CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 3987 del 29 febbraio 2016
FALLIMENTO – ACCERTAMENTO DEL PASSIVO – FORMAZIONE DELLO STATO PASSIVO – DECRETO INGIUNTIVO – EFFICACIA DI GIUDICATO SOSTANZIALE ED IDONEITÀ A COSTITUIRE TITOLO PER L’AMMISSIONE AL PASSIVO – MANCANZA DI OPPOSIZIONE – DECRETO DI ESECUTORIETÀ – NECESSITÀ – OPPOSIZIONE – ESTINZIONE DEL GIUDIZIO E DECORSO DEL TERMINE PER IL RECLAMO – SUFFICIENZA
FATTO E DIRITTO
La Corte, rilevato che sul ricorso n. 18966/2014 proposto da B. E.P. (associazione professionale) nei confronti del Fallimento Magic S.p.A. il consigliere relatore ha depositato ex art. 380 bis c.p.c. la relazione che segue.
“Il relatore Cons. Ragonesi, letti gli atti depositati, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. osserva quanto segue.
Lo studio professionale B.E.P. – Studio Legale Associazione professionale proponeva opposizione ex art. 98 l.f. contro la mancata ammissione al passivo del Fallimento Magic S.p.A. del credito di 1.950.000,00 in via privilegiata oltre iva e cpa per compensi professionali.
Il Tribunale di Parma accoglieva parzialmente l’opposizione ed ammetteva il credito di 1.950.000,00 Euro al passivo fallimentare in via chirografaria.
Avverso detto provvedimento lo Studio legale ha proposto ricorso per cassazione con due motivi.
Il Fallimento si e’ difeso con controricorso ed ha proposto, a sua volta, un ricorso incidentale con due motivi.
Con il primo motivo di ricorso lo Studio Legale lamenta l’omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio, consistente nella avvenuta cessione del credito dei singoli Avvocati all’Associazione professionale. Secondo la ricorrente, in virtu’ della asserita cessione, il credito doveva essere ammesso al passivo fallimentare in via privilegiata sulla base di quanto prescritto nell’art. 2751 bis c.c. ed enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha affermato che la proposizione della domanda per ottenere l’ammissione al passivo fallimentare da parte di uno studio associato lascia presumere l’esclusione della personalita’ del rapporto d’opera professionale e, dunque, l’inesistenza dei presupposti per il riconoscimento del privilegio di cui all’art. 2751 bis c.c., n. 2, salva l’allegazione e la prova della cessione del credito della prestazione professionale svolta personalmente dal singolo associato (Cass. 18455/2011).
Nel caso di specie, il giudice di merito ha preso in considerazione la questione relativa alla cessione del credito da parte dei singoli professionisti, escludendo la sussistenza della stessa a causa dell’incertezza della prova fornita.
Nella motivazione del provvedimento impugnato si legge infatti che “la prova offerta dall’opponente quanto alla cessione dei crediti da parte dei singoli associati e’ incerta. Infatti: istanza per la liquidazione degli onorari al Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Milano e’ stata proposta dallo Studio. (…) La relazione descrive le caratteristiche tipiche del modello di studio adottato dall’opponente e dalla stessa si puo’ evincere che il lavoro e’ effettuato da un team di esperti e con il contributo di professionisti di piu’ dipartimenti. (…) L’elevato importo delle parcelle conferma che l’attivita’ prestata dallo Studio va a compensare oltre all’attivita’ del singolo professionista, anche l’organizzazione dello Studio che garantisce al cliente un’assistenza altamente specializzata. Va inoltre evidenziato che nel ricorso per decreto ingiuntivo si richiama l’avvenuta cessione dei crediti dello Studio da parte degli avvocati indicati nominativamente nel ricorso, ma nello stesso le prestazioni di cui si richiede il pagamento risultano genericamente riconducibili anche ad altri collaboratori di Studio per cui non e’ chiaramente evincibile quali crediti siano stati oggetto di cessione”.
Il Giudice di merito non ha, dunque, omesso di esaminare il fatto storico integrante la cessione del credito ma ha semplicemente riconosciuto alle prove fornite un valore differente rispetto alle aspettative del ricorrente.
Va, peraltro, rammentato che l’omesso esame di elementi istruttori – che e’ cio’ che il ricorrente sembra realmente contestare – non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (SU 8053/2014).
Alla luce di quanto detto il primo motivo appare infondato, non essendo stato omesso l’esame del fatto storico relativo alla cessione.
Con il secondo motivo si contesta la violazione dell’art. 2232 c.c. e art. 2751 bis c.c., n. 2 proprio a causa del mancato riconoscimento della natura privilegiata del credito ammesso al passivo.
Va osservato che la decisione impugnata non viola le norme indicate dal ricorrente, dal momento che il giudice di merito non ha riconosciuto l’ammissione privilegiata del credito attenendosi alle risultanze di causa e, conformemente a quanto affermato dalla gia’ richiamata giurisprudenza di questa Corte, ha escluso la natura privilegiata del credito vantato da uno studio associato.
