CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 4075 del 1 marzo 2016
LAVORO – PREVIDENZA – PENSIONE DI INABILITA’ – REVOCA – RIPRISTINO – CONDIZIONI – INVALIDI CIVILI – MUTILATI – REQUISITI – ETA’
Fatto e diritto
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 13 gennaio 2016, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis cod. proc. civ.: “La Corte di appello di Milano, in riforma della decisione di primo grado che aveva respinto la domanda di G. V. intesa al ripristino della pensione di inabilità ex art. 12 della legge n. 118 del 1971 – revocata in esito a visita di revisione – ed al conseguimento della indennità di accompagnamento ex lege n. 18 del 1980, ha dichiarato il diritto di G. V. ad entrambe le prestazioni a decorrere dal 2.7.2009 e condannato l’INPS alla erogazione dei relativi ratei oltre interessi legali. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso G. V. sulla base di due motivi . L’INPS ha resistito con tempestivo controricorso con il quale ha proposto ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.
Con il primo motivo del ricorso principale G. V., deducendo omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, censura la decisione per avere individuato quale data di decorrenza di entrambe le prestazioni il 2.7.2009, anziché quella della visita amministrativa del 19.4.2007. Sostiene, in sintesi, che tale decorrenza non coincide con quella evincibile dalla consulenza di ufficio che aveva descritto la situazione del periziato, di perduta autonomia e di invalidità totale, come già sussistente in epoca anteriore al luglio 2009, avendo precisato che a seguito dell’incidente occorso nell’anno 2001 le difficoltà anatomo – funzionali erano rimaste stabili e immutabili nel tempo. A dimostrazione di tale assunto parte ricorrente riproduce alcuni brani della relazione peritale destinati, in tesi, a dimostrare l’assunto della risalenza nel tempo delle condizioni di invalidità e di non autonomia giustificative delle prestazioni in controversia.
Con il secondo motivo di ricorso principale parte ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione delle leggi n. 18 del 1980, n. 508 del 1988 e n. 118 del 1971, deduce la violazione delle norme di diritto ora richiamate, quale effetto dell’omesso riconoscimento delle situazioni di totale inabilità e di non autonomia, risultanti dalla consulenza di ufficio di secondo grado.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale l’INPS, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 18 del 1980 nel testo modificato dall’art. 1 comma 2 della legge n. 508 del 1988, censura la decisione impugnata per avere, in adesione agli esiti della disposta consulenza di ufficio, ritenute sussistenti le condizioni per la concessione del beneficio pur in difetto dei prescritti presupposti. Sostiene, infatti, che non sussisteva né l’incapacità di attendere in autonomia agli atti quotidiani della vita né l’impossibilità di deambulazione senza l’aiuto permanente di un accompagnatore . A tal fine evidenzia che il periziato, come risultante dalla c.t.u., aveva ammesso di avere svolto, seppur non continuativamente, fino all’anno 2008, attività di autista per un privato e che, ancora nel 2012, era possessore di patente BS speciale, circostanza questa che assume incompatibile con la ritenuta non autonomia. Contesta inoltre la complessiva valutazione dell’ausiliare in merito alle patologie diagnosticate ed in questa prospettiva deduce la eccessiva valorizzazione delle ripercussioni psicologiche conseguenti alla plegia dell’arto superiore sinistro sofferta da oltre dodici anni.
I ricorsi, principale ed incidentale, sono manifestamente infondati. Le censure articolate con il primo motivo di ricorso incidentale che per ragioni di ordine logico- giuridico, deve essere esaminato con priorità, sono inidonee ad inficiare la valutazione della Corte di appello in merito alla sussistenza dei presupposti per la concessione dell’indennità di accompagnamento.
Si premette che secondo il costante insegnamento di questa Corte, nel ricorso per cassazione, la configurazione formale della rubrica del motivo di gravame non ha contenuto vincolante per la qualificazione del vizio denunciato, poiché è solo la esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura, (v. , tra le altre, Cass. n. 11882 del 2013, n. 14026 del 2012, 5848 del 2012, 7981 del 2007, n. 7882 del 2006, n. 3941 del 2002) Nella specie, quantunque il ricorrente incidentale si limiti a denunciare, nella rubrica dei motivi, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto il contenuto delle contestazioni investe in realtà il vizio di motivazione. Oggetto delle censure non è l’applicazione ed interpretazione delle norme di riferimento bensì l’accertamento di fatto operato dal giudice di appello sulla base delle emergenze in atti e le argomentazioni a supporto di tale accertamento. L’articolazione delle censure non è coerente con il disposto dell’art. 360 comma primo n. 5 cod. proc. civ., applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame in ragione della data di pubblicazione — 3 luglio 2013 — della sentenza impugnata . A riguardo le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che “la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”. (Cass. ss.uu. n. 8053 del 2014) In particolare è stato precisato che il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). In conseguenza la parte ricorrente sarà tenuta ad indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni .di cui agli artt. 366, primo comma , n. 6), cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale).
Nel caso di specie il fatto storico avente rilievo decisivo non può essere identificato nello svolgimento dell’attività di autista da parte dell’odierno ricorrente principale, posto che tale attività, per come pacifico, ha interessato un periodo anteriore a quello di riconoscimento del diritto alla prestazione. Parimenti priva di decisività è la titolarità, ancora nell’anno 2012, della patente BS, che non depone per l’attuale (all’epoca della consulenza) svolgimento delle mansioni di autista e potrebbe essere stata conseguita in epoca anteriore a quella dell’aggravamento delle infermità giustificativo dell’indennità di accompagnamento.
Le ulteriori deduzioni svolte ad illustrazione del motivo non individuano nei termini prescritti dalla nuova configurazione del vizio di motivazione, alcun fatto di rilevanza decisiva, oggetto di discussione tra le parti, la cui considerazione è mancata da parte del giudice di appello, ma esprimono, piuttosto, un mero dissenso diagnostico, non attinente a vizi del processo logico- formale, e quindi si traducono, in una inammissibile critica del convincimento del giudice ( v., tra le altre, Cass. n. 4570 del 2013).
Parimenti da respingere è il primo motivo di ricorso principale. Invero parte ricorrente non individua alcuno specifico fatto storico, di rilevanza decisiva, che sarebbe stato omesso dal giudice di appello, nel pervenire alla determinazione dell’epoca di insorgenza del complesso patologico giustificativo della decorrenza delle prestazioni . Tale fatto storico non può essere individuato nel contenuto della consulenza tecnica d’ufficio, espressamente presa in considerazione dal giudice di appello che ha dichiarato di condividerne le conclusioni. Consegue che le censure svolte dal ricorrente, fondate su alcune affermazioni dell’ausiliare di secondo grado riprodotte nel corpo del ricorso per cassazione, non risultano coerenti con la nuova configurazione del vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. e sono pertanto del tutto inidonee ad inficiare la decisione di secondo grado in punto di decorrenza del diritto alla prestazione.
Il rigetto del primo motivo di ricorso principale assorbe l’esame del secondo motivo.
In conclusione, in base alle considerazioni che precedono, previa riunione, entrambi i ricorsi devono essere respinti.
Si chiede che il Presidente voglia fissare la data per l’Adunanza camerale.”
Ritiene questo Collegio che le considerazioni svolte dal Relatore sono del tutto condivisibili siccome coerenti alla ormai consolidata giurisprudenza in materia . Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, comma 1°, n. 5 cod. proc. Civ., per la definizione camerale di entrambi i ricorsi, principale ed incidentale, i quali, previa riunione, in conformità della Relazione devono essere entrambi respinti.
La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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