modalita’ di imputazione della plusvalenza da “sale and lease-back” (compravendita con locazione finanziaria al venditore); e’ del tutto generico per la parte relativa alla detraibilita’ delle spese.
5.1.1n punto di fatto risulta, dall’esame del provvedimento impugnato e dalle deduzioni difensive, che il ricorrente nel 2010 ha venduto alla Sardaleasing Spa la stazione di servizio di sua proprieta’ al prezzo di Euro 455.950,53, riottenendolo dalla stessa societa’ a titolo di locazione finanziaria.
5.2.Si tratta, come accennato, di un contratto di impresa “socialmente tipico” meglio conosciuto come “sale and lease back” in forza del quale un’impresa vende un bene strumentale ad una societa’ finanziaria, la quale ne paga il prezzo e contestualmente lo concede in locazione finanziaria alla stessa impresa venditrice, verso il pagamento di un canone e con possibilita’ di riacquisto del bene al termine del contratto per un prezzo normalmente molto inferiore al suo valore (cosi’ Cass. civ. Sez. 3, n. 5438 del 14/03/2006).
5.3. Nel caso in esame non e’ contestata (ne’ il Tribunale lo sostiene) la causa illecita del contratto, tantomeno la finalita’ elusiva di obblighi tributari con esso perseguita, sicche’ l’operazione deve ritenersi posta in essere per soddisfare reali esigenze di liquidita’ d’impresa. Del resto, la questione oggetto di esame riguarda solo ed esclusivamente le modalita’ di computo, a fini fiscali del corrispettivo ricevuto dal venditore.
5.4. Secondo quanto prevede l’art. 2425 bis c.c., u.c., le plusvalenze derivanti da operazioni di compravendita con locazione finanziaria al venditore sono ripartite in funzione della durata del contratto di locazione.
5.5. Il T.U.I.R. non prevede espressamente nulla al riguardo.
5.6. L’art. 87, T.U.I.R. prevede soltanto che le plusvalenze dei beni relativi all’impresa concorrono a formare il reddito se sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate. Se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a tre anni le plusvalenze concorrono a formare il reddito in quote costanti non oltre il quarto anno successivo alla cessione, a condizione che il contribuente faccia questa scelta con la dichiarazione annuale, altrimenti la plusvalenza concorre a formare il reddito per l’anno in cui’ e’ stata realizzata.
5.7. Nel caso di specie, poiche’ l’impresa era posseduta da meno di tre anni e il contribuente non aveva presentato la dichiarazione dei redditi, l’amministrazione finanziaria ha attribuito per intero la plusvalenza al reddito maturato nell’anno 2010.
5.8. Ritiene il Collegio che la disciplina relativa alle plusvalenze patrimoniali da cessione di beni d’impresa non sia applicabile a quelle derivanti da operazioni di compravendita con locazione finanziaria al venditore.
5.9. Il contratto di “sale and lease back” ha una causa diversa dal contratto di vendita puro e semplice; si tratta di un contratto unico, complesso con causa finanziaria non scomponibile nei suoi elementi. Le diverse modalita’ di iscrizione nel bilancio delle relative plusvalenze, in ossequio ai principi contabili internazionali, ne sono la prova (e la relativa conseguenza).
5.10. La causa finanziaria del contratto impedisce di assimilare (a fini fiscali) la somma ricevuta dal concedente al corrispettivo dell’acquirente. Il fatto che il legislatore tributario non abbia disciplinato la specifica materia non puo’ essere motivo per trarne la conseguenza della inapplicabilita’ ad esso della ripartizione pluriennale, anche a fini fiscali, della plusvalenza ottenuta con la cessione del bene, ben potendo valere l’esatto contrario: al momento, tale criterio di imputazione – nel silenzio del legislatore fiscale ed in assenza di una specifica norma tributaria derogatoria dei principi generali di derivazione e di imputazione per competenza – e’ l’unico espressamente previsto e non v’e’ ragione alcuna per disattenderlo, visto che quando l’ha voluto il legislatore tributario ha espressamente rimodellato a proprio uso e consumo i corrispondenti istituti del diritto civile e commerciale.
5.11. Il modo di contabilizzare le plusvalenze derivanti da contratto di “sale and lease back” e’ stabilito dal principio contabile IAS 17 (International Accounting Standards) in vigore dal 1 gennaio 2005.
5.12. I principi contabili IAS sono ispirati al criterio della prevalenza della sostanza sulla forma (per un riferimento si veda il D.M. 1 aprile 2009, n. 48, art. 2, comma 2) e fatti propri dal Reg. (CE) 19/07/2002, n. 1606/2002 (Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo all’applicazione di principi contabili internazionali) cui a sua volta fa riferimento l’art. 83, T.U.I.R. ai fini della determinazione del reddito complessivo imponibile. E’ vero che tali principi non si applicano ai soggetti che non redigono il bilancio in base ad essi (cd. soggetti non IAS), ma e’ agevole osservare che non v’e’ motivo alcuno per disattendere principii generali non espressamente derogati dalla legislazione tributaria ed anzi tradotti in precisa norma di legge aderente alla sostanza del negozio (art. 2425 bis c.c., u.c.).
5.13. Occorre sul punto aggiungere che la possibilita’, concessa al contribuente, di “diluire” negli anni la plusvalenza ottenuta dalla cessione di beni costituisce una deroga al criterio di competenza di cui all’art. 109, T.U.I.R.; il che giustifica (e spiega) l’onere di effettuare la scelta nella dichiarazione dei redditi (art. 86, comma 4, TUIR).
5.14. La ripartizione della somma finanziata per la durata del contratto di “sale and lease back”, invece, e’ coerente con la causa effettiva del contratto, sicche’ l’assimilazione di tale finanziamento al corrispettivo derivante da una normale compravendita costituisce un’ingiustificata forzatura che non trova una espressa codificazione e impedisce pericolose applicazioni analogiche anche degli oneri dichiarativi previsti, ad altro fine, dall’art. 86, comma 4, TUIR. 5.15. Ne consegue che il reddito di impresa deve essere (ri)calcolato ripartendo la plusvalenza per la durata del contratto al fine di accertare se, nel caso di specie, sia stata superata, per l’anno di imposta di riferimento, la soglia di punibilita’ di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, e rideterminare, in caso di esito positivo, l’entita’ effettiva dell’imposta evasa.
5.16. L’ordinanza impugnata deve percio’ essere annullata con rinvio al Tribunale di Sassari che si atterra’ ai principi sopra esposti.
P.Q.M.
Annulla la ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Sassari.
Cosi’ deciso in Roma, il 12 aprile 2016.
Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2016
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