CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 3813 del 26 febbraio 2016

SOCIETÀ DI CAPITALI – SOCIETÀ PER AZIONI – SCIOGLIMENTO – LIQUIDAZIONE – LIQUIDATORI – POTERI – RAPPRESENTANZA DELLA SOCIETÀ – POTERI DEI LIQUIDATORI – LIMITAZIONI DELL’ASSEMBLEA – CONFERIMENTO DI POTERI RAPPRESENTATIVI, IN MODO CONGIUNTO, A TUTTI I LIQUIDATORI – INCLUSIONE – PROPOSIZIONE DI IMPUGNAZIONE IN BASE A PROCURA CONFERITA DA UNO SOLO DI ESSI – INAMMISSIBILITÀ

IL PROCESSO

G.M., sia in proprio sia nella qualita’ di sodo nonche’ amministratore e gia’ liquidatore della societa’ SICER s.p.a., impugna la sentenza App. Torino 11.5.2009 n. 293/09, che respinse il proprio reclamo – per come proposto in proprio – e parimenti dichiaro’ inammissibile il medesimo – per come presentato a nome della predetta societa’ in liquidazione – avverso il decreto-sentenza Trib. Biella 21.1.2009 con cui veniva revocata l’ammissione al concordato preventivo.gia’ disposta in favore della societa’ da quel tribunale con decreto 8.7.2008 e si dichiarava il fallimento, su richiesta del P.M..

Ritenne la corte d’appello che sussisteva piena correttezza nel procedimento avviato dal giudice di primo grado ai sensi dell’art. 173 L.Fall., dopo che il commissario giudiziale aveva riferito, ai fini della revoca dell’ammissione al concordato preventivo, di ricavi non contabilizzati relativi ad immobili compravenduti e alla conseguente udienza la societa’, comparsa in persona di uno dei suoi tre liquidatori ( M.G.), veniva edotta della citata richiesta di fallimento, con riconvocazioni successive e trattazione della medesima, alfine anche notificata a mezzo di P.G. al predetto liquidatore e “al figlio del liquidatore” N.N.. Ravviso’ peraltro in via preliminare la pronuncia l’ambiguita’ della formula autoqualificatoria impiegata dal reclamante, per la commistione tra cariche attuali e pregresse, che tuttavia – anche nella lettura piu’ favorevole – non sarebbero state idonee a permetterne l’impugnazione se non in proprio, posto che la societa’ all’epoca era in liquidazione, con conferimento assembleare dei relativi poteri congiunti a tre rappresentanti: cio’ implicava che il reclamo proposto da uno solo di essi non era in grado di impegnare la societa’, derivandone la nullita’, per difetto di legitimatio ad processum della procura data dal solo G.M. al difensore e a nome della societa’.

Esaminando dunque il reclamo unicamente per l’interesse personale di cui era portatore il G., affermo’ la corte d’appello:

a) la regolarita’ dell’unitario procedimento volto ad accertare il venir meno dei presupposti dell’ammissione al concordato e la sussistenza di quelli per la dichiarazione di fallimento, con unicita’ altresi’ della delega alla trattazione ad un componente del collegio, espressa nel decreto presidenziale con cui si provvedeva sull’istanza del commissario giudiziale e si disponeva la convocazione di societa’, creditori e P.M. richiedente il fallimento e dunque senza alcuna necessita’ di reiterazione per le udienze di trattazione successive;

b) il difetto di interesse di G. a far valere questioni sui modi con cui l’istanza di fallimento era stata partecipata alla societa’, trattandosi di tema inerente solo a quest’ultima;

c) in ogni caso, appresa della richiesta del P.M. ad un’udienza, la societa’ nemmeno aveva uno specifico diritto ad essere ulteriormente notiziata, questione peraltro superata dalla circostanza per cui il difensore in realta’ era stato posto nella condizione di estrarre copie del verbale d’udienza, della richiesta del P.M. e dei documenti prodotti da questi e dal commissario giudiziale;

