CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 3835 del 26 febbraio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO – PREVIDENZA – INPS – CUMULABILITA’ DELL’ISCRIZIONE ALLA GESTIONE COMMERCIANTI CON QUELLA ALLA GESTIONE SEPARATA – REQUISITI – ABITUALITA’ E PREVALENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello di Bologna ha respinto l’appello proposto dall’INPS avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva accolto l’opposizione di L.C. alla cartella esattoriale con la quale era stato richiesto il pagamento dei contributi non versati alla gestione commercianti dal socio accomandatario della s.a.s. I. per il periodo 1° febbraio 1998/31 ottobre 2000.
La Corte ha premesso che la cumulabilità della iscrizione alla gestione commercianti con quella alla gestione separata presuppone che sussistano i requisiti richiesti per l’iscrizione medesima dalla disciplina generale, sicché è necessario che il socio partecipi al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza. Ha aggiunto che la ricorrenza di detto presupposto deve essere provata dall’istituto previdenziale che, nella specie, si era limitato a fare leva sulla percezione di redditi derivanti dalla qualità di accomandatario. Infine ha evidenziato che le prove assunte in grado di appello avevano consentito di escludere il diretto coinvolgimento del C. nella attività aziendale.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’INPS sulla base di un unico motivo. L.C. ha resistito con tempestivo controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 – Con unico articolato motivo di ricorso l’INPS denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 202, 203 e 208 della legge 662/96 (art. 360, n. 3 c.p.c.)” e rileva sostanzialmente che i requisiti richiesti dalla legge per la iscrizione alla gestione commercianti sussistono necessariamente per il socio accomandatario, in quanto illimitatamente responsabile e unico soggetto abilitato a compiere atti in nome della società. Aggiunge che il giudizio di prevalenza richiesto dalla legge n. 662/1996 è di natura endogena, ossia deve essere compiuto solo in relazione alle vicende interne della società, senza che assumano alcun rilievo altre ed ulteriori attività espletate dal socio al di fuori della attività sociale.
2 – Il motivo è infondato.
Occorre premettere che nel presente giudizio non viene in rilievo la questione della unificazione della posizione previdenziale, in relazione alla quale i principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 3240 del 2010, sono stati superati dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 12, comma 11, d.l. n. 78/2010 e dal successivo intervento delle stesse Sezioni Unite che, con la sentenza n. 17076 del 2011, conformemente a quanto poi ritenuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 15/2012, hanno escluso qualsiasi violazione della Carta Costituzionale e dell’art. 6 CEDU.
Si discute, invece, dei requisiti che devono ricorrere affinché sorga l’obbligo di iscrizione alla gestione assicurativa per gli esercenti attività commerciale, e, quindi, di una questione logicamente antecedente rispetto a quella della duplicità della contribuzione.
Questa Corte al riguardo ha già affermato che, se alla luce della norma interpretativa non opera il criterio della attività prevalente, sicché vale l’obbligo di iscrizione e contribuzione sia alla gestione commercianti che a quella separata, tuttavia, proprio per la autonomia delle posizioni, è necessario che per ciascuna di esse ricorrano le condizioni richieste dalla legge, cioè che si realizzi una “coesistenza” di attività riconducibili, rispettivamente, al commercio e all’amministrazione societaria (Cass. 1.7. 2015 n. 13446 e Cass. 5.3.2013 n. 5444).
3 – Secondo l’assunto dell’istituto previdenziale per il socio accomandatario della s.a.s. l’obbligo della iscrizione alla gestione commercianti dovrebbe sorgere automaticamente, in ragione della posizione rivestita all’interno della società, essendo l’accomandatario l’unico soggetto abilitato a compiere atti in nome della s.a.s..
L’affermazione non è condivisibile.
