CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 4348 del 4 marzo 2016
TRIBUTI – IVA – ACCERTAMENTO – FATTURE PER OPERAZIONI FITTIZIE – MEZZI DI PROVA – PROCESSO VERBALE DELLA GDF – ATTO ASSISTITO DA FEDE PRIVILEGIATA – DICHIARAZIONE RESE DA LEGALE RAPPRESENTANTE DELLA SOCIETA’ EMITTENTE LE FATTURE – CONFESSIONE STRAGIUDIZIALE
RITENUTO IN FATTO
1. Con la notifica dell’avviso di rettifica e del processo verbale di constatazione n. 602967.93 per IVA per l’anno di imposta 1991 l’Agenzia delle Entrate contestava a L.A., quale legale rapp. p.t. della Associazione Temporanea di Imprese T.A. SPA, una detrazione IVA per noleggi di macchine operatrici effettuati con la ditta C. di I.R. per l’ammontare di lire 33.216.000, oltre accessori, ritenuta conseguente ad operazioni fittizie perché la ditta C. secondo l’Amministrazione era inattiva e non possedeva né attrezzature, né dipendenti.
2. L’impugnazione proposta dal contribuente avverso tale atto veniva accolta dalla Commissione Tributaria Provinciale di Messina con la sentenza n. 442/13/02. Contro tale decisione l’Agenzia delle Entrate proponeva appello, respinto dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sezione distaccata di Messina, con la sentenza n. 19/27/09, depositata il 20.03.09 e non notificata.
3. Con tale decisione, confermando la decisione di primo grado, il giudice di secondo grado riteneva inidonei gli elementi giustificativi acquisiti dall’Ufficio a seguito di una verifica solo di natura documentale e cartacea.
In particolare, dopo aver osservato che la contestazione riguardava quattro fatture emesse dalla C. nei confronti di L.A., regolarmente conservate ed annotate sul relativo registro, affermava che l’Ufficio non aveva fornito alcun elemento che potesse dare una valenza probatoria alla presunzione su cui si fondava la contestazione.
Sosteneva quindi che la assenza di attrezzature e di organizzazione aziendale della C. non poteva essere presa in considerazione perché fondata su di una verifica di natura solo documentale, consistita nel mancato rinvenimento presso il commercialista della documentazione giustificativa degli acquisti fatti dalla C., senza lo svolgimento di ulteriore attività di ricerca.
Aggiungeva che tale conclusione era confermata dalla sentenza penale RG 156/1995, resa il 17.11.1996, che aveva assolto il L. per mancanza di prove circa la natura fittizia delle operazioni.
4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, affidato a quattro motivi. L’intimato non ha svolto difese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1. Con il primo motivo la ricorrente Agenzia lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2730 e n. 2699 cc (art. 360, comma 1, n. 3, cpc).
Sostiene che illegittimamente la CTR ha ritenuto che la verifica era stata solo cartacea e, quindi, inidonea a giustificare la presunzione di inesistenza dell’emittente le fatture, in quanto ha trascurato la prova documentale dell’inesistenza anche delle strutture materiali, costituita dalla attestazione a verbale dei verificatori, come tale fidefaciente, che la ditta “non era stata in grado di esibire dette strutture” in sede di accesso, ed altresì la prova confessoria, riportata nello stesso verbale, data dall’affermazione del I.r. della stessa emittente di avere sempre operato solo da casa propria o dallo studio del commercialista, affermazione palesemente incompatibile con la detenzione dei grandi macchinari necessari alla dichiarata attività aziendale di “noleggio macchine operatrici e lavori stradali in genere”.
1.2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la omessa o comunque insufficiente motivazione (art. 360, comma 1, n. 5, cpc).
Si duole del fatto che la sentenza impugnata non ha giustificato in alcun modo l’affermata insufficienza di una verifica solo cartacea, secondo le conclusioni della Commissione Regionale, a provare l’inesistenza della ditta emittente le fatture (fatto su cui si fonda l’annullamento dell’accertamento) e non ha spiegato la ritenuta necessità di altri accertamenti (la cui assenza è parimenti posta a base dell’annullamento dell’atto impositivo), nemmeno indicando quali accertamenti fossero necessari e perché.
1.3.1. I motivi possono essere trattati congiuntamente perché connessi. Sono fondati e vanno accolti.
1.3.2. Innanzitutto sul piano delle acquisizioni probatorie va ricordato che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, con condiviso principio, “In tema di accertamenti tributari, il processo verbale di constatazione, redatto dalla Guardia di finanza o dagli altri organi di controllo fiscale, è assistito da fede privilegiata ai sensi dell’art. 2700 cod. civ., quanto ai fatti in esso descritti: per contestare tali fatti è pertanto necessaria la proposizione della querela di falso.”(Cass. n. 2949/2006, n.15191/2014) e che “… le dichiarazioni rese in sede di verifica dal legale rappresentante di una società non possono essere qualificate come testimonianza, ma integrano una confessione stragiudiziale, atteso il rapporto di immedesimazione organica tra il rappresentante legale e la società rappresentata, che non è reciso neanche quando l’atto sia compiuto dall’amministratore con dolo o abuso di potere o non rientri nella sua competenza.” (Cass. n.22616/2014, n. 28316/2005).
