CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 4058 del 26 aprile 2016
PREVIDENZA E ASSISTENZA – PARI OPPORTUNITA’ – PUBBLICO IMPIEGO – RIFORMA CD. “FORNERO” – INTERPRETAZIONE – COLLOCAMENTO A RIPOSO DELLA LAVORATRICE – ILLEGITTIMITA’ – ETA’ PENSIONABILE – EFFETTIVA PARITA’ CON I LAVORATORI UOMINI – SUSSISTE
FATTO E DIRITTO
Con ricorso ritualmente notificato la ricorrente F.F. conveniva in giudizio il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti al fine di fare accertare e dichiarare l’illegittimità del suo collocamento a riposo a decorrere dal 1/3/2015 e il suo diritto ad essere collocata in pensione di vecchiaia al compimento di 66 anni e 7 mesi di età e cioè a decorrere dal 1/10/2016 con conseguente condanna del ministero convenuto alla riassunzione servizio della ricorrente al riconoscimento delle differenze retributive a decorrere dal 1/3/2015.
Premesso di essere stata dipendente dell’amministrazione convenuta (già Ministero dei Trasporti) con qualifica, da ultimo, di Assistente amministrativo (Area II – F5) lamentava l’illegittimità del suo collocamento a riposo per sopraggiunti limiti di età a far data dal 1/3/2015 ovvero al compimento del 65° anno di età in violazione di quanto disposto dall’art. 24 del d.l. 201/2011 conv. in l. 214/2011 (cd. riforma Fornero) ove fissava l’età per la pensione di vecchiaia al compimento di 66 anni e 7 mesi di età.
Lamentava in particolare la ricorrente, l’illegittimità e l’erroneità dell’applicazione da parte dell’amministrazione della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 2, comma 4, del d.l. n. 101/2013 conv., in l. 125/2013 (nella parte in cui interpretava il menzionato art. 24, comma 3, nel senso che il conseguimento da parte di un qualsiasi diritto a pensione entro il 31/12/2011 avrebbe comportato obbligatoriamente l’applicazione del regime di accesso alla pensione previgente) per violazione del principio di non discriminazione tra uomo e donna stabilito dall’ordinamento comunitario.
Si costituiva in giudizio il Ministero convenuto contestando nel merito la fondatezza del ricorso e chiedendone conseguentemente il rigetto.
Precedentemente all’instaurazione del presente giudizio di merito la ricorrente aveva esperito presso questo Tribunale azione cautelare ex art. 700 c.p.c. al fine di far valere il suo preteso diritto al mantenimento in servizio sino al 1/10/2016, domanda che però era stata respinta, anche in sede di reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c., per difetto del fumus boni iuris e del periculum in mora.
All’odierna udienza la causa, previo deposito di note autorizzate, viene decisa come da dispositivo in calce.
La ricorrente, pacificamente dipendente dell’amministrazione convenuta (nata il …), con qualifica di assistente amministrativa (Area II – F5) rivendica il suo diritto a rimanere in servizio sino ad un’età di 66 anni e 7 mesi e cioè sino al 1/10/2016 in conformità ai nuovi requisiti anagrafici previsti a decorrere dal 1.1.2012 dall’art. 24 del d.l. 201/2011 conv. in l. 214/2011 (c.d. Riforma Fornero).
Lamenta l’illegittimità del suo collocamento a riposo effettuato dall’amministrazione (con d.m. 10/10/2014, all. n. 3 del ricorso) a decorrere dal 1/3/2015, primo giorno del mese successivo al compimento da parte della ricorrente del 65° anno di età, in applicazione di quanto previsto dal primo periodo dell’art. 24, comma 3, del d.l. 201/2011 (oggetto di interpretazione autentica da parte del legislatore con l’art. 2, comma 4, del d.l. n. 101/2013 conv. in l. 125/2013) ove prevedeva espressamente, in materia pensionistica, il mantenimento del previgente regime in ordine ai requisiti di età e anzianità contributiva per quei lavoratori che avessero maturato il diritto a pensione entro il 31/12/2011.
Lamenta in proposito, in particolare, la violazione dei principi comunitari di non discriminazione in materia di età pensionistica tra uomo e donna.
È opportuno innanzitutto premettere il contenuto delle disposizioni normative rilevanti ai fini della presente decisione.
