CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 4120 del 2 marzo 2016
SOCIETÀ DI CAPITALI – SOCIETÀ PER AZIONI – BILANCIO – VIOLAZIONE DEI PRECETTI DI CHIAREZZA E PRECISIONE – ILLICEITÀ DEL BILANCIO E NULLITÀ DELLA DELIBERA DI APPROVAZIONE – CONDIZIONI – IMPOSSIBILITÀ DI DESUMERE DAL BILANCIO E DAI SUOI ALLEGATI L’INTERA GAMMA DI INFORMAZIONI RICHIESTE DALLA LEGGE – SUFFICIENZA
RITENUTO IN FATTO
1. Con atto di citazione notificato il 27 febbraio 2008, la societa’ F.G.H. s.p.a. ed C.A. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Brescia, la societa’ S.A. Eredi G. Metalli s.p.a., chiedendo annullarsi – per invalidita’ derivata da quella relativa alle precedenti Delib. 21 novembre, Delib. 25 novembre 2005 e Delib. 27 novembre 2006, a loro volta adottate in violazione degli artt. 2377 e 2423 cod. civ. e 32 dello statuto sociale – la Delib. in data 29 novembre 2007, nella quale era stato approvato il bilancio al 31 luglio 2007. Con sentenza n. 812/2009 depositata il 6 marzo 2009, il Tribunale adito rigettava la domanda attorea, disattendendo, peraltro, anche la domanda di risarcimento danni ex art. 96 cod. proc. civ., proposta dalla convenuta.
2. Avverso tale decisione proponevano appello la F.G.H. s.p.a. ed C.A., che veniva rigettato nel merito, essendo accolto solo in relazione alla parziale compensazione delle spese del giudizio di primo grado, dalla Corte di Appello di Brescia, con sentenza n. 54/2015, depositata il 15 gennaio 2015, e notificata il 9 febbraio 2015. Con tale pronuncia il giudice di seconde cure riteneva inammissibili ex art. 342 cod. proc. civ. (nel testo applicabile ratione temporis), perche’ del tutto generici, i motivi di appello concernenti la domanda di nullita’ del bilancio al 31 luglio 2007, approvato con l’impugnata Delib. 29 novembre 2007, in relazione alla denunciata mancanza di chiarezza e veridicita’, e disattendeva la censura relativa alla liquidazione delle spese processuali operata dal giudice di primo grado. La medesima pronuncia rigettava, altresi’, l’appello incidentale della S.A. Eredi G. Metalli s.p.a., finalizzato ad ottenere la condanna della F.G.H. s.p.a. al risarcimento dei danni ex art. 96 cod. proc. civ..
3. Per la cassazione della sentenza n. 54/2015 hanno, quindi, proposto ricorso la F.G.H. s.p.a. ed C.A. nei confronti della S.A. Eredi G. Metalli s.p.a., sulla base di quattro motivi, illustrati anche con memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
4. La resistente ha replicato con controricorso, contenente, altresi’, ricorso incidentale affidato ad un solo motivo., e con memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo di ricorso, la F.G.H. s.p.a. ed C. A. denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
1.1. I ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte di Appello abbia omesso di pronunciarsi sulla istanza degli appellanti di sospensione del giudizio, in attesa dell’esito degli altri due procedimenti pendenti dinanzi a questa Corte, ed aventi ad oggetto i bilanci al 2005 ed al 2006.
1.2. Il motivo e’ inammissibile.
1.2.1. Va osservato, infatti, che il dovere del giudice di pronunciare su tutta la domanda, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., va riferito appunto alla domanda, e dunque all’istanza con la quale la parte chiede l’emissione di un provvedimento giurisdizionale in ordine al diritto sostanziale dedotto in giudizio. Ne discende che non e’ configurabile un vizio di infrapetizione per l’omessa adozione da parte del giudice di un provvedimento di carattere ordinatorio, come quello relativo alla sospensione necessaria del giudizio, ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ. (cfr. Cass. 5246/2006; 15353/2010).