d) ne’ poteva farsi questione dei limiti di rappresentanza dell’unico liquidatore comparso in udienza e materialmente edotto della iniziativa del fallimento, essendo indiscutibile la sua legittimazione a ricevere le comunicazioni effettuate dall’ufficio giudiziario ed invece circoscritti semmai i suoi diversi poteri di amministrazione e rappresentanza;

e) infondata era la critica circa la carenza di legittimazione del P.M., invece poggiante su un’autonoma previsione di coincidenza delle cause di revoca con ipotesi di bancarotta dell’imprenditore ammesso al concordato;

f) le indagini della Guardia di Finanza, con la non contestata scoperta di pagamenti non contabilizzati per circa 2 milioni di Euro, valevano a neutralizzare la portata della relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale apparentemente tranquillizzante sulla salute della societa’, ma divenuta immotivata.

Il ricorso e’ affidato a cinque motivi, cui resiste con controricorso la curatela della societa’ fallita.

I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la nullita’ della sentenza o del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione degli artt. 75 e 182 cod. proc. civ. avendo la corte d’appello trascurato che, nonostante la dichiarazione di fallimento, il socio amministratore e liquidatore ben poteva “interloquire anche in nome della societa’ fallita’, nonostante il conferimento di poteri congiunti e comunque errato ove, rilevato il supposto difetto di rappresentanza, doveva assegnare un termine per la costituzione delle persone cui questa spettava.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 24 Cost. per avere la corte d’appello erratamente inteso come unitario il procedimento di revoca del concordato e dichiarazione di fallimento, conferendo al difensore officiato solo per il primo altresi’ il potere di difesa anche per il secondo.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la nullita’ della sentenza e del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione agli artt. 173 e 15 L.Fall., ove la corte d’appello ha giustificato un procedimento unitario anziche’ due fasi distinte, nascenti con l’apertura di quella volta alla revoca dell’ammissione al concordato e da cui doveva scaturire una nuova delega al giudice incaricato dell’istruttoria ed il rispetto del procedimento di cui alla seconda norma.

Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione di legge, quanto all’art. 111 Cost., per ritenuta illegittima applicazione del medesimo giudice ad istruire sia la revoca del concordato che l’istruttoria prefallimentare.

Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la nullita’ della sentenza di fallimento per violazione degli artt. 137 e ss. cod. proc. civ. e D.P.R. n. 1229 del 1959, art. 106 stante la irritualita’ della convocazione per l’istruttoria fallimentare disposta in sede di udienza di revoca del concordato preventivo e la conseguente nullita’ delle notifiche eseguite dalla P.G. anziche’ dall’ufficiale giudiziario.

1. Il primo motivo ha riguardo a due censure, rispettivamente inammissibile la seconda e infondata la prima. Sulla violazione dell’art. 182 cod. proc. civ., il ricorrente ha omesso di illustrare nel motivo un qualsiasi apparato argomentativo a sostegno della doglianza, circoscritta al mero sintetico quesito, oltre tutto carente nella enunciazione altresi’ della fattispecie processuale in occasione della quale il giudice di merito avrebbe violato la norma, non indicata nel testo ratione temporis vigente quanto alla discrezionalita’ allora qualificativa degli invocati poteri di integrazione, ne’ fatta valere come motivo di contestazione tempestiva dalla parte stessa. L’inammissibilita’ consegue dal principio, applicabile anche alla vicenda dei poteri di necessario esercizio congiunto dei liquidatori di una societa’ cosi’ statutariamente organizzata, per cui la mancata assegnazione di un termine per la eventuale sanatoria non comporta violazione dell’art. 182 cod. proc. civ. (nel testo anteriore alla modifica – che non si applica retroattivamente per Cass. 26465/2011 – apportatagli dalla L. 17 giugno 2009, n. 69), se non in caso di diniego a fronte di una esplicita richiesta della parte, che ben puo’ attivarsi per il rilascio di una nuova e valida procura laddove la questione del vizio di quella originaria sia stata oggetto dell’attivita’ defensionale ed istruttoria (Cass. 17301/2013).