L’art. 24 del d.l. n. 201/2011 conv. nella l. n. 214/2011 (c.d. riforma Fornero) nel disporre, a decorrere dal 1/1/2012, una nuova e più restrittiva regolamentazione per il conseguimento delle prestazioni pensionistiche (tra cui un generale innalzamento dell’età pensionabile) stabiliva, al primo periodo del comma 3 di tale articolo, che “Il lavoratore che maturi entro il 31 dicembre 2011 i requisiti di età e di anzianità contributiva, previsti dalla normativa vigente, prima della data di entrata in vigore del presente decreto, ai fini del diritto all’accesso e alla decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia o di anzianità, consegue il diritto alla prestazione pensionistica secondo tale normativa”.
Tale norma è stata interpretata autenticamente dal legislatore con l’art. 2 del d.l. n. 101/2013 stabilendo che la stessa “si interpreta nel senso che il conseguimento da parte di un lavoratore dipendente delle pubbliche amministrazioni di un qualsiasi diritto a pensione entro il 31 dicembre 2011 comporta obbligatoriamente l’applicazione del regime di accesso e delle decorrenze previgente rispetto all’entrata in vigore del predetto articolo 24”.
Ne consegue, alla stregua di tale normativa, che il conseguimento qualsiasi diritto a pensione entro la data del 31/12/2011 comporta obbligatoriamente per l’amministrazione datrice il collocamento a riposo del dipendente che ha raggiunto il limite ordinamentale di età all’epoca vigente per il collocamento a riposo, limite non modificato dalla elevazione dei requisiti anagrafici prevista a decorrere dal 1/1/2012 (così dispone, espressamente l’art. 2, comma 5, del d.l. n. 101/2013 nell’interpretare autenticamente il disposto dell’art. 24, comma 4, secondo periodo del d.l. n. 201/2011).
Nel presente caso di specie la ricorrente non ha esercitato il diritto, attribuitole dalla normativa vigente pro tempore in quanto donna dipendente della pubblica amministrazione (art. 2, comma 21, l. n. 335/1995 e successive modifiche), di accedere alla pensione di vecchiaia all’età di 61 anni (e quindi alla data del 1.3.2011), usufruendo invece (evidentemente in base ad una sua scelta volontaria) della possibilità di posticipare il collocamento a riposo, in base a quanto previsto per i dipendenti di sesso maschile, al 1/3/2015 e cioè al primo giorno del mese successivo al compimento del 65° anno di età.
Ciò evidentemente in ottemperanza a quanto disposto dall’art. 30 del d.lgs. n. 198 del 11/4/2006 (c.d. Codice delle pari opportunità) nel testo introdotto dal D.lgs. 5/2010 (decreto quest’ultimo emanato in attuazione della direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego) il quale dispone che: “Le lavoratrici in possesso dei requisiti per aver diritto alla pensione di vecchiaia hanno diritto di proseguire il rapporto di lavoro fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali”.
Alla stregua di tali premesse ritiene il Tribunale che il ricorso, all’esito del presente giudizio cognizione piena, debba reputarsi fondato.
Si ritiene infatti che la clausola di salvaguardia del regime pensionistico previgente prevista dall’art. 24, comma 3 periodo, del d.l. n. 201/2011 conv. nella l. n. 214/2011 non possa ritenersi applicabile alla ricorrente.
Quest’ultima infatti, a seguito dell’esercizio del diritto ex art. 30 del d.lgs. n. 198 del 11/4/2006 di usufruire dei limiti di età pensionabile prevista per i dipendenti di sesso maschile aveva, in concreto, alla data dell’entrata in vigore della c.d. Riforma Fornero, maturato il diritto al collocamento a riposo solo a decorrere dal 1.3.2015 (al compimento del 65° anno di età) rimanendo la possibilità di usufruire del pensionamento al 61° anno di età una mera facoltà in concreto non esercitata dalla ricorrente.
Ritiene infatti il Tribunale che il requisito della maturazione dei requisiti di età e di anzianità contributiva (art. 24, comma 3, del d.l. n. 201/2011) o del conseguimento “di un qualsiasi diritto a pensione” (art. 2, comma 4, del d.l. n. 201/2013) non possa essere considerato in via astratta od ipotetica ma debba essere parametrato in base al conseguimento concreto di tale diritto anche in ragione delle scelte legittimamente esercitate dal soggetto interessato prima dell’entrata in vigore della normativa menzionata.
L’applicabilità del regime transitorio invocato dall’amministrazione convenuta deve essere quindi valutata in ragione della situazione della ricorrente così come in essere alla data di entrata in vigore del d.l. 201/2011 (avvenuta quest’ultima il 7/12/2011, giorno successivo la pubblicazione del decreto-legge nella Gazzetta Ufficiale e quindi in data anteriore all’esercizio dell’opzione da parte della ricorrente di trattenersi in servizio sino al 65° anno di età) alla cui stregua la stessa aveva sin da tale data già maturato il suo diritto al pensionamento al 1/3/2015 (e cioè al compimento del 65° anno di età) e quindi successivamente alla data del 31/12/2011 individuata da tale normativa.