1.2.2. La censura non puo’, pertanto, trovare accoglimento.
2. Con il secondo motivo di ricorso, la F.G.H. s.p.a. ed C. A. denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
2.1. Avrebbe errato la Corte di Appello, a parere degli istanti, nel ritenere che il primo motivo di gravame – concernente la statuizione con la quale il Tribunale aveva ritenuto inammissibile la domanda di nullita’ del bilancio al 31 luglio 2007, approvato con l’impugnata Delib. 29 novembre 2007, per non avere gli attori indicato le poste di bilancio censurate e le conseguenze patrimoniali per loro negative che sarebbero derivate dall’approvazione di detto bilancio – fosse da considerarsi inammissibile per difetto di specificita’, ai sensi dell’art. 342 cod. proc. civ. Ed infatti, i motivi di nullita’ del bilancio sarebbero stati, per contro, indicati dagli attori nell’atto di citazione di primo grado, e riproposti nell’atto di appello, oltre che ribaditi nella comparsa conclusionale, in tal modo proponendosi dagli appellanti una specifica censura alla decisione emessa in prime cure. Sicche’ il rinvio all’atto di citazione non poteva neppure essere inteso, nel caso di specie, come un mero richiamo di tale atto per relationem.
2.2. Il motivo e’ infondato.
2.2.1. Va osservato, infatti, che, quando col ricorso per cassazione venga denunciata la violazione dell’art. 342 cod. proc. civ. (nel testo vigente “ratione temporis”, anteriore alle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. nella L. 7 agosto 2012, n. 134) in ordine alla specificita’ dei motivi di appello, il giudice di legittimita’ non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicita’ della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma e’ investito del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda. La Corte di Cassazione puo’, pertanto, ritenere assolto l’onere di specificazione dei motivi d’appello solo quando il rinvio al contenuto in un atto del giudizio di primo grado (operato dall’appellante) non abbia costituito un mero richiamo “per relationem”, ma si sia coniugato con l’espressa censura delle argomentazioni poste a fondamento dell’impugnata sentenza (cfr. Cass.S.U. 8077/2012; Cass. 15071/2012; 25308/2014; 16164/2015).
2.2.2. Nel caso di specie, dall’esame dell’atto di citazione di primo grado – trascritto nel ricorso – si evince che i motivi della nullita’ del bilancio al 31 luglio 2007, erano stati “indicati (….) nella invalidita’ dei bilanci immediatamente precedenti”, atteso il principio di continuita’, in forza del quale le poste illegittime di un bilancio rappresentano il punto di partenza di quelle del bilancio successivo, con conseguenti ripercussioni sugli utili spettanti ai soci.
Per tale ragione, era stata, altresi’, richiesta dagli appellanti la sospensione del presente giudizio, in attesa della definizione dei quelli incardinati in relazione ai bilanci precedenti.
2.2.2.1. Cio’ posto, e’ certamente condivisibile l’assunto del giudice di appello, laddove afferma che la censura alla sentenza di prime cure – che aveva dichiarato inammissibile per genericita’ la domanda di nullita’ del bilancio approvato dall’impugnata Delib. – non poteva considerarsi conforme alla previsione di cui all’art. 342 cod. proc. civ., per difetto di specificita’ del motivo di appello, proposto mediante il mero rinvio alla citazione di prime cure, sul punto del tutto generica. La doglianza degli odierni ricorrenti ed originari attori si incentrava, invero, sulla deduzione, non di specifiche ragioni di nullita’ del bilancio al 31 luglio 2007, bensi’ esclusivamente sulla pretesa nullita’ dei bilanci precedenti, che si rifletterebbe negativamente su quello successivo, in forza dl principio di continuita’ dei bilanci. E tuttavia, tali dedotte nullita’ non avevano ancora costituito oggetto di un accertamento definitivo in sede giudiziale, tanto che la FGH s.p.a. ed il C. avevano, altresi’, richiesto la sospensione del presente giudizio in attesa della definizione dei giudizi precedenti.
