CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 404 del 13 gennaio 2016

TRIBUTI – ACCERTAMENTO INDUTTIVO – RICOSTRUZIONE BASE IMPONIBILE – DATI PRESUNTI ESTRAPOLATI CON MERO CALCOLO MATEMATICO-STATISTICO – DIVERSITA’ DEGLI AMBITI MERCEOLOGICI E TERRITORIALI DI RIFERIMENTO RISPETTO A QUELLI IN CUI OPERA IL CONTRIBUENTE – INTEGRALE ANNULLAMENTO DELL’ATTO IMPOSITIVO

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del primo agosto 2011 la commissione tributaria di secondo grado di Trento conferma l’annullamento dell’avviso di accertamento emesso per l’anno d’imposta 2003 laddove opera per via induttiva maggiore imposizione diretta e sul valore aggiunto relativamente alla fallita società S.. Il giudice d’appello, premesso che l’accertamento induttivo è consentito per la mancanza di libri contabili, osserva che la percentuale media di ricarico applicata dall’ufficio non trova alcun riscontro nell’attività effettivamente svolta di “fabbricazione di bagni prefabbricati” laddove risultano applicati valori medi riguardanti il diverso e non pertinente settore della “fabbricazione di stoviglie, pentole, vasellame, attrezzi da cucina e accessori casalinghi, articoli metallici per l’arredamento delle stanze da bagno”, per di più riferito ad ambiti territoriali diversi dal Trentino quali il Veneto e la Lombardia.

2. Con l’unico motivo di ricorso, denunciando ex art. 360 n.4 cod. proc. civ. la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., l’Agenzia delle entrate chiede l’annullamento della sentenza d’appello laddove, una volta reputata non congrua la stima erariale dei maggiori ricavi aziendali, omette di individuare una diversa metodologia ricostruttiva, più aderente alla realtà imprenditoriale della contribuente, e di compiere, eventualmente attraverso il ricorso ai poteri istruttori di cui all’art. 7 co.2 proc. trib., la conseguente e doverosa valutazione estimativa giudiziale.

3. La curatela fallimentare della società resiste con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va disatteso. Esso non coglie nel segno perché, nella specie, non si tratta di completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto. La C.t.r., infatti, conferma esplicitamente la sentenza della C.t.p. e, dunque, l’integrale annullamento dell’atto impositivo, già disposto dal primo giudice laddove ha censurato la ricostruzione erariale della base imponibile effettuata sulla scorta di un dato presuntivamente estrapolato con mero calcolo matematico-statistico. Il giudice d’appello approfondisce il rilievo osservando che il dato non è neppure conferente stante la diversità degli ambiti merceologici e territoriali di riferimento.

2. In altre parole, il provvedimento di merito formalmente esiste, quello che potrebbe essere viziato sarebbe, semmai, il procedimento logico che ha portato all’annullamento dell’intera ripresa fiscale in presenza di eventuali indicatori di una sua parziale e limitata fondatezza. Il che costituirebbe, però, un vizio di motivazione mancando, se del caso, una sufficiente e non contraddittoria correlazione logica tra il materiale probatorio e la decisione di merito. Ciò non è suscettibile di ricorso di legittimità ex art. 360 n.4 cod. proc. civ. per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., ma solo secondo i parametri del n. 5 dell’art. 360 sub specie di errore della giustificazione della decisione di merito sul fatto (conf. Sez. 5, decisione del 16/11/2015, in causa n. 2010/16269).

3. Peraltro, anche a voler riqualificare in tale ultimo senso il mezzo d’impugnazione, la ricorrente avrebbe dovuto indicare i fatti principali e/o secondari, controversi e decisivi, ma trascurati dal giudice di merito, e fornire elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, potendo essi rilevare solo come fatto principale ex art. 2697 cod. civ. (costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche fatto secondario (dedotto in funzione di prova determinante di una circostanza principale) ossia attinente a precisi accadimenti e circostanze in senso storico-naturalistico. Invece, nulla di quanto necessario è leggibile nel ricorso.

4. Nè vale invocare il secondo comma dell’art. 7 proc. trib. laddove consente al giudice di merito di chiedere relazioni ad organi tecnici dell’amministrazione dello Stato o ad altri enti pubblici, compresa la Guardia di finanza, ovvero di disporre consulenza tecnica “quando occorre acquisire elemento conoscitivi di particolare complessità”. La consulenza tecnica e le altre indagini delegabili d’ufficio hanno la finalità di coadiuvare il giudice tributario nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che i suddetti mezzi non possono essere utilizzati al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è quindi legittimo non farvi ricorso se si tenda con essi a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere un’indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati. In sintesi nel contenzioso tributario, la possibile acquisizione d’ufficio di mezzi di prova, è norma eccezionale, la quale preclude al giudice di sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori in un processo a connotato tendenzialmente dispositivo. Facendo applicazione di tale principio, va negato che costituisca tanto error in procedendo, quanto vizio motivazionale, l’omesso ricorso a consulenze o indagini tecniche d’ufficio ai fini della determinazione estimativa, non essendo tale potere esercitabile in funzione di ricerca di dati che dovevano essere previamente allegati dalla parte interessata. (Sez. 5, Sentenza n. 18976 del 10/09/2007, Rv. 601261). E’ vero che è possibile assegnare alla consulenza tecnica d’ufficio e a similari indagini ufficiose una funzione “percipiente”, ma è necessario essa verta su elementi almeno già allegati dalla parte e che soltanto un tecnico sia in grado di accertare in concreto, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone (Sez. 2, Sentenza n. 1190 del 22/01/2015, Rv. 633974).

5. E’ vero che, siccome il processo tributario non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, il giudice di merito, ove ravvisi la parziale infondatezza della pretesa fiscale, non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo e deve quantificare la corretta pretesa dell’amministrazione; ma ciò deve fare sempre nei limiti tracciati dalle parti (Sez. 5, Sentenza n. 25317 del 28/11/2014, Rv. 633789), ovverosia in base al principio “ludex iuxta alligata et probata iudicare debet” di cui è espressione l’art. 115 cod. proc. civ. non derogato affatto dal secondo comma dell’art. 7 proc. trib..

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 6800 per compensi e in € 200 per borsuali oltre agli oneri di legge