Pertanto, il ricorso principale non appare meritevole di accoglimento. Passando all’esame dei motivi del ricorso incidentale si osserva che con il primo motivo il Fallimento lamenta la violazione dell’art. 45 l.f. e artt. 324, 641, 645, 647 e 653 c.p.c. e art. 2909 c.c., sostenendo che il decreto ingiuntivo, che ha accertato con efficacia di giudicato il credito dello Studio Legale, non fosse opponibile al fallimento in quanto non era munito di esecutorieta’ ex art. 647 c.p.c..
Come risulta dal provvedimento impugnato, nel caso in esame si e’ in presenza di un decreto ingiuntivo passato in giudicato a seguito dell’estinzione della causa di opposizione al decreto stesso.
Va rammentato l’orientamento di questa Corte, secondo la quale dal coordinato disposto dell’art. 653 cod. proc. civ. (a norma della quale l’estinzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo produce o un effetto conservativo dell’efficacia esecutiva gia’ concessa al decreto stesso, o un effetto acquisitivo di tale efficacia ad un decreto che non era gia’ munito) e art. 308 c.p.c. (a norma del quale contro l’ordinanza dichiarativa dell’estinzione del giudizio, comunicata alle parti a cura del cancelliere, e’ ammesso reclamo), si ricava che la dichiarazione di estinzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo produce l’effetto di conferire efficacia esecutiva al decreto ingiuntivo opposto dopo che sono scaduti i termini per proporre reclamo avverso l’ordinanza di estinzione (Cass. 10800/1996; Cass. 3387/01).
E’ chiaro, dunque, che al caso in questione debba essere applicato quanto previsto dall’art. 653 c.p. c. che, a differenza dell’art. 647 c.p.c. (la quale norma richiede, ai fini dell’opponibilita’ del decreto ingiuntivo al fallimento, l’apposizione della formula esecutiva da parte del giudice), riconosce l’automatica esecutivita’ del decreto ingiuntivo a seguito dell’estinzione del giudizio di opposizione proposto ai sensi dell’art. 645 c.p.c..
Le differenti discipline conseguono alla diversa ratio sottesa alle due norme richiamate. L’art. 647 c.p.c. richiede che sia il giudice a dichiarare con un provvedimento espresso l’esecutivita’ del decreto, poiche’ nei casi di mancata opposizione al decreto o mancata costituzione dell’opponente il giudice ha il potere-dovere di controllare e garantire la regolarita’ del procedimento (ad es. accertare la regolarita’ della notifica) al fine di tutelare i diritti del destinatario del provvedimento monitorio; tale esigenza, invece, non sussiste nel caso in cui l’opposizione sia stata proposta e, dunque, l’opponente sia stato messo in condizione di difendersi avverso il provvedimento sommario, come avviene nei casi di cui all’art. 353 c.p.c..
Nella fattispecie, l’estinzione si e’ verificata il 17.7.12, mentre la dichiarazione di fallimento e’ intervenuta in data 29.8.12, quindi ben oltre il termine di 10 giorni per proporre reclamo della cui avvenuta proposizione nessuna delle parti fa cenno. Ne consegue che al momento della dichiarazione di fallimento il decreto ingiuntivo era pienamente esecutivo ed opponibile alla procedura concorsuale.
Peraltro, il documento prodotto in sede di opposizione, che secondo il Fallimento sarebbe una certificazione “tardiva”, e’ un atto della cancelleria del Tribunale di Milano dal quale risulta che il giudizio si era estinto in epoca precedente e, dunque, la data di emissione dell’atto stesso non ha alcuna rilevanza ai fini della formazione della cosa giudicata formale e sostanziale.
Pertanto, il primo motivo del ricorso incidentale appare infondato.
Con il secondo articolato motivo, il controricorrente lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c., art. 99, comma 2, n. 4, l.f., artt. 115 e 116 c.p.c. nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Contesta in particolare il Fallimento la valenza probatoria della lettera del 13.1.2012, con cui la Magic riconosceva il proprio debito nei confronti dello Studio Legale, e di altra documentazione allegata dall’associazione professionale.
Va, pero’, rammentato che il provvedimento impugnato ha motivato l’ammissione del credito al passivo fallimentare con due diverse rationes decidendi: sulla base dell’atto di riconoscimento di debito effettuato dalla Magic stessa (avente data certa perche’ richiamato nella transazione non novativa del 16-1-12 intervenuta tra le parti), da una parte e sul giudicato monitorio formatosi in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento, dall’altra.
Il rigetto del primo motivo di ricorso incidentale su tale seconda ratio decidendi rende assorbito il secondo motivo in esame.
Infatti, anche laddove tale motivo fosse accolto, il provvedimento impugnato non verrebbe annullato perche’ la contestazione mossa non scalfirebbe la correttezza della prima ratio decidendi, fondata sul decreto monitorio che aveva accertato il credito successivamente ammesso al passivo.
Pertanto, anche il ricorso incidentale non appare meritevole di accoglimento.
Ricorrono i requisiti di cui all’art. 375 c.p.c. per la trattazione in camera di consiglio.
P.Q.M.
Rimette il processo al Presidente della sezione per la trattazione in Camera di Consiglio.
Roma 13.7.15.
Il Consigliere”.
Considerato che non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra e che pertanto sia il ricorso principale che quello incidentale vanno rigettati. La soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e quello incidentale; compensa le spese di giudizio; sussistono le condizioni per l’applicazione del doppio del contributo D.Lgs. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater a carico di ciascuna delle parti ricorrenti.
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