Orbene, va osservato, al riguardo, che il bilancio di esercizio di una societa’ per azioni, in forza del principio della cosiddetta continuita’, deve partire dai dati di chiusura del bilancio dell’anno precedente, anche nel caso in cui l’esattezza e la legittimita’ di questi ultimi siano state poste in discussione in sede contenziosa, e siano state negate con sentenza non passata in giudicato. Infatti, solo il passaggio in giudicato di quella sentenza fa sorgere il dovere degli amministratori di apporre al bilancio contestato le variazioni imposte dal comando giudiziale, e, quindi, di modificare consequenzialmente i dati di partenza del bilancio successivo (Cass. 2379/1977).
Se ne deve inferire che, l’avere gli appellanti dedotto – mediante rinvio tout court all’atto di citazione di primo grado – la nullita’ del bilancio al 2007, per avere le relative appostazioni origine e fondamento nei dati del bilancio precedente, oggetto di accertamento giudiziale non conclusosi con sentenza definitiva, non vale di certo ad integrare, come correttamente ha ritenuto la Corte di Appello, un motivo specifico di gravame ex art. 342 cod. proc. civ. avverso la sentenza che aveva rigettato la domanda di nullita’ del bilancio al 2007.
2.2.2.2. Ne’ e’ censurabile in questa sede l’omessa sospensione del giudizio, ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ. Ed invero, la mancata adozione di un provvedimento di carattere ordinatorio, come la sospensione necessaria del giudizio, ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito e non e’, pertanto, censurabile con ricorso per cassazione, ex art. 360 cod. proc. civ., essendo peraltro impugnabile con lo strumento del regolamento di competenza, ai sensi dell’art. 42 cod. proc. civ., solo il provvedimento con cui la sospensione sia stata in concreto disposta (cfr. Cass. 5246/2006; 9540/2007; 15353/2010).
2.3. Per le ragioni suesposte, il mezzo va, pertanto, disatteso.
3. Con il terzo motivo di ricorso, la F.G.H. s.p.a. ed C. A. denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ. e art. 2423 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
3.1. I ricorrenti lamentano che la Corte territoriale abbia erroneamente considerato inammissibile poiche’ generica – e, quindi, in violazione dell’art. 342 cod. proc. civ. (nel testo applicabile ratione temporis) – la censura, proposta con il secondo motivo di appello, relativa alla chiarezza e veridicita’ del bilancio al 31 luglio 2007, e che abbia ritenuto, altresi’, infondato tale motivo di gravame, sull’erroneo presupposto che la disposizione di cui all’art. 2423 cod. civ. non potrebbe trovare applicazione nel caso concreto, potendo le condotte poste in essere dagli amministratori costituire, al piu’, materia per un’azione di responsabilita’. Per contro, ad avviso degli istanti, i fatti denunciati con il motivo di appello in questione avrebbero chiaramente e specificamente evidenziato la violazione dei suddetti principi di chiarezza, correttezza e veridicita’ del bilancio, sanciti dall’art. 2423 c.c., comma 2.
3.2. Il motivo e’ fondato.
3.2.1. Dall’esame dell’impugnata sentenza (p. 6) si evince, infatti, che nel febbraio 2006 l’amministratore aveva segnalato di essere stato informato dalla Guardia di Finanza di una truffa perpetrata ai danni della S.A. Eredi G. Metalli s.p.a., con danno valutato in circa 900.000/1.000.000 di Euro. Nel marzo del 2006 la Guardia di Finanza aveva, invece, stimato il danno nella ben piu’ consistente somma di Euro 3.000.000,00. Nel bilancio al 31 luglio 2006, la relazione aveva, nondimeno, indicato “che la truffa/furto era stata assorbita dal bilancio”. Nel successivo bilancio al 31 luglio 2007, invece, “la relazione riportava che era stato affidato ad un legale civilista di avviare procedura per il recupero del credito derivante dal danno”, non essendo l’azienda in grado di quantificarlo.