2. L’infondatezza della seconda censura trova ragione nel principio, correttamente applicato dal giudice investito del reclamo da uno solo dei tre liquidatori della societa’ fallita, per cui ai sensi dell’art. 2452 cod. civ. (nella specie, richiamato per le societa’ cooperative dall’art. 2516 cod. civ.), le limitazioni che l’assemblea puo’ disporre in ordine ai poteri dei liquidatori – di natura congiunta, per pacifica circostanza – possono concernere anche la rappresentanza, sia sostanziale che processuale, della societa’: pertanto, ove i poteri rappresentativi, senza distinzione fra attivita’ negoziali e attivita’ processuali, risultino dall’assemblea conferiti congiuntamente a tutti i liquidatori, e’ inammissibile l’impugnazione proposta per la societa’ ma in base a mandato difensivo conferito da uno solo dei liquidatori (Cass. 909/1986). Si tratta invero di un indirizzo che ha trovato indiretta conferma ove se ne e’ giustificata la deroga in materia di consorzi, proprio perche’ ivi faceva difetto una struttura a forma societaria e, nella specie, mancava nello statuto del consorzio e nell’atto di nomina dei liquidatori una previsione circa le modalita’ di esercizio del potere di rappresentanza degli stessi, conseguendone l’applicazione delle diverse norme sul mandato ed in particolare dell’art. 1716 cod. civ., riguardante l’ipotesi di pluralita’ di mandatari (per Cass. 8350/2007).

2. Il secondo motivo e’ inammissibile per plurimi profili: la relativa redazione e’ del tutto generica; il quesito di diritto non mostra una puntuale correlazione alla fattispecie concreta, che non viene riprodotta in modo completo o almeno indicativo del preteso violato contraddittorio sull’accesso agli atti e dunque e’ frainteso il principio di autosufficienza del ricorso; ove il ricorrente menziona la circostanza del diniego al rilascio di copie al difensore officiato per il concordato (con contraddizione peraltro rispetto alla piu’ confusa parte narrativa, in cui si da’ invece atto dell’accoglimento almeno parziale della domanda, v. pag. 4 ricorso), introduce una circostanza nuova, per la quale non fornisce prova di trattazione pregressa avanti al giudice del merito, mentre l’accertamento di fatto della corte d’appello sul medesimo punto e’ inequivoco in senso contrario, per esso essendosi dovuto procedere semmai a censura con il mezzo della revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4.

3. I motivi terzo, quarto e quinto sono infondati. Non e’ condivisibile l’assunto del ricorrente ove correla la contestata unitarieta’ del procedimento di revoca del concordato e di dichiarazione di fallimento alla pronuncia, che ne sarebbe derivata, di fallimento d’ufficio da parte del tribunale, circostanza pacificamente esclusa dalla chiara riferibilita’ invece all’iniziativa del Pubblico Ministero. Cosi’ come la scelta da parte del tribunale di un’unica istruzione appare a sua volta del tutto corretta con la ratio dell’art. 173 L.Fall. ratione temporis vigente che, organizzando l’esercizio della potesta’ di revoca dell’ammissione al concordato preventivo, da’ conto della necessita’ di pronunciare altresi’ sull’azione fallimentare (sub specie di riscontrata richiesta del P.M.) incidentalmente attivata per definire la complessiva vicenda – sopravvenuta inesistenza dei presupposti di ammissione al concordato, sussistenza dei presupposti del fallimento – nel medesimo contesto provvedimentale, come avvenuto. Da tale necessita’, innescata proprio dalla iniziativa del P.M., sono originate l’unica delega al medesimo giudice (incaricato di istruire la revoca e, in essa, anche la domanda di fallimento), la comunicazione integrale alla stessa udienza della predetta richiesta (quando la societa’ era costituita con mandato conferito all’unico difensore da tutti i liquidatori), una pluralita’ di rinvii d’udienza per la trattazione di essa (a dimostrazione dell’effettivo dispiegarsi sia del contraddittorio sia di una completezza dell’istruttoria in se’), la messa a disposizione alla parte del corredo documentale sia della contestazione del commissario giudiziale, sia dell’iniziativa del richiedente il fallimento. La positiva sufficienza di tali circostanze va misurata allora alla stregua del principio, qui ribadito, per cui in tema di dichiarazione di fallimento nel corso della procedura di concordato preventivo, quando sia promosso il procedimento per la revoca della relativa ammissione, ai sensi dell’art. 173 L.Fall. (nel testo conseguente alle modifiche di cui al D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169), la formale conoscenza, da parte del debitore, dell’esistenza di una iniziativa per la dichiarazione di fallimento e’ idonea ad integrare la “indicazione che il procedimento e’ volto all’accertamento dei presupposti per la dichiarazione di fallimento”, richiesta dall’art. 15, comma 2, L.Fall., quale monito in ordine al possibile esito della procedura e invito ad eventualmente esercitare il diritto di difesa, senza necessita’ di convocare il debitore per interloquire specificamente in ordine alle istanze di fallimento; infatti, dal tenore dell’art. 173, comma 2, L.Fall. emerge che, a conclusione del procedimento di revoca dell’ammissione al concordato preventivo, sussistendone i presupposti processuali e sostanziali, viene emessa la sentenza di fallimento senza ulteriori adempimenti procedurali.

