CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 4510 del 8 marzo 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – CIGS – DI PROCEDIMENTO PER LA CONCESSIONE DELLA C.I.G.S. – ILLEGITTIMITA’ – RISARCIMENTO DANNI – COMUNICAZIONE AZIENDALE
Svolgimento del processo
1. Con ricorso ex art. 1 comma 48 L. 92/12 P.F., dirigente medico nella disciplina di medicina e chirurgia di accettazione ed urgenza presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di Merate, adiva il Tribunale di Lecco chiedendo accertarsi la illegittimità del recesso per giusta causa intimato in data 8 gennaio 2013 dalla Azienda Ospedaliera della Provincia di Lecco.
A fondamento del ricorso deduceva che l’Azienda Sanitaria gli aveva contestato che negli anni 2011-2012 aveva svolto attività medica e di docenza retribuita presso B.S. Onlus per cinque giorni, senza richiedere ed ottenere dall’Azienda Ospedaliera la prescritta autorizzazione preventiva ex art. 53 d.lgsl.165/01. Rimarcava il ricorrente in via preliminare la tardività della contestazione disciplinare e del relativo procedimento, nel merito denunciando la violazione dell’art. 8 c.c.n.l. dirigenza medica del 6/5/10 e la violazione del principio di proporzionalità della sanzione irrogata rispetto alle presunte mancanze a lui ascritte.
Il giudice adito, all’esito della fase sommaria di cui all’art. 1 comma 49 L. 92/12, respingeva il ricorso del lavoratore. Con sentenza n. 779/13 il Tribunale respingeva altresì l’opposizione spiegata dal P. avverso l’ordinanza emessa ai sensi della citata disposizione.
Sul reclamo interposto dal lavoratore, la Corte d’Appello di Milano riformava la pronuncia del giudice di prima istanza, annullava il licenziamento e condannava la società reclamata a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.
Nel pervenire a tali conclusioni la Corte territoriale osservava, per quel che in questa sede rileva, che il fatto contestato al lavoratore rientrava nella previsione di cui all’art. 8 lett. G c.c.n.l. di settore ed all’art. 8 Regolamento disciplinare aziendale, che prevedevano la sanzione conservativa della sospensione da un minimo di tre giorni ad un massimo di sei mesi dal servizio con privazione della retribuzione in caso di “mancato rispetto delle norme di legge e contrattuali e dei regolamenti aziendali in materia di espletamento di attività libero professionali”.
Il ricorrente, quale dirigente medico, con il comportamento assunto, aveva indubbiamente vulnerato il vincolo di fedeltà che lo legava all’azienda ospedaliera e le disposizioni che nello specifico dal dipendente, si traduce in un danno, ontologicamente immanente ad un pubblico servizio, ravvisabile allorquando lo stesso il pubblico servizio rimane deprivato delle sue intrinseche qualità per l’utenza, secondo i parametri dell’efficienza e dell’efficacia.
2. Con il secondo mezzo di impugnazione si deduce falsa applicazione dell’art. 8 punto 8 lettera g) c.c.n.l. e dell’art.8 comma 4 lettera g) del Regolamento Disciplinare Aziendale della Dirigenza medica, in luogo dell’art. 11 comma 1 lett. f c.c.n.l. ex art. 306 comma primo n. 3 c.p.c.
Si censura la sentenza impugnata per la applicazione della disposizione contrattuale in tema di cui all’art. 8 ccnl di settore, sul rilievo che la condotta fosse ascrivibile alla materia dell’espletamento di attività libero-professionali e che non corretta si era rivelata l’esegesi delle molteplici infrazioni commesse dal P., nei sensi rilevati già nel primo motivo di impugnazione.
2.1 Le doglianze, che possono trattarsi congiuntamente stante la connessione che le connota, sono prive di pregio.
La ricorrente, invero, stigmatizza la sentenza impugnata facendo leva su circostanze rilevanti ai fini dello scrutinio della idoneità della condotta a vulnerare il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro inter partes, la cui valutazione si lamenta sia stata del tutto omessa dalla Corte distrettuale.