3.2.2. Cio’ posto, e’ certamente erroneo l’assunto del giudice di appello, sia – sul piano dell’ammissibilita’ del motivo di gravame – in ordine al preteso difetto di specificita’ della censura, che, per contro, e’ da ritenersi specifica e dettagliata, anche in relazione agli elementi fattuali posti a sostegno della censura, sia – nel merito della doglianza – con riferimento all’operata esclusione della violazione dell’art. 2423 cod. civ. Ed invero – secondo il costante insegnamento di questa Corte – il bilancio d’esercizio di una societa’ di capitali, che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423 c.c., comma 2, e’ illecito, ed e’ quindi nulla la Delib. assembleare con cui esso e’ stato approvato, non soltanto quando la violazione determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio, o la rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della societa’, e quello del quale il bilancio da’ invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte (cfr. Cass. S.U. 27/2000; Cass. 8204/2004; 4874/2006). E non puo’ revocarsi in dubbio che tra i suddetti allegati un ruolo essenziale, ai fini della chiarezza delle informazioni desumibili dal bilancio, sia svolto proprio dalla relazione allegata al documento contabile. Allo scopo di realizzare il diritto di informazione, che e’ in rapporto di strumentalita’ con il principio di chiarezza, gli amministratori devono, invero, soddisfare l’interesse del socio ad una conoscenza concreta dei reali elementi contabili recati dal bilancio, e sono, quindi, perfino obbligati a rispondere alla domanda d’informazione che sia pertinente e non trovi ostacolo in oggettive esigenze di riservatezza, in modo da dissipare le insufficienze, le incertezze e le carenze di chiarezza in ordine ai dati di bilancio ed alla relativa relazione (Cass. 8001/2004; 11554/2008).
3.2.3. Per converso, nel caso concreto, la relazione degli amministratori ai bilanci del 2006 e del 2007 si e’ concretata nella esposizione di dati contraddittori, incerti e variabili, nonche’ difformi da quanto accertato dalla Guardia di Finanza, in merito all’entita’ della truffa subita dalla societa’. Di piu’, dall’esame del motivo di appello respinto dalla Corte territoriale si evince, altresi’, che – a specifica richiesta di chiarimenti in proposito, in sede assembleare – non veniva data alcuna risposta; sicche’ anche in quella sede non era possibile ai soci di minoranza attingere dall’organo amministrativo chiarimenti in ordine ad un evento suscettibile, come e’ del tutto evidente, di rilevanti ricadute sulla consistenza del magazzino, anche – e soprattutto – in relazione al prodotto finito.
Se ne deve inferire che la Corte di Appello non ha affatto inteso che la censura in esame era finalizzata – questa volta mediante una contestazione specifica, pertinente al bilancio impugnato – ad evidenziare la mancanza di chiarezza e precisione di detto bilancio, ed ha, di conseguenza, erroneamente respinto il relativo motivo di appello. La decisione assunta si traduce, pertanto, in una palese violazione del disposto di cui all’art. 2423 c.c., comma 2.
3.3. Il motivo va, di conseguenza, accolto.
4. Con il quarto motivo di ricorso, la F.G.H. s.p.a. ed C. A. denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ. e D.M. n. 127 del 2004, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
4.1. I ricorrenti censurano, in relazione alle spese processuali del giudizio di primo grado, la liquidazione di tali spese in misura superiore a quella prevista, per i diritti e gli onorari, dal D.M. n. 127 del 2004.
4.2. La censura e’ fondata.
4.2.1. Va anzitutto osservato, al riguardo, che il superamento, da parte del giudice, dei limiti minimi e massimi della tariffa forense nella liquidazione delle spese giudiziali configura un “error in iudicando” e, pertanto, per l’ammissibilita’ della censura, e’ necessario che nel ricorso per cassazione siano specificati i singoli conteggi contestati e le corrispondenti voci della tariffa professionale violate, al fine di consentire alla Corte il controllo di legittimita’, senza dover espletare un’ammissibile indagine sugli atti di causa (cfr. Cass. 16749/2003; 22983/2014). Va, dipoi, ribadito il principio secondo cui il giudice, nella determinazione degli onorari di avvocato, deve rispettare i limiti minimi e massimi della tariffa, pur disponendo di un potere discrezionale nell’ambito di detti limiti, nel senso che il superamento di questi e’ consentito solo nella ricorrenza di particolari condizioni e sotto l’obbligo di espressa motivazione al riguardo (Cass. 6236/1983). Ed e’ indubitabile che tale tariffa sia applicabile, ratione temporis, nel caso concreto, essendo stata la sentenza di primo grado, che ha effettuato la liquidazione giudiziale in discussione, depositata prima dell’entrata in vigore del D.M. 20 luglio 2012, n. 140, art. 41 il quale ha dato attuazione al D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, comma 2, convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27, che ha previsto i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali (cfr. Cass. S.U. 17405/2012; 13628/2015).