La legge 27 novembre 1960 n. 1397, con la quale è stata istituita l’assicurazione obbligatoria contro le malattie per gli esercenti attività commerciale (ai quali è stata poi estesa dalla legge 22 luglio 1966 n. 613 l’assicurazione obbligatoria per l’invalidità e la vecchiaia), prevedeva l’obbligo dell’iscrizione per gli esercenti di piccole imprese commerciali per i quali ricorressero le seguenti condizioni: “a) siano titolari o conduttori in proprio di imprese organizzate prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado e sempreché l’imponibile annuo di ricchezza mobile relativo alla attività della impresa commerciale non superi i tre milioni di lire; b) abbiano la piena responsabilità della azienda ed assumano tutti gli oneri e i rischi inerenti alla sua direzione e alla sua gestione; c) partecipino personalmente e materialmente al lavoro aziendale con carattere di continuità; d) siano muniti, limitatamente per gli esercenti di piccole imprese commerciali, della licenza prevista per l’esercizio della loro attività dalle seguenti disposizioni di legge…”.
L’art. 2 della legge stabiliva che “Qualora la piccola impresa commerciale sia costituita in forma di società in nome collettivo, per titolari di impresa si intendono tutti i soci che rivestono singolarmente i requisiti richiesti dall’articolo 1, lettere a), b), c) e d). Le norme di cui alla presente legge non si applicano alle imprese che abbiano personalità giuridica”.
L’art. 1 è stato oggetto di successivi interventi modificativi (art. 1 della legge n. 1088/1971; art. 29 della legge n. 160/1975) attraverso i quali l’obbligo dell’iscrizione è stato esteso ai familiari coadiutori preposti al punto vendita ed è stato affermato a prescindere dall’ammontare del volume di affari dell’impresa commerciale. Quanto al requisito di cui alla lett. c) la partecipazione personale e materiale al lavoro aziendale con carattere di continuità, è stato sostituita dalla partecipazione personale “con carattere di abitualità e prevalenza”.
Con l’art. 1, comma 203, della legge 23 dicembre 1996 n. 662 il legislatore è nuovamente intervenuto a disciplinare la materia e, sostanzialmente, ha esteso l’obbligo dell’iscrizione anche ai soci delle società a responsabilità limitata, per i quali è stata esclusa la necessità del requisito di cui alla lettera b), ossia la diretta assunzione degli oneri ed i rischi relativi alla gestione della attività.
Anche l’art. 2 della legge n. 1397/1960, che estendeva l’obbligo della iscrizione ai soci delle s.n.c. solo in presenza di tutti i requisiti indicati dall’art. 1, è stato abrogato e sostituito dall’art. 3 della legge 28 febbraio 1986 n. 45, tuttora vigente, del seguente tenore: “Le disposizioni sull’iscrizione all’assicurazione contro le malattie contenute nell’articolo 1 della legge 27 novembre 1960, n. 1397, come sostituito dall’articolo 29 della legge 3 giugno 1975, n. 160, si applicano anche ai soci di società in nome collettivo o in accomandita semplice le quali esercitino le attività previste da tale articolo nel rispetto delle norme ad esse relative e gestiscano imprese organizzate prevalentemente con il lavoro dei soci e degli eventuali familiari coadiutori di cui all’articolo 2 della legge 22 luglio 1966, n. 613. I soci devono possedere i requisiti di cui alle lettere b) e c) del primo comma del citato articolo 1 della legge 27 novembre 1960, n. 1397, e per essi non sono richiesti l’iscrizione al registro di cui alla legge 11 giugno 1971, n. 426, e il possesso delle autorizzazioni o licenze che siano prescritte per l’esercizio dell’attività”.
Perché, quindi, sorga l’obbligo della iscrizione per i singoli soci non è sufficiente il requisito di cui alla lettera b), ossia la responsabilità illimitata per gli oneri ed i rischi della gestione, ma è comunque richiesta anche l’ulteriore condizione di cui alla lettera c) ed è quindi necessaria la partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza.
La disposizione in commento, inoltre, non differenzia in alcun modo l’accomandatario dal socio della s.n.c. e detta equiparazione risulta senz’altro coerente con la disciplina codicistica, atteso che, a norma dell’art. 2318 c.c., “i soci accomandatari hanno i diritti e gli obblighi dei soci della società in nome collettivo”.