1.3.3. La CTR non ha fatto applicazione di detti principi come avrebbe dovuto ed è incorsa nelle violazioni di legge contestate, in quanto ha trascurato di considerare come parte delle acquisizione probatorie da valutare le risultanze del processo verbale di constatazione, fidefacente in merito alla specifica attività istruttoria svolta dai verbalizzanti nei confronti della C., ivi riportata, e consistita nella richiesta esibizione delle strutture amministrativo-contabili, rimasta senza esito, come si evince dalla trascrizione del pvc in ricorso; ha anche ignorato e non valutato le dichiarazioni rese dal I.r. dalla ditta C. circa lo svolgimento dell’attività presso la sua personale abitazione, ovvero presso lo studio del commercialista, dichiarazioni ritenute dai verbalizzanti incompatibili con la detenzione dei macchinari necessari per effettuare lavori di sbancamento.
1.3.4. La sentenza impugnata, in particolare, si è limitata a formulare taulogiche affermazioni, senza entrare nel merito delle questioni e dei rilievi e senza evidenziare gli specifici elementi, determinanti per la decisione favorevole al contribuente, a fronte dei molteplici indizi offerti dalla Amministrazione finanziaria circa la inesistenza delle operazioni, tra cui, anche, l’inesistenza di scritture essenziali e la mancanza di allegazione e di prova del pagamento, di modo da non consentire a questa Corte nemmeno il vaglio del corretto, completo e logico sviluppo motivazionale.
1.3.5. Con la decisione impugnata la CTR si è limitata ad affermare in modo assertivo ed inadeguato sul piano motivazionale che, a sostegno della presunzione di inesistenza delle operazioni, “l’Ufficio non fornisce alcuna prova, né minima né grave precisa e concordante. Pertanto la presunzione non ha alcuna valenza probatoria”, senza procedere invece al puntuale esame del compendio probatorio offerto dall’Amministrazione e richiamato anche nel ricorso per cassazione.
2.1. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 654 cpp, nonché degli artt. 41 del DPR n. 600/1973 e 2727 cc, nonché l’omessa o comunque insufficiente motivazione (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, cpc) circa le ragioni della rilevanza, a favore del contribuente, della sentenza di assoluzione intervenuta in sede penale. Il motivo è duplice, ma accompagnato solo dal quesito di diritto relativo alla prima parte della censura.
2.2. Ritiene la Corte che in caso di proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinché non risulti elusa la “ratio” dell’art. 366-bis cod. proc. civ., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati (cfr. Cass. n.16345/2013).
2.3. Sulla scorta di tale principio va esaminata la prima parte della doglianza, mentre il dedotto vizio motivazionale, non accompagnato dal prescritto momento di sintesi ex art. 366 bis cpc, va dichiarato inammissibile.
2.4. Tanto premesso osserva tuttavia la Corte che anche la censura per violazione di legge è da respingere per inammissibilità poiché non censura un vero passaggio motivazionale della sentenza impugnata. Come si evince chiaramente, il richiamo alla sentenza penale di assoluzione risulta infatti utilizzato come mero argomento, introdotto ad abundantiam e privo di una propria autonomia decisionale: da ciò discende la pronuncia di inammissibilità.
2.5. E’ tuttavia utile rammentare che nel processo tributario non opera automaticamente l’efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione per insussistenza del reato di esposizione di elementi passivi fittizi mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, per i fatti relativi alla correlata azione di accertamento fiscale, poiché in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto di quella testimoniale ex art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a fondare una pronuncia penale di condanna. Pertanto, stante l’evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio (cfr. Cass. nn. 4924/2013, 8129/2012, 19786/2011, 20860/2010).
3.1. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 19 e 21 del DPR n. 633/1972, nonché 39 del DPR n. 600/1973 e 2727 cc (art. 360, comma 1, n.3, cpc).
Sostiene che la CTR ha illegittimamente annullato la ripresa di detrazioni IVA fondata su fatture irregolari, in quanto l’indirizzo delle ditta emittente apposto sulle stesse era falso, come dichiarato dal suo legale rappresentante, oltre che da ritenersi connesse ad operazioni inesistenti.
3.2. Il motivo è inammissibile perché risulta nuovo, alla stregua del contenuto della sentenza, che non ne fa menzione, e del ricorso, ove sarebbe stato onere della ricorrente riprodurre quanto meno i passaggi significativi dell’avviso di accertamento e dell’atto di appello, ove la questione della irregolarità delle fatture era stata introdotta.
3. Conclusivamente il ricorso va accolto, fondati i motivi primo, secondo, ed inammissibili i motivi terzo e quarto.
La sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla CTR in altra composizione per il riesame alla luce dei principi prima espressi e per la puntuale motivazione sugli elementi costituenti il compendio probatorio esposto dall’Amministrazione finanziaria, sulle risultanze istruttorie complessive e sugli elementi a discarico offerti dal contribuente, oltre che per la statuizione sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
– accoglie il ricorso, fondati i motivi primo e secondo ed inammissibili i motivi terzo e quarto;
– cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla CTR in altra composizione per il riesame ed anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità
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