4.2.2. Cio’ premesso, va rilevato che, nel caso di specie, i ricorrenti hanno dettagliatamente esposto i singoli conteggi contestati e le corrispondenti voci della tariffa professionale violate, ed hanno evidenziato – trascrivendo la statuizione impugnata nel ricorso – come i massimi della tariffa siano stati superati, pur facendosi applicazione dello scaglione relativo alle prestazioni “di particolare importanza” e di “valore indeterminabile”, ritenuto applicabile dalla Corte di Appello. E, del pari, i diritti risultano liquidati in misura superiore al massimo di tariffa.
4.3. Il motivo va, pertanto, accolto.
5. Passando, quindi, all’esame del ricorso incidentale, va rilevato che, con l’unico motivo di ricorso, a S.A. Eredi G. Metalli s.p.a. denuncia la violazione degli artt. 1226, 2043, 2056, 2727 e 2729 cod. civ., nonche’ l’omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
3.1. La ricorrente contesta il rigetto operato della Corte di Appello, peraltro con motivazione inadeguata ed incongrua, dell’appello incidentale con il quale la S.A. Eredi G. Metalli s.p.a. censurava la decisione di prime cure, nella parte in cui aveva rigettato la domanda proposta dall’odierna resistente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., in quanto nessuna prova era stata fornita sulla sussistenza degli asseriti danni.
3.2. Il motivo e’ infondato.
3.2.1. Ed invero, la domanda di risarcimento dei danni ex art. 96 cod. proc. civ. non puo’ trovare accoglimento tutte le volte in cui la parte istante non abbia assolto all’onere di allegare, quanto meno, gli elementi di fatto necessari alla liquidazione, pur equitativa, del danno lamentato (cfr. Cass. S.U. 7583/2004; S.U. 1140/2007; Cass. 21798/2015). In tema di responsabilita’ aggravata per lite temeraria, che ha natura extracontrattuale, la domanda di cui all’art. 96 c.p.c., comma 1, richiede, infatti, pur sempre la prova, incombente sulla parte istante, sia dell'”an” e sia del “quantum debeatur”, o comunque postula che, pur essendo la liquidazione effettuabile di ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa (Cass. 9080/2013).
3.2.2. Nella specie, nessuna deduzione circa l’avvenuta allegazione, nel giudizio di merito, di dati fattuali idonei ad evidenziare la sussistenza e l’entita’ di un concreto pregiudizio e’, per converso, desumibile dalla censura in esame.
3.3. Il ricorso incidentale va, pertanto, rigettato.
4. L’accoglimento del terzo e quarto motivo di ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte di Appello di Brescia in diversa composizione, che dovra’ procedere a nuovo esame della controversia facendo applicazione dei seguenti principi di diritto: “il bilancio d’esercizio di una societa’ di capitali, che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423 c.c., comma 2, e’ illecito, ed e’ quindi nulla la Delib. assembleare con cui esso e’ stato approvato, non soltanto quando la violazione determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio, o la rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della societa’, e quello del quale il bilancio da’ invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati, ivi compresa la relazione, non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte; allo scopo di realizzare il diritto di informazione, che e’ in rapporto di strumentalita’ con il principio di chiarezza, gli amministratori devono soddisfare l’interesse del socio ad una conoscenza concreta dei reali elementi contabili recati dal bilancio, e sono, quindi, perfino obbligati a rispondere alla domanda d’informazione che sia pertinente e non trovi ostacolo in oggettive esigenze di riservatezza, in modo da dissipare le insufficienze, le incertezze e le carenze di chiarezza in ordine ai dati di bilancio ed alla relativa relazione”.
5. Il giudice del rinvio provvedera’, altresi’, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso principale, rigetta il secondo ed accoglie il terzo e quarto; cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Appello di Brescia in diversa composizione, che provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio; rigetta il ricorso incidentale. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citr. art. 13, comma 1 bis.
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