2.2 Tuttavia, l’Azienda sviluppa il proprio argomentare in relazione a circostanze fattuali che non risultano essere state allegate, né tanto meno provate, nei pregressi gradi di giudizio. Tanto in violazione del principio affermato da questa Corte, e che va qui ribadito, secondo cui “qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (vedi ex aliis, Cass. 18/10/2013 n. 23675).
2.3 II tutto senza considerare che la decisione seguita si imponeva in ogni caso, dal momento che il giudice di merito ha fatto doverosa applicazione dei dettami di cui all’art. 18 comma 4 st. lav. essendo la condotta addebitata prevista in maniera chiara dalla contrattazione collettiva, segnatamente, dall’art. 8 lett. g. c.c.n.l. di comparto che sancisce la sanzione conservativa della sospensione da un minimo di tre giorni ad un massimo di sei mesi dal servizio con privazione della retribuzione in caso di “mancato rispetto delle norme di legge e contrattuali e dei regolamenti aziendali in materia di espletamento di attività libero professionali”. Il riferimento a tale ultimo dato – espletamento di attività libero professionali – consente infatti di agevolmente sussumere la fattispecie concreta sotto l’astratta previsione legale.
2.4 Tuttavia, quand’anche la fattispecie di cui alla suddetta contrattazione non avesse ricalcato del tutto, la condotta addebitata al dirigente, la norma collettiva in questione ben poteva valere quale riferimento ai fini dell’applicazione del principio di proporzionalità della sanzione codificato dall’art. 2106 c.c. che è principio generale in materia di sanzioni, di portata ampia che connatura e condiziona il potere disciplinare, non abrogato dalla riforma della legge n. 92/12 ed il cui scrutinio è devoluto alla discrezionalità del giudice di merito di guisa che, se correttamente motivato, non è suscettibile di ricorso per cassazione (vedi ex plurimis, Cass. 25/5/2012 n. 8293).
3. Con il terzo motivo si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 comma primo n. 5 c.p.c. su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Si stigmatizza la sentenza impugnata per non aver tenuto conto della documentazione versata in atti ritenuta idonea a qualificale come abnorme il comportamento assunto dal dirigente.
4. Con il quarto mezzo di impugnazione, sotto il profilo della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 comma primo n. 5 c.p.c. su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, si lamenta l’omessa considerazione, da parte dei giudici del gravame, dell’inadempimento del dipendente all’obbligo di restituzione degli importi indebitamente percepiti per l’espletamento di attività professionale in favore di terzi.
4.1 I motivi, la cui trattazione congiunta è consentita per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, presentano profili di inammissibilità.
Occorre premettere che nella interpretazione resa dai recenti arresti delle Sezioni Unite di questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art.12 delle preleggi (vedi Cass. S.U. 7/4/2014 n. 8053), la disposizione di cui all’art. 360 comma primo n. 5 c.p.c. va letta in un’ottica di riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Scompare, quindi, nella condivisibile opinione espressa dalla Corte, il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta quello sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.
Il controllo previsto dal nuovo n.5) dell’art. 360 cod. proc. civ. concerne, quindi, l’omesso esame dì un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). La parte ricorrente dovrà, quindi, indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma n. 6), cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso.
4.2 Ciò premesso, non può sottacersi che il tenore del presente ricorso non appare rispettoso dei dettami sanciti dal novellato art. 360 n. 5 nella esegesi resa dalle sezioni unite di questa Corte, essendosi la ricorrente limitata tout court, a censurare l’omessa disamina di documentazione idonea a configurare, come abnorme, la condotta assunta dal dirigente, senza riportarne il contenuto (terzo motivo), né indicare compiutamente i presupposti per il riconoscimento del diritto vantato alla restituzione delle somme spettanti sulla base del rispetto del principio di esclusività dell’attività di lavoro dirigenziale in favore dell’Azienda, né per la loro quantificazione. Tanto a tacer del fatto che non risulta enunciato “il come e il quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti.
In definitiva, alla luce delle esposte considerazioni, il ricorso è respinto.
Il governo delle spese del presente giudizio segue il regime della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida m euro 100,00 per esborsi ed euro 3.500, 00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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