Ne discende che, così come nelle società in nome collettivo non è sufficiente a far sorgere l’obbligo di iscrizione il regime della responsabilità illimitata del socio, parimenti nella società in accomandita semplice l’accomandatario sarà tenuto all’iscrizione solo qualora partecipi direttamente al lavoro aziendale e detta partecipazione sia abituale e prevalente.
Non si può sostenere che il requisito di cui alla lettera c) debba necessariamente discendere dalla qualità di accomandatario, poiché, rispetto alle previsioni della legge n. 1397/1960, così come successivamente integrata e modificata, vanno tenuti distinti i due piani del funzionamento della società, con i connessi poteri di amministrazione, e della gestione della attività commerciale, che ben può essere affidata a terzi estranei alla compagine sociale o ad altri soci che non siano anche amministratori della società.
In altri termini, quanto ai requisiti che devono ricorrere per l’iscrizione alla gestione commercianti, è ancora attuale quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 3240 del 12.2.2010 nella quale è stato evidenziato che “detta assicurazione è posta a protezione, fin dalla sua iniziale introduzione, non già dell’elemento imprenditoriale del lavoratore autonomo, sia esso commerciante, coltivatore diretto o artigiano, ma per il fatto che tutti costoro sono accomunati ai lavoratori dipendenti dall’espletamento di attività lavorativa abituale, nel suo momento esecutivo, connotandosi detto impegno personale come elemento prevalente (rispetto agli altri fattori produttivi) all’interno dell’impresa.”
Va, poi, escluso che il principio qui affermato si ponga in contrasto con il precedente di questa Corte citato nel ricorso giacché, sebbene nella ordinanza n. 845/2010 (e nella successiva sentenza n. 2138/2014 pronunciata fra le stesse parti in relazione ad altro periodo contributivo) si sostenga che “il socio accomandatario di una società in accomandita semplice di intermediazione immobiliare, in quanto unico soggetto abilitato a compire atti in nome della società, deve ritenersi esercitare attività commerciale in modo abituale e prevalente”, tuttavia detto principio risulta affermato in una fattispecie nella quale era stato accertato dal giudice di merito che l’attività commerciale non poteva che essere svolta dal socio accomandatario, tenuto conto delle caratteristiche della stessa ed essendo la società medesima priva di dipendenti.
Quanto, poi, alla recente sentenza di questa Corte n. 20695/2015, citata nel corso della discussione orale, osserva il Collegio che la motivazione della stessa è tutta incentrata sulla diversa questione della duplicità della iscrizione, in una fattispecie nella quale, si legge in motivazione, non era controversa la partecipazione personale del socio accomandatario al lavoro aziendale.
Nel caso di specie, al contrario, la Corte di appello, con accertamento di fatto non censurabile in questa sede, ha escluso che fosse stato provato il coinvolgimento diretto nel lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza, sia perché l’INPS aveva fatto leva solo sulla qualità di accomandatario e sulla percezione di utili di impresa, sia perché i testi, escussi su richiesta dell’appellato, avevano confermato le allegazioni del ricorso in opposizione.
La sentenza non merita, quindi, alcuna censura perché conforme al principio di diritto che il Collegio ritiene di dovere enunciare nei seguenti termini: ” ai sensi dell’art. 1, comma 203, L. n. 662/1996, che ha modificato l’art. 29 L. n. 160/1975, e dell’art. 3 L. n. 45/1986, nelle società in accomandita semplice la qualità di socio accomandatario non è sufficiente a far sorgere l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali, essendo necessaria anche la partecipazione personale al lavoro aziendale, con carattere di abitualità e prevalenza, la cui ricorrenza deve essere provata dall’istituto assicuratore”.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno poste a carico dell’INPS come da dispositivo.
P.Q.M.
Respinge il ricorso. Condanna l’INPS al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 100,00 per esborsi ed € 1.500,00 per competenze professionali, oltre accessori di legge.
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