4. Ne’ sussiste alcuna necessita’ di tenere procedimenti distinti, in quanto uno dei presupposti dell’eventuale dichiarazione di fallimento e’ proprio la revoca dell’ammissione al concordato; sussiste complementarieta’ delle questioni trattate e, quindi, piena possibilita’ di difendersi contestualmente su tutte; infine, la stessa allegazione di motivi di censura del decreto di revoca dell’ammissione ben puo’ trovare ingresso nell’ulteriormente unitario procedimento di reclamo avverso la sentenza di fallimento, proponibile ex art. 18 L.Fall. benche’ nell’art. 173 L.Fall. non sia riprodotto il disposto dell’art. 162, comma 3, L.Fall., che prevede tale modalita’ di impugnazione (Cass. 13817/2011). E anche recentemente questa Corte ha statuito che il contraddittorio tra creditore istante e debitore si e’ gia’ instaurato e il debitore e’ gia’ a conoscenza che, in caso di convocazione ex art. 173 L.Fall., l’accertamento del tribunale e, correlativamente, l’ambito della sua difesa attengono ad una fattispecie piu’ complessa di quella della sola revocabilita’ dell’ammissione al concordato, rappresentando la revoca uno dei presupposti per la dichiarazione di fallimento (Cass. 2130/2014).

5. In ogni caso, la comunicazione integrale – in limine del procedimento di revoca ed invero proprio all’udienza – della richiesta del P.M., oltre ad integrare appieno il contraddittorio anche sul tenore specifico della citata iniziativa, fa divenire non necessaria, come correttamente statuito dalla corte d’appello, la stessa reiterazione della notifica del medesimo atto pur ulteriormente (e superfluamente) disposta a favore della societa’, con la conseguenza che, in questa sede e sul punto, diviene assorbita la questione cosi’ come dedotta nel quinto motivo. Ne’, si osserva ancora, la pretesa violazione dell’art. 111 Cost. trova alcuna base nella circostanza dell’affidamento all’unico giudice delegato della istruzione sul riferimento del commissario giudiziale per la revoca dell’ammissione al concordato e sulla richiesta del P.M., essendo proprio la previsione – all’altezza dell’art. 173 L.Fall. – della possibile incidentalita’ della predetta ultima iniziativa nell’unitario procedimento e dunque la coesistenza del possibile duplice accertamento idonee ad escludere qualunque tratto di incompatibilita’ del giudice per un fattore di eventuale prevenzione cognitiva.

La Corte conseguentemente respinge il ricorso, derivandone la condanna al pagamento delle spese del procedimento, secondo le regole della soccombenza e come meglio determinato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimita’ liquidate in Euro 7.200 (di cui Euro 200 per esborsi), nonche’ il rimborso forfettario del 15% sui compensi e gli accessori di legge.