Osserva il Tribunale, a tale proposito, che tale interpretazione della normativa menzionata (la quale subordina la possibilità di applicare la suddetta clausola di salvaguardia in ragione alle scelte precedentemente effettuate della lavoratrice donna in ordine all’usufruire degli stessi limiti di età previsti, in materia pensionistica, dalla normativa vigente per gli uomini) risulta non solo maggiormente coerente da un punto di vista sistematico (ben difficilmente l’interpretazione propugnata dall’amministrazione potrebbe essere considerata coerente con il menzionato disposto dell’art. 30 del d.lgs. n. 198/2006) ma anche conforme ai principi costituzionali (in particolare al principio di parità sostanziale sancito dall’articolo 3, comma 2, e, con specifico riferimento alla donna lavoratrice, dall’art. 37 Cost.) e comunitari in materia di parità di trattamento tra uomini e donne (art. 157 TFUE, art. 141 CE, direttiva 2006/54/CE, sentenza CGE 13/11/2008 – causa C46/07).
In particolare la CGE con la sentenza del 13/11/2008 (emessa a fronte di procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea), nel valutare la pensione italiana dei pubblici dipendenti (qualificabile come “forma di retribuzione” ex art. 141 CE) aveva in particolare affermato che la fissazione, a fini della concessione di una pensione di un requisito di età variabile in ragione del sesso costituisce una discriminazione in materia di retribuzione in contrasto con l’art. 141 CE.
Nel presente caso di specie ritiene il Tribunale che una interpretazione del combinato disposto degli artt. 24, comma 3, del d.l. n. 201/2011 e 2, comma 4, del d.l. n. 101/2013 che comunque vanifichi la possibilità per la lavoratrice donna di ottenere (contrariamente a quanto previsto dall’art. 30 del d.lgs. n. 198 del 11/4/2006) una effettiva parità in termini di età pensionabile rispetto ai lavoratori uomini non possa che reputarsi contraria ai menzionati principi dell’ordinamento comunitario in materia (si ritiene sul punto di aderire alle considerazioni effettuate dalle pronunce di merito prodotte da parte ricorrente in allegato al ricorso e alle note autorizzate).
Considerare come maturato anteriormente al 31/12/2011, ai soli fini della normativa menzionata, un diritto a pensione in realtà mai esercitato a seguito delle scelte effettuate dalla ricorrente, determinerebbe infatti l’obbligatorio collocamento a riposo di quest’ultima, a parità di requisiti anagrafici e contributivi, in data anteriore al lavoratore di sesso maschile.
In accoglimento del ricorso, risultando incontestata la maturazione a tale data da parte della ricorrente del diritto pensione di vecchiaia in base alla nuova normativa introdotta dalla riforma Fornero (non risultando in particolare contestata l’applicabilità alla ricorrente del nuovo requisito anagrafico di 66 anni e 7 mesi previsto a tale fine, per i pensionamenti a decorrere dal 1.1.2016, per i lavoratori in regime retributivo o misto), dovrà pertanto dichiararsi l’illegittimità del collocamento a riposo della F. ed il suo diritto a rimanere in servizio sino al 1/10/2016 (primo giorno del mese successivo al compimento di 66 anni e 7 mesi di età) con conseguente condanna dell’amministrazione convenuta al ripristino della funzionalità del rapporto di lavoro fino a tale data e al pagamento delle differenze retributive eventualmente maturate (rispetto a quanto percepito in tale periodo a titolo di pensione) a decorrere dal 1/3/2015 (trattasi di condanna necessariamente di contenuto generico alla stregua delle conclusioni contenute in ricorso e in assenza di allegazioni specifiche o prove in ordine alla entità delle retribuzioni non corrisposte).
La regolamentazione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, segue la soccombenza.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione respinta, così provvede:
– dichiara l’illegittimità del collocamento a riposo della ricorrente disposto a decorrere dal 1/3/2015 ed il suo diritto a rimanere in servizio sino al 1/10/2016;
– condanna l’amministrazione convenuta al ripristino della funzionalità del rapporto di lavoro sino al 1/10/2016 e al pagamento delle maggiori retribuzioni maturate a decorrere dal 1/3/2015.
Condanna l’amministrazione convenuta al pagamento delle spese di lite che liquida in complessivi € 3.000 oltre Iva e Cpa come per legge.
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